Memorias de Andalucía : meticciato come opportunità

Nei Paesi d’Occidente si fa oggi un gran parlare di obbligazione al meticciato quale rimedio a un deplorato “eurocentrismo” dell’alta formazione musicale. Cosa buona e giusta in linea di principio; salvo che le buone intenzioni dei decolonizzatori troppo spesso lastricano la via a due derive indesiderabili. La prima: esaltare acriticamente come capolavori “progressisti” i rozzi cascami di sottoculture da ghetto suburbano (rap, trap, break-dance) astutamente cannibalizzati da un sistema mediatico i cui centri decisionali e commerciali non abitano certo a Kinshasa né a Tunisi o a Istanbul. La seconda: incoraggiare il dilettantismo di quei giovani “bianchi per caso” che giungeranno al diploma conservatoriale balbettando malamente tutti i linguaggi, l’eurocolto e gli altri, senza possederne alcuno in profondità.

Ad un multiculturalismo davvero fecondo si richiede non meno, ma più impegno didattico; non spontaneismo ludico, ma ricerca e paziente pratica di repertori meno battuti. E soprattutto la capacità strategica di stringere alleanze di alto livello coi portatori di tradizioni diverse. È quanto ci suggerisce l’ascolto, sperimentato al 55° Festival delle Nazioni a Città di Castello, di un fuoriclasse come Jamal Ouassini, assurto nel 2014 agli onori della cronaca come “il violinista arabo del Papa”. L’edizione 2022 dell’ecumenica manifestazione retta da Aldo Sisillo s’intitolava “Omaggio alla Spagna”, il nostro vicino penisulare di volta in volta colonizzato e colonizzatore. Occasione ideale per riflettere su quel dente della storia più velenoso di quanto si pensi secondo l’aforisma di Marc Bloch.

Per fortuna il maestro Ouassini, persona colta e affabile, non si fa illusioni sulle narrative revisioniste che vorrebbero gabellarci Al-‘Andalus — la Spagna musulmana durata con alterne vicende oltre sette secoli — come mitico paradiso di giustizia, rispetto dei diritti umani, tolleranza di tutte le fedi e laboratorio di progresso culturale mentre l’Europa cristiana brancolava nelle tenebre del cosiddetto buio Medioevo. «No — egli ammette francamente — questo è al 90 per cento wishful thinking. Non si può riscrivere la Storia inventando leggende dorate e cancellando i lati oscuri che non ci piacciono. La pacifica convivenza fra culture che per molti secoli si sono combattute con la spada e coi roghi (roghi di libri, di città, e purtroppo anche di persone) è semmai un obiettivo da costruire con fatica; ma questo è un compito che tocca alla politica e all’economia. Collaborazioni artistico-letterarie che, nel reciproco rispetto delle differenze, approfondiscano la conoscenza e l’apprezzamento dei nostri patrimoni sono comunque un passo preliminare. Forse un piccolo passo, ma indispensabile per il futuro dell’umanità».

Nativo del Marocco, e precisamente di Tangeri, città bifronte con una faccia rivolta al Mediterraneo e l’altra all’Atlantico, Ouassini sa bene di cosa parla: “Sono nato nel 1958 nel quartiere multietnico di Marchan dove dominavano la lingua spagnola e la fede ebraica. Un quartiere di musicisti: ce n’erano diversi nella mia famiglia. Negli anni della mia infanzia esistevano varie istituzioni educative nazionali: francese, spagnola, ebraica, americana, anglicana, italiana. Quest’ultima fu purtroppo chiusa nel 1994; resta solo la Società Dante Alighieri, di cui sono presidente. I genitori musulmani iscrissero me alla scuola francese; altri fratelli a quelle spagnola e italiana. Da ragazzo studiavo testi poetici in arabo legati al sistema delle 12 nūbāt andaluse, oggi dichiarate patrimonio UNESCO”. Dopo aver appreso la musica arabo-andalusa dalla tradizione orale vivente nei caffè-concerto di Tangeri, un diploma di violino al locale conservatorio e un altro ottenuto nel 1988 al “Dall’Abaco” di Verona, ecco che il talentuoso solista trentenne, fra un concerto e l’altro, si dedica a rifondare gli storici complessi musicali della sua città. L’ultima creatura è la Tangeri Café Orchestra, nata nel 2004 e che oggi ha la sua base principale a Granada. Ma perché “memorias” al plurale?

«Sono memorie distinte e distanti agli estremi confini del Maghreb e del Mashreq; memorie di popoli che hanno subito guerre, discriminazioni, persecuzioni religiose, espulsioni. Ho voluto stavolta inserire in organico il cantante e liutista libanese Ghazi Makhoul, il quale rappresenta il suo tormentato paese ma soprattutto il repertorio del qudūd ḥalabīya, cioè di quella scuola musicale di Aleppo che, fondendosi con le forme della lirica strofica dedicata all’amore e al vino (muwaššaḥ), fornì un decisivo impulso allo sviluppo della musica arabo-andalusa».

Tutti sappiamo oggi come sono ridotte Aleppo e Beirut, antichissimi centri di civiltà, dopo decenni di guerra civile. Nel concerto udito a Città di Castello fra i velluti e gli stucchi del Teatro degli Illuminati, María Álvarez con il canto flamenco e Omar Benlamlih con quello sefardita in giudeo-spagnolo (judezmo) si univano al dialogo, raccontandoci assieme all’orchestra affascinanti storie di palazzi e d’incontri attraverso brani sia tradizionali e arrangiati sia di recente composizione; in particolare quelli firmati dallo stesso Ouassini e dal chitarrista Carlos Zarate. La formazione era così composta: Ouassini al violino, voce, percussioni e direzione, María Álvarez canto, Omar Benlamlih canto e percussioni, Ghazi Makhoul canto e liuto (per l’occasione suonava uno ʻūd del liutaio libanese Nazih Ghadban), Youssef Mezgheldi al qānūn, Otman Benyahya alle percussioni, Carlos Zarate chitarra flamenca, Bruno Zoia contrabasso. Strumenti di costruzione moderna, non copie di uno strumentario medioevale tratto da affreschi e codici miniati, e amplificazione fin troppo generosa. Magari in un teatrino all’italiana si poteva farne anche a meno.

Sul tema conduttore della serata, intitolato Rhizlane in omaggio al nome della signora Ouassini presente in sala, fiorivano mirabolanti intarsi politestuali e poliritmici di cante jondo e lirica araba, canti popolari della montagna libanese, esempi di saz sema’isi della classica musica ottomana. Quest’ultima non “popolare”, per carità, bensì di corte sultaniale o di confraternita mistica; non senza influssi greci, persiani, armeni, zingareschi… Il tutto in chiave moderna e attuale, lasciando ai singoli artisti ampia libertà d’improvvisare.  Volevate il meticciato? Eccovi serviti con un tocco di classe.

Carlo Vitali
(29 agosto 2022)

Città di Castello – Teatro degli Illuminati

Tangeri Café Orchestra/ direttore Jamal Ouassini

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