Bolzano: Haydn e Beethoven allo specchio

Quando tra orchestra e direttore si instaura una consuetudine che diventa complicità l’esito non può che essere felice ed è esattamente questo che accade fra l’Orchestra Haydn di Bolzano e Trento e Kent Nagano.

Il direttore statunitense è da qualche anno presenza fissa nelle stagioni della Haydn proponendo scelte di programmi essenzialmente improntati al classicismo ma capaci di spaziare sino al grande repertorio romantico ed a sconfinare nel Novecento, il tutto con un rigore interpretativo assoluto coniugato però ad una curiosità che diviene elemento distintivo.

L’impaginato proposto nell’ultimo concerto – lo scorso 22 aprile all’Auditorium di Bolzano, con replica a Trento e poi al Teatro La Fenice – è di tutto ciò rappresentazione plastica.

Se la Sinfonia concertante in si bemolle maggiore Hob. i:105 di Joseph Haydn è un inno al “bon vivre la Sinfonia n. 2 in re maggiore, op. 36 di Beethoven è invece una meditazione sull’esistenza.

Nei suoi tre movimenti la pagina haydniana – eseguita per la prima volta a Londra nel 1792 nell’ambito dei concerti organizzati dal violinista Johann Peter Solomon, che aveva portato con sé oltremanica il compositore, congedato dopo trent’anni di servizio dalla famiglia Esterhàzy – è a tutti gli effetti la tredicesima delle sinfonie londinesi, pur mantenendo la forma del concerto in tre movimenti.

La colloquialità immediata del concertino con l’orchestra ne è il carattere fondamentale, cui si uniscono trovate armoniche e momenti di assoluto virtuosismo affidati al quartetto solista, con il violino – alla prima lo stesso Solomon fi tra gli esecutori – e il violoncello chiamati a cimentarsi su una scrittura impervia.

Composta in massima parte durante il suo soggiorno a Heligenstadt, durante il quale Beethoven prende definitiva coscienza del suo destino nel silenzio – e redige la lettera testamento dove adombra l’idea del suicidio – la Sinfonia n. 2 in re maggiore nasconde, sotto la sua apparente serenità, tutto il tormento del Genio di Bonn.

Emblematici a questo proposito il ruggito dei fiati – per altro assai criticato dai contemporanei – e il Finale tumultuoso e “strano”, come lo definì la Allgemeine Musikalische Zeitung nel 1804.

La lettura delle due pagine da parte di Nagano è in qualche modo speculare in un accostarle per metterne in risalto la diversa concezione estetica e contenutistica.

Per Haydn – grazie anche ai quattro solisti Gianni Olivieri (oboe), Flavio Baruzzi (fagotto), Marco Mandolini (violino) e Luca Pasqual (violoncello) tutti prime parti dell’orchestra – Nagano sceglie un suono terso, animato da arcate rarefatte eppure sontuose nel loro dipanarsi, tessendo il racconto musicale su un ordito ritmico improntato ad una luminosità serena.

In Beethoven invece il ritmo incalza graffiante, le dinamiche frustano dando vita ad un’interpretazione vibrante e disperata capace di mettere in piena evidenza il contrasto fra la sete di vita e angoscia per il futuro.

Successo per tutti e come bis un Intermezzo per violino, violoncello, oboe, fagotto e orchestra di Jean Philppe Bendus.

Alessandro Cammarano
(22 aprile 2024)

La locandina

Direttore Kent Nagano
Oboe Gianni Olivieri
Fagotto Flavio Baruzzi
Violino Marco Mandolini
Violoncello Luca Pasqual
Orchestra Haydn di Bolzano e Trento
Programma:
Joseph Haydn
Sinfonia concertante in si bemolle maggiore hob. i:105
Ludwig van Beethoven
Sinfonia n. 2 in re maggiore, op. 36

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