Martina Franca: un Turco per l’estate

Il 18 luglio, il Festival della Valle d’Itria è stato inaugurato dall’opera buffa Il Turco in Italia di Gioachino Rossini su libretto di Felice Romani. La versione scelta, fedele allo spirito di ricerca e di riscoperta del Festival di Martina Franca, è stata quella approntata da Rossini nel 1815 per Firenze e Roma, su edizione critica Ricordi curata da Margaret Bent. La differenza è percepibile soprattutto nel secondo atto, con tagli che alleggeriscono la struttura facilitando il confluire della vicenda verso il finale, ma nel primo atto spicca l’assenza della cavatina “Non si dà follia maggiore” di Fiorilla, sostituita da “Presto amiche, a spasso, a spasso”.

L’effetto generale è una scorrevolezza che mette in rilievo, sostiene il direttore Michele Spotti, un’organicità anche maggiore in questa versione rispetto a quella tradizionalmente eseguita, un’organicità che emerge anche dallo spettacolo del Festival della Valle d’Itria. La direzione del menzionato Spotti e la regia di Silvia Paoli convergono allegramente verso un carattere spigliato dai toni accesi e una pacioccona piacevolezza estiva. L’ambientazione rossiniana (in un luogo di villeggiatura) si sposava meravigliosamente con la spiaggia anni ’60, trasformata in un set “da cartolina” per una tipica commedia all’italiana, con tanto di lancio di spaghetti e torta in faccia. Sotto il caldo sole delle spiagge pugliesi in luogo delle previste campane (Rossini non ne avrà a male), si sono svolte le beghe, gli intrecci, i bisticci e l’immancabile riappacificazione finale, in cui torna supremo il “volemose bbbene” che assolve tutti i peccati e appiana ogni conflitto. La regia di Silvia Paoli, con le efficaci scene di Andrea Belli, i ben curati costumi di Valeria Donata Bettella e le luci di Pietro Sperduti (funzionali, ma non sempre ben a fuoco), centra perfettamente il punto e senza grandi pretese confeziona uno spettacolo semplice e dritto al punto, godibilissimo e leggero, senza giudizi e insulse ridicolaggini, salvo gli evitabili e sempre rischiosissimi balletti.

Mi permetto qui una nota: di fronte ad una regia che non distorceva alcunché, non riscriveva la storia e non alterava il carattere dei personaggi, non sono mancate alcune voci di dissenso nei miei vicini di posto (senza arrivare a contestazioni aperte), per il solo fatto di averla ambientata negli anni ’60 anziché (immagino) ai tempi di Rossini stesso. Mi domando quanto questo malcontento sia rinforzato da un “daje al regista” non solo approvato ma anche incoraggiato da autorità politiche e artistiche, che nel far di tutta l’erba un fascio, si rendono i veri responsabili di un inquinamento dei pozzi del dibattito critico sulla regia d’opera.

Chiusa questa nota sull’insensata querelle registica, l’opera si conferma godibile anche musicalmente. La direzione di Spotti funziona più che bene e ricerca con cura dettagli di colori e dinamiche, sapendo caricare l’orchestra come una molla per poi farla scattare con perfezione da orologiaio. L’Orchestra del Petruzzelli di Bari risponde con entusiasmo e fin dall’inizio dimostra una certa solidità di insieme e un ottimo livello dei suoi componenti, di cui devo menzionare l’ottimo primo corno.

Si sentono ovviamente ancora alcune farraginosità tipiche delle prime recite: nei punti di insieme la concertazione ancora non è ordinatissima e l’entusiasmo di Spotti non sempre aiuta l’orchestra nel chiarificare le tessiture e alleggerire i bassi, ma sono pienamente convincenti lo slancio esuberante, i rapidi scarti timbrici e dinamici e la naturalezza consequenziale della scrittura, posta in rilievo con brillantezza dalla bacchetta del direttore brianzolo. Riuscita ma più zoppicante la prova del Coro del Teatro Petruzzelli, nascosto dalla regia dietro le “quinte” del palco di Palazzo Ducale. La scelta non ha reso vita facile al Coro non solo nella pulizia degli attacchi, ma anche nella compattezza dell’insieme e mi chiedo se non fosse possibile trovare spazio sul palco per il ridotto coro maschile, visti anche i rari interventi che svolge lungo l’opera.

Bene il cast, con i pregi e i difetti di una compagnia mediamente molto giovane. Spiccano soprattutto Adolfo Corrado (Selim) e Giulio Mastrototaro (Don Geronio). Abilissimo sulla scena, carismatico e perfettamente nel personaggio, Corrado beneficia di uno strumento evidentemente impressionante, anche se non sempre ben domato: la voce ampia, un po’ pesante ma dal bel colore manca a volte di finezze e negli insieme rischia spesso di debordare. Quando si parla di volume, intonazione, legato e varietà d’accenti, però, Adolfo Corrado è impeccabile. Fresco vincitore del BBC Cardiff Singer of World Competition, il ventinovenne salentino è senza dubbio un cantante da seguire con grande attenzione. Abilissimo anche Mastrototaro, a 44 anni il cantante evidentemente più esperto della compagnia. Nonostante sia meno statuario di Corrado e con qualche insicurezza di intonazione, Mastrotorato riesce a delineare con istinto teatrale limpido il personaggio di Don Geronio. In lui l’attore e il musicista convergono nel donare varietà di inflessioni ad un personaggio comico ma non ridicolo, perfettamente inserito nell’idea registica di Paoli. Pronto a sciogliere la voce baritonale in ben curate agilità, si è guadagnato facilmente il favore del pubblico. Ottimo il Prosdocimo di Gurgen Baveyan, dalla bella voce plasticamente modellata e capace di far funzionare sulla scena la pur non brillante trasformazione di Prosdocimo in un postino “con velleità cinematografiche”. Molto bene anche la Fiorilla di Giuliana Gianfaldoni, sostenuta da una voce non grande ma corretta e ben curata. L’emissione pulita e la solidità del registro acuto ne fanno una cantante più che notevole, anche se alcune incertezze e un po’ di inibizione tradivano forse una serata non ideale per interpretare la spigliata moglie libertina. Più in difficoltà Manuel Amati (Narciso), abile attore e tenore dal bel timbro leggero, che ha faticato a tenere dritta la barra dell’intonazione, soprattutto sui passaggi di registro. Bene la Zaida di Ekaterina Romanova, al suo debutto operistico (ma non si direbbe), mentre decisamente meno bene l’Albazar di Joan Folqué, i cui (pochi) interventi non sono riusciti purtroppo a trovare un buon appoggio della voce e vacillavano pericolosamente di intonazione.

In definitiva, questa produzione del Turco in Italia funziona, convince, ha i suoi pregi e i suoi difetti ma rimane sinceramente godibile, con bei margini di miglioramento per le recite dell’1, 4 e 6 agosto, in cui alcune incertezze e farraginosità avranno probabilmente lasciato il passo al puro e schietto divertimento di pubblico e musicisti.

Alessandro Tommasi
(18 luglio 2023)

La locandina

Direttore Michele Spotti
Regia Silvia Paoli
Scene Andrea Belli
Costumi Valeria Donata Bettella
Light Designer Pietro Sperduti
Personaggi e interpreti:
Selim Adolfo Corrado
Donna Fiorilla Giuliana Gianfaldoni
Don Geronio Giulio Mastrototaro,
Don Narciso Manuel Amati
Prosdocimo Gurgen Baveyan
Zaida Ekaterina Romanova
Albazar Joan Folqué
Orchestra del Teatro Petruzzelli di Bari
Coro del Teatro Petruzzelli di Bari
Maestro del coro Fabrizio Cassi

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