Nicola Sani e il concerto monografico a lui dedicato: un’intervista

A poco meno di una settimana dal concerto monografico al Murate Art District di Firenze abbiamo incontrato Nicola Sani nel suo ufficio all’Accademia Chigiana di Siena dove è Direttore Artistico. Il concerto di Firenze del 26 novembre intitolato “Cavallo Marchese” è stato ideato in occasione dei sessant’anni del compositore, compiuti nel marzo del 2021, ma in realtà il concerto si è tenuto più di un anno e mezzo dopo a causa del Covid che ha impedito lo svolgimento delle attività musicali.

  • Può raccontarci come è nato questo programma?

Il programma è nato da un incontro con Francesco Gesualdi, fisarmonicista e Direttore Artistico del Gamo di Firenze che è l’Associazione che ha organizzato questo evento. Con lui abbiamo pensato di costruire un percorso legato alla mia produzione per strumenti solisti ed elettronica. È una parte importante del mio percorso compositivo perché ho dedicato diversi lavori al rapporto tra strumento solista e composizione elettroacustica multicanale.

  • Per quali ragioni ritiene che questo “genere” sia centrale all’interno della sua produzione di compositore?

È un modo per me per concentrarmi sullo spazio timbrico generato da uno strumento, che diventa una vera e propria forma di espansione del suono strumentale nelle diverse coordinate spaziali; è il modo di focalizzare l’attenzione su una trama sonora che si articola nel tempo e nello spazio mettendo l’accento sull’idea che l’elaborazione del suono non è un concetto esclusivamente tecnologico, algoritmico ma che coinvolge anche l’elaborazione umana dell’interprete: il suono strumentale nasce già mediato da un processo di filtraggio, dovuto alla prassi interpretativa, poi la tecnologia interviene per un ulteriore livello sia di elaborazione, sia di organizzazione di questa componente sonora nelle coordinate spazio-temporali. Questo significa che ognuno degli ascoltatori del concerto realizza una sintesi acustica personale, che cambia a seconda della posizione dell’ascoltatore stesso nello spazio della sala. Si apre al concetto di “prospettiva sonora” in analogia con la prospettiva visiva: se noi guardiamo un oggetto, a seconda del nostro punto di vista, cambia la nostra percezione dello stesso; la medesima cosa avviene utilizzando questo tipo di metodologia nello spazio acustico in cui avviene l’esecuzione. Ecco che la composizione diventa un habitat, noi abitiamo il suono e non lo ascoltiamo soltanto, il nostro essere all’interno di un concerto diventa una partecipazione soggettiva (di un ascolto collettivo, ndr) composta da tante singole percezioni che fanno di ogni esperienza un caso a sé.

  • Torniamo però alla costruzione del programma di questa serata …

Come dicevo questo percorso è stato enucleato con Francesco Gesualdi in un programma davvero entusiasmante in cui quattro interpreti hanno affrontato quattro miei lavori per strumento solista e supporto digitale: Roberto Fabbriciani con “I binari del tempo” per flauto e supporto digitale, Francesco Gesualdi con “Al di là dei miei uragani” per fisarmonica supporto digitale a 8 canali, Paolo Carlini con “Fatales Fagott Solo” per fagotto e supporto digitale e Roberta Gottardi con “AchaB II” per clarinetto basso e supporto digitale a 8 canali. Poi per tutti e quattro questi interpreti straordinari ho deciso di scrivere un pezzo che avrebbero interpretato tutti insieme in prima assoluta con amplificazione e spazializzazione con Live Electronics. Questo progetto ha appassionato molto i “fantastici quattro” a cui si è poi aggiunto Christian Schmitt il quale, non avendo io ancora scritto un pezzo per oboe con elettronica, ha eseguito il mio pezzo per oboe solo “Hallucinée de lumière parmi les ombres” del quale ho approntato una nuova versione molto diversa dall’originale: a suo modo anche questo un inedito. A questo punto il programma era completo con ben tre prime esecuzioni assolute: il pezzo per fagotto, a causa della pandemia già preceduto da un’incisione discografica, “Cavallo marchese” che è il brano per quattro strumenti e spazializzazione con Live Electronics e infine questa inedita versione del pezzo per oboe solo.

  • Questi sei brani presentati in questa serata sintetizzano più o meno gli ultimi vent’anni della sua produzione di compositore, facendone una sorta di antologia …

Con “I binari del tempo” siamo nel 1998 e con “Cavallo marchese” siamo nel 2021. La cosa interessante è che il percorso di questi vent’anni è stato quello che mi ha portato a concentrarmi sulle elaborazioni digitali del suono, viaggiando in diversi centri del mondo per realizzare queste composizioni. Già in questo concerto ci sono quattro centri di produzione: il GRM di Parigi per “I binari del tempo” il centro di produzione legato a Radio France, il secondo è il studio dell’Akademie der Künste di Berlino dove ho realizzato “AchaB II”, il terzo è il Centro di Sonologia Computazionale dell’Università di Padova e il laboratorio SaMPL del Conservatorio Pollini di Padova dove con Alvise Vidolin ho realizzato la parte digitale di “Fatales Fagott Solo” e infine il centro IMEB di Bourges dove ho realizzato “Al di là dei miei uragani”.

  • Quindi in questo concerto sono rappresentati quattro centri di produzione e tre paesi diversi: ogni centro avrà contribuito con la propria estetica a sviluppare ogni volta un aspetto diverso del rapporto degli strumenti con le diverse tecnologie.

Nel corso del mio percorso compositivo ho avuto l’opportunità di lavorare in tanti centri di produzione internazionali e mi sono potuto confrontare con diverse tendenze stilistiche e tecnologiche: ad esempio l’Experimental Studio di Friburgo è un centro dove si lavora principalmente sul live Electronics e dove il compositore lavora in uno spazio tridimensionale in cui è totalmente immerso e dove è molto forte ancora l’impronta di Luigi Nono e del lavoro sull’interrelazione con la componente strumentale; mentre lo studio della WDR di Colonia dove ho realizzato il ciclo “Elements” è incentrato sulla Sound Art e sulle interrelazioni tra musica elettronica, suono strumentale e altri codici come poesia sonora, arti visive e gestuali; l’IMEB di Bourges, che purtroppo è stato chiuso, era più legato all’esperienza acusmatica e prediligeva il lavoro sulla musica elettronica digitale senza strumenti acustici. Lì ho potuto far tesoro di tutte le risorse che avevano sviluppato negli ultimi decenni sulla costruzione del suono elettroacustico. Il concerto di Firenze è stato per me uno importante momento di sintesi di una lunga esperienza di composizione itinerante attraverso le tecnologie, attraverso nuove modalità di emissione sonora, lavorando con tanti interpreti in luoghi diversi.

  • È particolarmente significativo che all’interno di questa panoramica europea ci sia anche un centro italiano che è il Centro di Sonologia Computazionale dell’Università di Padova oggi confluito nell’esperienza del laboratorio SaMPL.

È significativo il fatto che il CSC di Padova sia stato il primo centro italiano, nato addirittura alla fine degli anni Settanta. All’epoca è stato il primo a credere fortemente nella possibilità che l’informatica potesse essere uno strumento determinante per aprire nuove prospettive compositive; parliamo di anni pionieristici in cui eravamo molto lontani da quello che oggi è rappresentato dal Live Electronics, anni in cui con computer grandi come armadi si programmava su schede perforate per ore per ottenere pochi secondi di suono. Alvise Vidolin con un gruppo di ricercatori e musicisti fortemente motivati come Giovanni De Poli, Graziano Tisato e compositori come Teresa Rampazzi, che è stata una delle pioniere della musica elettronica in Italia, hanno portato avanti un’esperienza che ha dato sviluppi straordinari: una parte del Prometeo di Luigi Nono è stata realizzata al CSC e tanti altri compositori vi hanno lavorato a cominciare da Adriano Guarnieri, Giacomo Manzoni, Salvatore Sciarrino, Ivan Fedele, Claudio Ambrosini, Stefano Gervasoni. Questa esperienza mi ha dato la possibilità di sviluppare un tipo di approccio che non era attuabile in altri centri europei. Con Alvise Vidolin abbiamo creato degli algoritmi di elaborazione che sono stati pensati per lo sviluppo dell’idea compositiva. Questo non è sempre possibile perché in molti studi internazionali si lavora con delle patch precostituite che si possono piegare alle proprie esigenze però non è sempre possibile definire ogni parametro del progetto. Con Alvise Vidolin questo è stato possibile non soltanto per un pezzo come “Fatales Fagott Solo”, ma anche per progetti molto più ampi e articolati potendo così entrare nel suono come con un microscopio si entra nella materia.

  • Passiamo in rassegna più nel dettaglio le composizioni di questo concerto per il suo “non-compleanno” …

Incominciamo da “I binari del tempo” (1998) che è uno dei pezzi a cui sono più legato e forse uno dei miei pezzi più eseguiti in assoluto: vanta già tre edizioni discografiche diverse e questo è una cosa non comune per un pezzo contemporaneo che utilizza anche le tecnologie elettroniche. Roberto Fabbriciani ne è un’interprete straordinario. Il titolo è tratto da un passaggio di “Danubio” di Claudio Magris; mi ha molto suggestionato l’idea di pensare a un progetto in cui l’interprete guarda dentro sé stesso. Tutti i suoni sono eolici, quindi sono “mediati”, non esiste un suono che non sia elaborato in partenza e mediato dall’aria. Durante la produzione al GRM era stato captato il battito del cuore dell’interprete con cui avevo registrato il materiale sonoro strumentale e negli studi, con le straordinarie tecnologie di elaborazione digitale disponibili nel centro parigino, ho potuto catturare questo suono molto flebile facendolo diventare molto presente e protagonista del brano, invertendone il ritmo e rendendolo un battito che sta dentro il suono. Quindi l’idea de “I binari del tempo” ha preso forma: un viaggio dentro l’io, nella dimensione temporale e personale, il flauto come filtro del tempo e il ritmo binario del cuore giocando sul significato “binario” del titolo.

  • A seguire il brano per oboe solo con Christian Schmitt.

“Hallucinée de lumière parmi les ombres” (2013) per oboe solo è un pezzo il cui titolo è legato a una poesia di Giacinto Scelsi. Ho lavorato molto sulla musica di Scelsi in quanto per dieci anni sono stato Presidente della Fondazione per la gestione del suo lascito artistico. Scelsi muore nel 1988 dopo essere stato per un anno presidente della Fondazione da lui stesso creata. Dal 2004 al 2014 ne ho assunto la Presidenza e ho avuto la possibilità di conoscere profondamente non soltanto l’insieme della sua opera compositiva, ma soprattutto la sua incredibile prassi compositiva: lui la chiamava “lucida passività”, ma era in realtà uno stato continuo di allucinazione e questo suo lavorare tra i suoni, questo suo lavorare all’interno delle altezze microtonali con un continuo oscillare tra il suono e le sue periferie e mi ha dato l’idea di scrivere questo pezzo per oboe solo. Scelsi è stato anche un poeta importante, ha scritto tutti i testi delle sue poesie in francese lingua da lui amatissima e con la quale si esprimeva correntemente. È un pezzo molto virtuosistico di notevole difficoltà che Christian Schmitt interpreta in maniera meravigliosa entrando, da grande maestro qual è, nelle più piccole inflessioni del suono e quindi potendone esplorare la centralità e il suo rapporto con le periferie e soprattutto con le multifonie che popolano questo lavoro.

  • Con “AchaB II” (2002) si ritorna al rapporto con l’elettronica e in questo caso è il clarinetto basso lo strumento al centro dell’attenzione.

Questo pezzo è parte di una trilogia che si chiama proprio AchaB, ma ogni pezzo è eseguibile singolarmente. Il primo è un pezzo per clarinetto in si bemolle, il secondo per clarinetto basso ed elettronica e il terzo per clarinetto contrabbasso, elettronica e video con il video creato da David Ryan un grande video artista inglese. Il Tirolerfestspiele di Erl, che mi commissionò il pezzo, chiedeva che ci fosse un riferimento a Johann Sebastian Bach. Io sono partito da un frammento del Secondo Concerto Brandeburghese, che viene dilatato ed esasperato, per generare tutto il materiale e ho lavorato a lungo negli studi dell’Akademie der Künste di Berlino per poter creare un progetto che mettesse insieme questa idea di lontana provenienza, che diventa esplicita in un passaggio verso la fine della composizione, con l’idea della ricerca in questo mare immenso sonoro. Da qui il riferimento al capitano Achab del Moby Dick di Melville che nel suo nome porta le stesse lettere della dedica “A Bach”.

  • Dopo il clarinetto arriva Paolo Carlini con il brano per fagotto.

Il titolo “Fatales Fagott Solo” (2019) è legato a un’immagine visiva: ero a Berlino nelle pause di lavorazione della produzione alla Staatsoper della mia opera su Falcone e insieme a Franco Ripa di Meana, che ne ha scritto il libretto e che fu anche il regista della prima edizione di quest’opera, andammo a vedere il Museo Berggruen nel quartiere di Charlottenburg dove c’è una bellissima raccolta di arte del ventesimo secolo tra cui una sezione dedicata a Klee. In quel periodo stavo lavorando al progetto di un nuovo pezzo per fagotto con elettronica, uno strumento che raramente è impiegato nella musica contemporanea e soprattutto raramente impiegato nella totalità delle sue possibilità timbriche in rapporto alle tecnologie di elaborazione digitali. Così immaginavo un fagotto da cui scaturisse un cosmo di sonorità, un insieme di suoni surreali quasi immaginari e improvvisamente mi sono trovato davanti un disegno di Klee in cui c’era un fagottista al centro con il suo strumento e una quantità di segni e simboli incredibili che uscivano da questo fagotto: uccelli, forme geometriche, stelle, i tipici segni di Klee! L’immagine disegnata era proprio quello che avevo in mente: il titolo di questo disegno era “Fatales Fagott Solo” e non poteva che essere lo stesso per il mio pezzo. L’immaginifico universo sonoro è stato poi magistralmente creato e interpretato dal vivo da Paolo Carlini.

  • Penultimo brano è stato “Al di là dei miei uragani”.

“Al di là dei miei uragani” (2003) per fisarmonica deriva da un’opera che scrissi nel 1997 per il teatro musicale e per la danza con le coreografie della Compagnia Corte Sconta di Milano. Il libretto era stato scritto da Erri De Luca. In un passaggio di quest’opera era contenuta questa espressione “al di là dei miei uragani”: mi è piaciuta moltissimo. Avevo poi in mente di scrivere un pezzo per fisarmonica e di dedicarlo a mia mamma pensando alla fisarmonica come a uno strumento che si abbraccia, che si porta in braccio, un simbolo molto filiale e infatti la fisarmonica in questo pezzo diventa corpo umano respirando e ingaggiando quasi una lotta corpo a corpo con l’interprete e generando un uragano interiore. Francesco Gesualdi è stato interprete eccellente di questo pezzo che ha anche inciso su disco.

  • Giungiamo alla conclusione della serata con l’ultimo brano che ha anche dato il titolo al concerto.

“Cavallo Marchese”, eseguito in prima assoluta, era il pezzo pensato proprio per i quattro interpreti con cui era nato in origine il progetto di questo concerto per il mio sessantesimo compleanno. È un pezzo per flauto basso, clarinetto basso, fagotto e fisarmonica quindi tre strumenti a fiato che passano attraverso la fisarmonica, da cui scaturisce una grande polifonia dell’aria. Quindi un pezzo legato alla proiezione di suoni eolici: dal mantice della fisarmonica alle singole voci degli strumenti a fiato. Questa grande polifonia aerea l’ho immaginata come una specie di favola, come se le voci dell’aria fossero i colori di una bellissima favola, quella del Cavallo Marchese, che appartiene alla memoria della mia infanzia. Quando ero bambino andavo nella soffitta di un bellissimo palazzo di una famiglia nobile di Ferrara a trovare il “Cavallo Marchese”, un cavallo a dondolo che a me sembrava quasi che parlasse illuminato nella penombra della soffitta da una tenue luce, come avviene nei misteri di quando si è bambini. Ho quindi pensato di rievocare questo mistero e di legare questo ricordo a una favola di suoni: un incontro tra forme sonore legate a traiettorie aeree che viaggiano nello spazio del tempo.

Luca Di Giulio                                             

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