Rinasce a Lugano il Teatro d’Opera. Nell’anno rossiniano il LAC rende nei fatti il significato della parola Evento

Siamo ormai tutti abituati, e male, a prender parte una o più volte al giorno a quelli che genericamente sono definiti “Eventi” ma che, a torto, vengono promossi con la maiuscola. Non è il caso della Prima rappresentazione assoluta d’Opera Lirica che il LAC di Lugano ha offerto il 3 settembre u.s. a tre anni dalla sua inaugurazione. In questo caso la maiuscola va usata, eccome! Chi ha avuto modo di prendere parte ad altre manifestazioni della realtà ticinese avrà avuto senz’altro constatato, oltre alla proverbiale perizia organizzativa,  la pregevole resa tecnico-acustica della sala. Entrambe queste caratteristiche sono tra le motivazioni che accrescono la maiuscola di cui prima. Se a queste aggiungiamo il merito storico di essere riusciti a creare un prodotto culturale mai udito, tanto da segnare il passo verso una nuova concezione dell’interpretazione rispetto al Titolo rossiniano più rappresentato al mondo, possiamo affermare con certezza che il Teatro d’Opera sia rinato a Lugano nel migliore dei modi, dando una significativa lezione di Arte e Cultura attraverso un’esecuzione critica de “Il Barbiere di Siviglia” (Coproduzione tra Radiotelevisionesvizzera – LAC – LuganoInScena – LuganoMusica) che mette in discussione  – molto giustamente – alcune brutte prassi esecutive che sono andate ad esasperarsi nel tempo.

A Diego Fasolis è affidata la Direzione Musicale, fondamentale in questo processo di ri-creazione, come del resto la scelta di utilizzare gli strumenti storici con diapason a 430 Hz  de “I Barocchisti” che, citando il Direttore, «in questa occasione dovremmo chiamare Classicisti». Il Maestro merita un vero e sentito “grazie!” dal mondo musicale per il suo lavoro interpretativo operato qui sull’edizione critica del compianto M° Zedda: le sue scelte sono tutte al servizio della Musica. Il suo approccio al testo (poetico e musicale) è quello di chi ha gli strumenti culturali ed estetici per poter dettare nuovi tempi e modi esecutivi che, in realtà, suonano come delle novità sol perché i nostri giorni sono ormai assuefatti agli stravolgimenti dei “virtuosi”. Per una volta abbiamo avuto il privilegio di poter ascoltare dei Recitativi come si comanda: parti fondamentali per lo scioglimento dell’intreccio e non un’affannosa staffetta, Teatro Musicale allo stato puro; bellissimi! Questo uno dei motivi per cui la scelta di interpretazione critica adottata da Fasolis dimostra di poter essere un bell’esempio che i più dovrebbero pensare di seguire. Ancora, l’Overture: il noto “crescendo rossiniano” non si limita ad essere una pura e semplice accelerazione sommativa di parti orchestrali ma viene reso come vero e proprio accrescimento timbrico-frastico (molto ben sottolineato dai danzatori in scena che, in bianchissimi abiti settecenteschi, rappresentano un frenetico andirivieni di tante Rosina e altrettanti Figaro; quest’ultimi con in testa sfere da chiromante illuminate e illuminanti, come ben si addice a chi intonerà “un vulcano è la mia mente”). Inoltre, volendo legare teatralmente l’Overture al principiare dell’Atto I, si fa una scelta precisa per terminarne la stretta finale: la messa in rilievo del fortepiano. Questo l’ultimo strumento storico posto in evidenza d’ascolto che, un attimo dopo, vediamo comparire come primo elemento di scena. Tante altre sono le sinestesie presenti all’interno di questo Allestimento, volte a  testimoniare l’intento di calibrare ed equilibrare tutti gli attori del processo creativo.

Altro ruolo fondamentale a sostegno di questa lettura è quello della Regia che Carmelo Rifici realizza con un progetto più che convincente. Lo spazio scenico è gestito ed utilizzato interamente valorizzando al meglio nei diversi momenti tre piani fondamentali: perimetro (fisso a pannelli, rappresentante un “palazzo fuori misura di azulejos”), centro (modificabile a struttura metallica illuminata, rappresentante lo scheletro della casa di Don Bartolo), ribalta (isolata con veletto incorniciato con retroscena in controluce). In questo spazio gli aspetti escatologici della drammaturgia sono rivelati da un’ampia gamma di elementi, ad esempio i cambi di colore dello scheletro della casa in funzione del topos che caratterizza il personaggio che, di volta in volta, è protagonista. In questo disegno molto ben organizzato dalla Regia, è indispensabile che la parte coreografica sia resa al meglio: i movimenti scenici di Alessio Maria Romano offrono in entrambi gli Atti una narrazione corporea curatissima che, sin dall’Overture, risulta come vera amplificazione/descrizione di un personaggio o di un intreccio (molto bello anche il “Coro danzante”, dove i maschi ringraziano e le femmine intascano,  che sostituisce i previsti “suonatori di strumenti” assoldati da Fiorello). Il Deus ex-machina di questo Libretto qui lo è non solo in senso figurato. È da una botola, infatti, che sorge in scena l’interprete del ruolo-titolo, Giorgio Caoduro. La sua Cavatina ci permette, da subito, di godere dell’ottimo strumento vocale di cui è fornito, unitamente ad una presenza sicura e dominante che non si abbandona mai ai noti vezzi che traviano questo ruolo; sostiene con perizia l’intera recita anche nelle assai impervie novità di questa versione in fatto di variazioni. Un altro è il locus prescelto per  rappresentare la fusione tra il “vil metallo” e le astuzie femminili: una fontana maiolicata. L’oro “che tutto può” sgorga da questa in forma di luce e dalla stessa sorge una Venere/Rosina ammantata di quei dobloni che le danzatrici avevano nascosto in seno dopo “Ecco ridente in cielo”. Quale miglior scelta per la Serenata di Lindoro, ottimamente resa da Edgardo Rocha. Sia in questo punto specifico che nel resto, la sua Voce si conferma perfetta per il ruolo, come per gli altri similari: continua nel flusso della parte, dimostra come Rocha sia tenore capace di una luminosità strutturata e versatile, sia per condotta della linea di canto che per la disinvoltura con cui sostiene pienamente l’impegno tecnico importante, senza dimenticare una presenza scenica nobile e dinamica al tempo stesso.  Segue il momento topico di Rosina, Lucia Cirillo: “Una voce poco fa”; questo è preparato dall’allestimento degli interni della casa di Bartolo ad opera di monache dalle morbide tuniche nere ma dal capo e dal seno costretti da bianchissime fasce che richiamano e sostituiscono le ammiccanti danzatrici poste a vista nelle quinte durante la Serenata; un significativo Bianco contro Bianco e Nero. L’esecuzione è di altissimo livello interpretativo e, quando si passa alla Cabaletta, così come la Scena si illumina di aranciate candele stilizzate, l’artista, con delle impeccabili nuovissime variazioni, spiega in modo efficacissimo la malizia sulfurea di cui si vanta esser capace la ragazza “finta semplice” quando si picca. Tutta la Recita di Lucia Cirillo è un raffinato impreziosirsi di novelle fioriture che sembrano gemme. Ancora una monaca, questa volta a scortare l’arrivo di Don Basilio, qui interpretato da Ugo Guagliardo. Altro artista di primo piano: Voce sicura, potente e ottimamente gestita grazie ad una consapevolezza musicale e scenica completa. “La calunnia” ascoltata qui ha la fascinazione di una profondissima gola infernale di cui possiamo, incredibilmente, chiaramente vedere il fondo.

Continuano gli apprezzabilissimi spunti offerti dalla Regia: allo svelarsi del nome “Ro… Si… Na… Rosina” da parte di Figaro, Rosina comincia a flirtare con lui dimostrando nei fatti la sua “innocenza” (meraviglioso!), tanta e tale che al concludersi di “Dunque io son la fortunata” si concede ad un appassionato bacio libertino e liberatorio nei confronti del Barbiere… più tardi l’istesso bacio, con le stesse movenze lo riserverà a Don Alonso alla fine dell’ “Aria dell’inutil precauzione”. Riccardo Novaro  è un Don Bartolo sempre efficace nella gestione della linea di canto e, altresì,  coinvolgente; trova nell’interpretazione di “A un dottor della mia sorte” una riuscita piena e rara per l’attenzione alle scelte musicali. La caratterizzazione è sublime: la recitazione disegna in modo pienamente aderente quel personaggio apparentemente pulito e composto, così come la precisa e puntuale resa del sillabato (dispiegato senza perdere volume) ne sottolinea la grottesca e grossolana natura di fondo. Anche in questo momento la Scena è partecipe: al “quando Bartolo andrà fora” rivela la prigione dorata che è l’interno della casa, in netta contrapposizione al portone essenziale. In questa casa la Berta di Alessandra Palomba risulta perfettamente per quello che ci si aspetta e si chiede al ruolo, sia vocalmente (qui anche si aggiungono variazioni funzionali) che scenicamente. Berta è una domestica vispa nonostante l’età che, pur di placare la febbre d’amore (di eros in realtà), si lancerebbe senza troppo pensare… quest’aspetto è reso scenicamente in modo molto accattivante, ammiccante ma sempre elegante: uno stuolo di giovanotti e fanciulle si snodano nei meandri della mente della domestica e, al passare in direzione dello sguardo della bramosa, vengono bagnati da un fascio di luce dorata… Cupìdi zelatori di cupidigia, maschi o femmine che siano. Da accenni di lussuria si passa al Lusso vero e concreto se si deve riportare e riflettere sulla prova dell’Orchestra e del Coro. Sonorità non semplici quelle da realizzare con strumenti storici: ottima prova, specialmente in quei delicatissimi dettagli che connotano certi punti nodali della vicenda (consegna della borsa a Don Basilio, Instrumentale esprimente un Temporale… ). Altrettanto il Coro (qui ha coperto anche i ruoli comprimari di Fiorello, Yiannis Vassilakis, e Un Ufficiale, Matteo Bellotto) che, sempre di alto livello, nel Finale è formidabile. Iconica, e con un certo senso morale, è l’ultima connotazione mimica dei protagonisti: Rosina e Bartolo entrambi di profilo; Figaro e Basilio frontali sulla scala del palazzo; Berta che fa capolino dal portone semiaperto. Una menzione particolare deve essere resa a Scene, Costumi e Luci. Nello specifico le Scene di Guido Buganza sono risultate, per come lasciato intendere prima, molto più che efficaci… diremmo fondamentali;  avere la responsabilità di valorizzare e connotare più piani di mise en place che, conseguentemente, risultano piani di fruizione distinti, e complementari allo stesso tempo, è compito arduo. Saperlo fare così è cosa da maestri. I Costumi di Margherita Baldoni, altrettanto, rispecchiano la volontà sinergica espressa dal progetto dell’Allestimento: molto buone la cura verso l’aderenza stilistica, la scelta dei pesi e, non di meno, l’equilibrio cromatico che, durante tutta la recita ha offerto un importante supporto descrittivo. Non di meno hanno fatto le Luci di Alessandro Verazzi, sempre curate nel dettaglio e bilanciate perfino negli sfondi d’angolo; non semplici complementi ma veri e propri elementi di scena in più momenti (fontana iniziale, temporale… ).

Il 3 settembre 2018 a Lugano è rinato un Teatro d’Opera vincendo una scommessa culturale non facile: dare un nuovo senso estetico al Teatro Musicale attraverso un Titolo arcinoto e già bello di per sé.

Così si rende nei fatti il significato della parola Evento (con la maiuscola!).

Antonio Cesare Smaldone
(3 settembre 2018)

La locandina

Direttore Diego Fasolis
Regia Carmelo Rifici
Scene Guido Buganza
Costumi Margherita Baldoni
Luci Alessandro Verazzi
Movimenti scenici Alessio Maria Romano
Il Conte d’Almaviva Edgardo Rocha
Bartolo Riccardo Novaro
Rosina Lucia Cirillo
Figaro Giorgio Caoduro
Basilio Ugo Guagliardo
Berta Alessandra Palomba
Fiorello Yiannis Vassilakis
Un Ufficiale Matteo Bellotto
Ambrogio Alfonso De Vreese
Attori
Ugo Fiore
Leda Kreider
Benedetto Patruno
Matteo Principi
Marco Risiglione
Walter Rizzuto
Livia Rossi
Annapaola Trevenzuoli
Isacco Venturini
I Barocchisti
Coro della Radiotelevisione svizzera

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