Milano: il Notturno sul Lago di Nureyev

Da bambina guardavo con ammirazione quei tutù immacolati, le piume affrancate in modo magistrale alle capigliature, le posizioni perfette di danzatrici apparentemente identiche come cloni. Il lago dei cigni era per me l’apoteosi della perfezione e il balletto classico per eccellenza. Il Lago sta al balletto come La traviata all’opera, non per niente è tra i titoli coreutici più rappresentati al mondo (il primato è, invero, detenuto dallo Schiaccianoci). Del resto, e anche la cinematografia ha fatto la sua parte, chi non conosce la storia del cigno bianco e del cigno nero?

Studiando danza il divertimento è diventato contare i fouettés del terzo atto (controllando con il fiato sospeso se le prime ballerine di turno ne facessero proprio trentadue), scommettere su chi facesse le arabesque più alti e chi invece avrebbe eseguito i pas de bourré suivi in modo più impeccabile (passo con cui noi, piccole allieve aspiranti étoile, misuravamo chilometri di sala ad ogni lezione). Non saprei dire quanti “Laghi” abbia consumato da allora, in teatro, VHS, DVD, Blu-ray, YouTube e su qualsiasi altro supporto esistente. Ma ogni volta il piacere si ripete ancora e ancora.

E gustarlo alla Scala, peraltro gremita fino all’ultimo posto disponibile nella recita cui abbiamo assistito, ha rinnovato quella delizia: Il lago dei cigni, penultimo balletto della stagione, è tornato quest’anno in cartellone per la 39^ volta, da quel lontano 1927 in cui in scena – in una versione ridotta ad atto unico firmata da Petipa, preceduta dalla Cimarosiana di Massine e seguita da L’Oiseau de feu di Fokine – c’erano  i leggendari Olga Spesivceva (o Spessivtseva), tra le più importanti e perfette interpreti del repertorio classico romantico, e Serge Lifar, nome di punta dei Ballets Russes di Sergej Djagilev che stavano facendo conoscere la grande danza al mondo intero.

Il balletto integrale in quattro atti ad opera di Petipa e Ivanov, come da versione del Mariinsky del 1895 – di ispirazione per chiunque da lì in avanti si sarebbe approcciato al titolo – con protagonista la milanese Pierina Legnani, prima interprete del ruolo di Odette/Odile e dei già citati trentadue fouettés en tournant nella coda del terzo atto (anche se in un diario ritrovato nel 2013 proprio alla Scala lei commentasse sotto un articolo di giornale di saperne gestire effettivamente ventiquattro), arriva al Piermarini solo nel 1954 grazie al Sadler’s Wells Ballet (il Royal Ballet odierno) in tournée, con nel ruolo principale un’altra étoile immortale: Margot Fonteyn. Da allora le più grandi interpreti hanno vestito i panni dei cigni bianco e nero sul palco scaligero: da Maya Plisetskaya, icona della danza con oltre ottocento recite del Lago all’attivo – nonché interprete impareggiabile e indimenticabile della Morte del cigno su musica di Camille Saint-Saëns – a Liliana Cosi, Carla Fracci, Luciana Savignano, Alessandra Ferri, Oriella Dorella, Sylvie Guillem, Lucia Lacarra, Natalia Osipova, Svetlana Zakharova, Olga Smirnova, e molte altre.

Dal punto di vista coreografico è per la stagione 1989-1990 che la Scala decide di acquisire la versione più introspettiva che Nureyev aveva creato per l’Opéra di Parigi nel 1984, alla quale abbina le scene impressioniste dichiaratamente ispirate a Monet ad opera del compianto Ezio Frigerio, scomparso lo scorso anno, con i costumi della moglie Franca Squarciapino. Una versione dalla lunga fortuna, ripresa in più stagioni, fino a questa curata dal direttore del Ballo Manuel Legris, che guarda sempre a Petipa-Ivanov, ma indaga maggiormente la psicologia dei personaggi con profonde innovazioni proprie dello spirito eclettico e inquieto dell’artista bashkiro.

Il tema del doppio, già presente nella dualità Odette/Odile, si rafforza con la figura di Wolfgang, il rigido precettore del principe che si fa poi incarnazione del malvagio mago Rothbart, espressione di un potere opprimente e coercitivo che sottende l’intera vicenda, tanto da insinuarsi addirittura nel corteggiamento tra Siegfried e Odile nel terzo atto e trasformare il tradizionale passo a due di fatto in un pas de trois. Inoltre, il prologo ci introduce subito in una dimensione irreale, di sogno che è anche viaggio nella mente e nell’inconscio del protagonista maschile della vicenda, presentando il principe romanticamente addormentato sul suo scranno, chiaro rimando al “ballet blanc” La Sylphide. Il Lago di Nureyev ha, quindi, il suo fulcro in Siegfried, il cui punto di vista rilegge e ci presenta l’intera storia. Noi spettatori siamo perciò chiamati ad assistere a una visione filtrata dalle sensazioni, paure, proiezioni, emozioni e inquietudini del principe, agitato dalla ricerca profondamente romantica, ma anche molto contemporanea, del suo posto nel mondo, in lotta continua tra il sé autentico e l’immagine che di lui vorrebbe l’entourage, insofferente ai vincoli di corte e del matrimonio in cui la madre vorrebbe imprigionarlo, ed ebbro dell’ideale di un Amore talmente alto da essere irreale e irrealizzabile. Il ritorno alla realtà, con i suoi inganni svelati, sarà per lui troppo vera per essere sopportata da un animo che si è creduto tanto puro da non curarsi delle cose terrene, un trauma troppo grande per chi cerca l’infinito e che porta all’inevitabile tracollo finale.

E la partitura di Čajkovskij non fa che amplificare questa lettura notturna e tormentata di Nureyev. “La musica è il mezzo incomparabilmente più potente e allo stesso tempo più sottile per esprimere le mille differenti sfumature degli stati d’animo”, ha affermato il celebre compositore russo, e nel Lago dei cigni emergono tutte le mezze tinte dell’umano, trasformate in passi dall’ingegno coreografico.

Nella recita scaligera cui abbiamo assistito, trasmessa anche in diretta su LaScalaTv e disponibile on demand fino al prossimo 4 ottobre, il compito di restituzione musicale è stato ottimamente portato a termine dall’Orchestra dell’Accademia del Teatro alla Scala diretta dal belga Koen Kessels, specialista del repertorio ballettistico, che sia nel lirismo solista sia nelle parti d’insieme ha saputo coniugare una ricerca melodica profonda al servizio dei tempi del ballo.

In palcoscenico, protagonisti i Solisti della compagnia scaligera Maria Celeste Losa e Navrin Turnbull. La prima cigno bianco elegante e appassionato, incantevole nel caratteristico movimento delle braccia e dalle linee precise e slanciate atte a far risaltare il ruolo, nonché brillante e tagliente Odile, impegnata a sedurre un principe non del tutto convincente sul piano interpretativo, benché dalla tecnica pulita anche se non restituita, a nostro avviso, nella sua massima potenzialità. Emanuele Cazzato è un’antagonista efficace, che ha saputo ben vestire il doppio ruolo del precettore e del mago sia come presenza scenica che nella coreografia.

Il Corpo di ballo ha restituito un’ottima prova sia nelle danze, che nei disegni e nell’armonia dell’insieme, con particolare apprezzamento per i Grandi Cigni di Alessandra Vassallo, Gaia Andreanò, Giulia Lunardi e Letizia Masini e con un encomio particolare ai Cignetti di Agnese Di Clemente, Giordana Granata, Linda Giubelli e Marta Gerani, che nel più tecnico e temuto pas de quatre della storia ci hanno regalato una visione perfetta di unitarietà e sincronia, nonché musicalità e interpretazione.

Applausi sentiti, prolungati e chiamate ripetute hanno tributato il plauso del pubblico a tutta la compagnia, con un momento di commozione per il saluto dalle scene scaligere di Daniela Cavalleri, tra le colonne portanti del ballo della Scala.

Tania Cefis
( 27 settembre 2023

La locandina

Coreografia Rudolf Nureyev
Da Marius Petipa
e LEV IVANOV
Direttore Koen Kessels
Regia Rudolf Nureyev
Supervisione e ripresa coreografica Manuel Legris
in collaborazione con Laura Contardi, Massimo Murru, Lara Montanaro, Antonino Sutera
Coach per i ruoli principali Isabelle Guérin
Scene Ezio Frigerio
Costumi Franca Squarciapino

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