Martina Franca: Xerse in stop-motion

Il Xerse di Cavalli non è un’opera buffa ma un dramma per musica come si evince chiaramente dal frontespizio del libretto a stampa pubblicato in occasione della prima al Teatro di SS. Giovanni e Paolo il 12 gennaio 1655.

Ciò premesso giova rammentare che nella Venezia dell’epoca il teatro musicale – uscito oramai da qualche anno dall’ambito della rappresentazione privata all’interno dei palazzi e dunque riservata ad un pubblico necessariamente ristretto e di classe sociale elevata – svolgeva una funzione di educazione ai valori civili e morali esattamente come avveniva per il teatro di Shakespeare a Londra e prima ancora nei grandi tragediografi greci.

Di più: il lavoro musicalmente meno ricco tra quelli del catalogo cavalliano è di contro quello che presenta uno dei testi poetici più affascinanti e meglio scritti tanto da essere intonato più volte, dopo rimaneggiamenti vari, da compositori successivi a Cavalli, Bononcini e Haendel per citare i due di maggior peso.

Perché dunque, in occasione della prima rappresentazione in tempi moderni – della nuova edizione critica curata da Sara Elisa Stangalino e Hendrick Schultze, al Festival della Valle d’Itria si è deciso di intraprendere un sentiero drammaturgico diverso da quello che la filologia stessa e la storia suggeriscono?

Leo Muscato, regista avvezzo a realizzare allestimenti di pregio, sceglie – non felicemente – di calare le intricate vicende amorose del Re di Persia in un’atmosfera buffonesca la quale rimanda direttamente alla Commedia dell’Arte. Qui però i personaggi al contrario presentano caratteristiche ben definite e capaci di renderli tali, lontani anni luce dagli Zanni e molto vicini alla realtà seppur mediata dall’azione teatro.

Se la scena di Andrea Belli in qualche maniera funziona i costumi macchiettistici di Giovanna Fiorentini non superano l’esame risultando non di gran gusto e troppo sopra le righe a cominciare da quello Bollywood del protagonista e giù fino a quello da bambola da fiera di Romilda, passando per la povera Adelanta-Drag Queen e Periarco-Ziggy Stardust dark e guercio.

Muscato impone una recitazione volutamente guittesca che sembra non voler tener conto del testo e risolvendo tra l’altro i numerosissimi “a parte” del libretto con piccoli battiti di mano a mo’ di ciak che bloccano gli altri presenti sulla scena in continui stop-motion e successive ripartenze. Una volta va bene, cinque sono ancora tollerabili, ma al di sopra di questi numeri il fastidio cresce.

Considerando poi che il Xerse è tutto giocato sui recitativi l’attenzione alla parola avrebbe dovuto essere precipua mentre invece il pubblico è più o meno costretto a indovinare la natura dei dialoghi, non facilitato nel compito da soprattitoli troppo spesso coperti da folate di fumo sul significato delle quali il mistero è altrettanto fitto.

Uno spettacolo non convenientemente risolto seppur assai gradito dal pubblico e, si sa, il pubblico è sovrano.

Federico Maria Sardelli, uomo di cultura a tutto tondo oltre che musicista tra i più raffinati della scena attuale e settecentista di gran rango, è qui protagonista di una prova che si ferma un po’ in mezzo al guado – complice anche l’Orchestra Barocca Modo Antiquo che a tratti fa rimpiangere la mancanza di uno squillo di cellulare che almeno sarebbe stato  intonato – staccando tempi serratissimi che non sempre marciano in sintonia con la parola. Il Seicento riflette almeno quanto il Settecento stupisce.

Nella compagnia di canto svetta il Xerse luminoso di Carlo Vistoli, ancora una volta protagonista di una prova maiuscola caratterizzata dall’usuale bellezza di timbro e da un fraseggio ubertoso: “Ombra mai fu” e il lamento struggente “Lasciatemi morire, stelle spietate” sono due gemme cesellate da Vistoli con meravigliosa morbidezza.

Convince l’Arsamene di Gaia Petrone, bella voce e accenti volitivi, mentre non indimenticabile è la Romilda carente d’intonazione – l’orchestra non l’aiuta – di Carolina Lippo.

Passano, con riserva, l’Amastre di Ekaterina Protsenko e l’Adelanta di Dioklea Hoxha, mentre decisamente insufficiente l’Ariodate di Carlo Allemano.

Se la cavano Aco Bišcevic come Elviro, Nicolò Donini nei panni di Aristone mentre una più che discreta figura il Periarco di Nicolò Balducci, controtenore da tenere d’occhio. Mario Fumarola era l’onnipresente Cupido.

Successo pieno per tutti, si diceva, con ovazioni per Vistoli e Sardelli.

Alessandro Cammarano
(25 luglio 2022)

La locandina

Xerse Carlo Vistoli
Amastre Ekaterina Protsenko
Arsamene Gaia Petrone
Romilda Carolina Lippo
Adelanta Dioklea Hoxha
Ariodate Carlo Allemano
Aristone Nicolò Donini
Periarco Nicolò Balducci
Elviro Aco Bišcevic
Cupido Mario Fumarola
Le guardie Greta Corrente, Flavia Grazia Giuliani, Alessia Martino, Angelica Massafra

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