Palermo: das Paradies und die Peri, palingenesi delle lacrime

La redenzione attraverso un atto di bontà è il fulcro delle peregrinazioni della Peri – ninfa della mitologia persiana assunta poi da quella islamica che la vuole esclusa dal paradiso per una colpa non sua – che dovrà essere esibito all’angelo guardiano delle porte celesti e chiave per poter entrare a far parte della schiera dei beati.

La novella di Thomas Moore che Robert Schumann conosceva sin dall’adolescenza diventa il punto di partenza per Das Paradeis und Die Peri, né oratorio né opera ma racconto in un’unica arcata narrativa in cui i solisti – ad eccezione della protagonista – incarnano di volta in volta i personaggi del racconto con il coro a dar vita ai momenti salienti.

Tra gli ultimi lavori prima del manifestarsi dei disturbi psichiatrici che tormenteranno il compositore sino alla morte il Paradiso e la Peri rilegge l’esotismo in chiave profondamente spirituale, bagnandolo non solo al fiume delle filosofie orientali, ma immergendolo anche nei flutti dell’etica luterana nel suo riconoscere che la salvezza dell’anima non può che derivare da un atto umano.

Non basterà il sangue di un eroe che si ribella al tiranno indiano e che da questi subirà il martirio, né l’ultimo respiro di una giovane tra le cui braccia spira il marito ucciso dalla peste e che lei ha raggiunto sulle rive del Nilo per morire con lui cantando il suo ultimo addio all’amato.

Saranno le lacrime di rimorso e pentimento che un vecchio malfattore lubrico spargerà alla vista di un bambino che prega nella città di Balbeck ad aprire il paradiso alla Peri e proprio le lacrime sono il Leitmotiv del video – cifra di tutte le produzioni di Anagoor – realizzato da Simone Derai, che firma anche la regia, assistito da Marco Menegoni.

L’impianto scenico, dello stesso Derai – illuminato benissimo da Fabio Sajiz – che disegna anche i costumi che si richiamano ad un Islam dai colori pastello, si riduce intelligentemente – per mantenere la scenicità astratta del lavoro schumaniano – ad un piano inclinato decorato coi motivi floreali dei tappeti di Tabriz – che termina in una gradinata verso il boccascena ed è sovrastato da un tableau al cui centro campeggia in neon la scritta Allah, che sarà coperta alla discesa dello schermo ove si proietta il video che sottolinea esemplarmente, esaltandola, la narrazione.

Le prime lacrime sono quelle dello stesso Schumann, che siede immobile, come in posa per un ritratto fotografico e contro uno sfondo il cui disegno è identico a quello del palcoscenico.

Piange alla musica e al testo che lui stesso ha composto, sembra ricordare assalito dalla nostalgia di un tempo lontano; lo raggiungeranno Clara e i quattro figli, lei immobile e distante nella sua inespressività carica di espressione.

Sulla famiglia si abbatte una pioggia sferzante, ancora lacrime, che contraddice l’apparente serenità.

La prima peregrinazione della Peri avviene sulle immagini di un vicino Oriente martoriato dalle dittature islamiche e sugli infiniti e straziantemente belli volti dei giovani martiri delle rivoluzioni integraliste, caduti per mano di una religione distorta e stuprata dal potere.

Il video scivola senza soluzione di continuità nel secondo episodio – girato nel Museo Egizio di Torino inteso come spazio chiuso di un passato eterno e felice – e vede la storia d’amore tra una giovane magrebina e un ragazzo dell’Africa subsahariana.

Le immagini della redenzione sono incentrate sulla preghiera, che si ascolta brevemente in un inserto interpolato alla musica a cristallizzare un momento di grande intensità. È il vorticare mistico di un derviscio bambino a offrire la via della purificazione totale attraverso l’estasi mistica, insieme alle lacrime di un vecchio dal viso scolpito dal tempo.

Alla glorificazione della Peri il nome di Allah torna visibile a sottolineare la potenza dell’elemento divino che non può comunque prescindere dall’azione dell’uomo.

Il coro è costantemente presente, ai lati del boccascena, così come il quintetto dei protagonisti, la cui interazione è misticamente ridotta ad una gestualità tanto essenziale quanto evocativa, concentrandosi sull’intensità degli sguardi.

Tutto funziona e dà vita ad uno spettacolo di meravigliosa coerenza e di grande impatto emotivo.

Sul versante musicale Gabriele Ferro si rende protagonista di una prova incentrata sulla rapsodicità  della narrazione, tesa alla ricerca di colori mai troppo accesi e di scelte dinamiche sfumate.

Sugli scudi il Coro, che preparato da Ciro Visco, offre una prova maiuscola per partecipazione emotiva e rotondità di suono, oltre che per la coesione impeccabile delle varie sezioni.

La Peri di Sarah Jane Brandon ha voce forse un po’ esile, ma risulta sempre convincente nel fraseggio e nel pathos trasognato che infonde al suo canto.

Atala Schöck è maestosa e materna nel dare voce all’Angelo che a malincuore respinge per due volte la ninfa. Il suo canto è denso, intimamente compreso, rassicurante.

La Jungfrau di Valentina Mastrangelo commuove nell’intimo con il suo addio pieno di speranza all’amato in quello che è uno dei momenti più alti della composizione e che è cantato con un trasporto totale.

Gigantesco Albert Dohmen, capace di piegare la voce a morbidezze estreme per lanciarla poi in tensioni drammatiche di grande forza.

Bravissimo anche Maximilian Schmitt, che ha la voce chiara dell’Oratore delle Passioni bachiane e che qui canta splendidamente le parti di raccordo.

Il pubblico – peccato per qualche posto vuoto di troppo – apprezza e applaude convinto.

 

Alessandro Cammarano
(24 ottobre 2014)

La locandina

Direttore Gabriele Ferro
Progetto artistico Anagoor
Regia, scene, costumi, video Simone Derai
Consulenza drammaturgica Klaus-Peter Kehr
Luci Fabio Sajiz
Assistente alla regia Marco Menegoni
Personaggi e interpreti:
Peri Sarah Jane Brandon
Jungfrau Valentina Mastrangelo
Mezzosoprano Atala Schöck
Tenore Maximilian Schmitt
Baritono Albert Dohmen
Orchestra e Coro del Teatro Massimo

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