Piacenza: Rigoletto di tradizione

Si inaugura la stagione del Teatro Municipale di Piacenza con un grande classico della letteratura operistica mondiale: Rigoletto di Giuseppe Verdi.

A tenere le redini di una giovanissima compagnia di canto è il baritono Leo Nucci, leggendario Rigoletto acclamato in tutto il mondo, qui non più nelle vesti del tragico buffone ma di regista.

Nel libretto di sala, in cui spicca un interessante saggio di Giancarlo Landini, Nucci si dichiara uomo e artista che ha dedicato la sua vita allo studio e al rispetto dell’opera musicale e umana del grande Giuseppe Verdi, confermando ancora una volta la sua posizione di metteur en scène.

A tal proposito però è necessario fare alcune riflessioni.

Rappresentare un’opera di repertorio oggi è un’operazione molto complessa e delicata. Indubbiamente un titolo di tradizione, nel desolante panorama culturale italiano in cui la prevedibilità è ormai consuetudine, è una certezza in quanto garantisce il «tutto esaurito». Tuttavia questo fenomeno nega la veicolazione di altri autori del passato e del presente che meriterebbero di essere (ri)conosciuti. Ma non solo, il rischio è di cadere nel déjà-vu. In altri termini l’inflazione porta a non destare più interesse o peggio ancora abituare il pubblico a un teatro di routine.

Con ciò non si dice di vietare per i prossimi cinquant’anni le opere di repertorio poiché, fino a prova contraria, ci sarà sempre qualcuno che le vedrà per la prima volta ma forse è il caso di riflettere su dove stia andando oggi il melodramma italiano.

Se la filologia musicale ci riporta a una visione pura dello spartito, di contro le regie spesso ci pongono dei quesiti, talora interessanti ma anche talvolta poco convincenti e scontati. Certo è che il teatro musicale non è più fatto di scene di cartapesta e luci alla ribalta coi cantanti freddi ed immobili come una statua (cit.) tuttavia c’è ancora chi ignora il contrario.

Se però la volontà è quella di ricostruire un teatro didascalico, per farlo veramente come si deve, occorrono mezzi e disponibilità che garantiscano scene dipinte e fondali pittoreschi, costumi meravigliosi e effetti che rievochino gli antichi fasti in cui la staticità scenica veniva surclassata da interpreti carismatici e vocalmente aurei.

Pertanto, se l’idea di base di Leo Nucci è lodevole, al tempo stesso non decolla, anzi, rischia di far passare  -soprattutto alle nuove generazioni a cui è stata aperta l’anteprima- un modello di melodramma che non è più così e, mi permetto di dirlo, non è mai stato tale anche nei grandi teatri di tradizione.

Sul podio Francesco Ivan Ciampa cerca di restituire una partitura dinamica tesa all’espressività e alla ricerca di una tavolozza di colori che non sempre l’Orchestra Filarmonica Italiana asseconda. Tuttavia il suo gesto ordinato e ben articolato lascia trasparire una musicalità piuttosto viva e interessante nonché una certa padronanza di tenuta fra buca e palcoscenico.

Aderente alla sua lettura è il canto di Amartuvshin Enkhbat, baritono di origine mongola, la cui tecnica solidissima ricorda le grandi voci del passato. Timbro brunito, morbidezza di emissione, uguaglianza fra i registri, volume e ottima dizione sono una delle sue principali caratteristiche, premesse che gli consentiranno di dedicarsi maggiormente all’aspetto interpretativo ed emozionale di questo difficilissimo ruolo.

Al suo fianco Federica Guida è una giovanissima Gilda delicata e innocente. Dotata di voce limpida con estrema facilità negli acuti e nei filati, la Guida da il meglio di se nel secondo e terzo atto tanto da bissare assieme a Enkhbat il celebre duetto della vendetta.

La vocalità da lirico leggero del tenore Marco Ciaponi, seppur corretto ed espressivo nelle parti cantabili, non gli permette di eccellere nelle sezioni di maggior eroicità e slancio costringendolo a forzare l’emissione.

A completare il quartetto vocale è la Maddalena di Rossana Rinaldi, vocalmente e scenicamente molto convincente.

Fin troppo giovane è il Monterone di Christian Barone il cui ruolo, breve ma imprescindibile come quello del Convitato di pietra di mozartiana memoria, richiederebbe un’emissione più matura e incisiva. Lo stesso vale per lo Sparafucile di Mattia Denti, prestante scenicamente, dizione ben curata ma vocalmente troppo chiaro per una scrittura che richiederebbe una cavata decisamente più profonda.

Ottime le parti di fianco a partire dal brillante Paggio di Agnes Sipos, così come si conferma estroverso il Marullo di Stefano Marchisio e Andrea Galli nei panni di Borsa. Bene il resto del cast così come sempre all’altezza il coro istruito dal maestro Corrado Casati.

Successo di pubblico per un’opera che ancora fa riflettere e… discutere?

Gian Francesco Amoroso
(17 dicembre 2022)

La locandina

Direttore Francesco Ivan Ciampa
Regia Leo Nucci
Regista Collaboratore Salvo Piro
Scene Carlo Centolavigna
Costumi Artemio Cabassi
Luci Michele Cremona
Personaggi e interpreti:
Il duca di Mantova Marco Ciaponi
Rigoletto Amartuvshin Enkhbat
Gilda Federica Guida
Sparafucile Mattia Denti
Maddalena Rossana Rinaldi
Giovanna Elena Borin
Il conte di Monterone Christian Barone
Marullo Stefano Marchisio
Matteo Borsa Andrea Galli
Il conte di Ceprano Juliusz Loranzi
La contessa di Ceprano Emanuela Sgarlata
Un paggio Agnes Sipos
Un usciere Lorenzo Sivelli
Orchestra Filarmonica Italiana
Coro del Teatro Municipale di Piacenza
Maestro del coro Corrado Casati

0 0 voti
Vota l'articolo
Iscriviti
Notificami

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

0 Commenti
Inline Feedbacks
Vedi tutti i commenti