Roma: il Cesare antieroe di Michieletto

Torna dopo venticinque anni al Teatro Costanzi di Roma il Giulio Cesare in Egitto, e torna alla grande. A dirigere il capolavoro di Georg Friedrich Händel, composto  per il King’s Theatre di Londra, dove andò in scena nel 1724 su libretto di Nicola Haym, che trasformò quello originale di Giacomo Francesco Bussani musicato a Venezia cinquant’anni prima da Antonio Sartorio,  è uno dei massimi conoscitori del repertorio barocco, il maestro Rinaldo Alessandrini,  che ha guidato alla perfezione nell’inabituale impresa l’Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma. A firmare la regia dello spettacolo romano. che riprende una produzione parigina del Théatre des Champs Elysées, è sempre Damiano Michieletto, l’ex enfant prodige del teatro d’opera contemporaneo, venerato all’estero dove è una star riconosciuta, e a giusto titolo, a giudicare da questa che resta une delle sue prove più riuscite.

Non pochi e indovinati i cambiamenti per il nuovo allestimento rispetto a quello parigino andato in scena la primavera scorsa a Parigi con sul podio Philippe Jarousski. Più incisivi per esempio i fili rossi del destino che intrappolano la figura di Cesare come un manichino, mentre s’affaccia alla ribalta spuntando da una quinta completamente bianca.

Più accurato il gioco delle variazioni di luce, che al punto culminante sfumano dal bianco ghiaccio all’indaco, quasi a sottolineare la dimensione onirica che si accompagna al racconto. Maggiore il controllo sul velo di plastica che scende dall’alto a mo’ di sipario per rappresentare il mare in tempesta, e a un certo punto cade a terra per essere raccolto come un lenzuolo da Sesto, assetato di vendetta, che lo trasforma in un cappio per strangolare Tolomeo, il faraone egizio fratello di Cleopatra, assassino del padre Pompeo. Perfezionata la scena, l’intero spettacolo è stato accolto dal pubblico romano del Costanzi con applausi ben più convinti, rispetto ai dissensi dei francesi, non poco critici verso una regia giudicata astratta e addirittura priva di senso.

La verità è che all’Opera di Roma si è visto uno degli spettacoli migliori degli ultimi tempi, grazie al perfetto equilibro e alla meticolosa corrispondenza raggiunti l’estrema economia dei mezzi della regia e l’intensità drammaturgica della direzione musicale.  E infatti, niente fronzoli e ridondanze.

Un’unica quinta a “L” bianco giacchio che sul fondo si solleva come un corridoio per far scorrere il fantasma delle tre parche, nude e livide come le Veneri di Cranach, col loro lungo manto di capelli ribelli. Costumi ultra contemporanei sia gli uomini sia per le donne.  Cesare in giacca e cravatta blu elettrico, Sesto in completo bianco da Wimbledon anni Trenta, Tolomeo con mèche biondo cenere in camicia e pantaloni di lino, arricchiti di faraonico mantello di velluto e collare egizio. Cornelia in tailleur da governante e sottoveste di seta al momento della seduzione da parte di Achilla.  Cleopatra in calotta e in deshabillée giallo acido si dimena di fronte a un appendiabiti, per scegliere prima la divisa da cameriera per traverstirsi da ancella e sedurre il condottiero romano, e poi un abito lungo di seta verde alla Rita Hayworth, per  dare libero corso all’amore conquistato.

La scena – disegnata da Paolo Fantin e illuminata da Alessandro Carletti, mentre i costumi sono di Agostino Cavalca e le coreografie di Thomas Wilhelm è epurata. E ruota intorno ai fili rossi del destino che paralizza Cesare, l’antieroe concepito da Michieletto come un uomo smarrito, come un fantoccio al culmine della gloria, spettatore di eventi sui quali non ha presa. Arrivato in Egitto, riceve la visita di Sesto e Cornelia, e in dono da parte di Tolomeo una cassetta di legno con dentro la testa mozzata di Pompeo, il suo rivale, ancora sanguinante.

La musica di Händel vola sotto la sapiente bacchetta del maestro Alessandrini, attentissimo a sceverare e liberare ogni accordo di una partitura dalla struttura complessa, dove il tema del potere s’intreccia di continuo a quello dell’amore, con una varietà vertiginosa di arie, trentatré in tutto, arie di lacrime, di catene,   di furia, che si inseguono  per tradurre tutti gli aspetti del dramma e il loro gioco incessante, la gelosia, la rivalità, la sorpresa, la ferocia.

Protagoniste assolute le voci ora limpide e sinuose, ora vibranti e potenti dei tre controtenori arruolati al posto dei soprani per lo spettacolo romano, in conformità ai castrati di un tempo come il mitico Senesino che faceva venire giù i teatri. Nel ruolo di Cesare, il Raffaele Pe domina la scena con agio sovrano sposando coi suoi acuti, i vocalizzi, i timbri cangianti, tutta la fragilità del personaggio barocco, e la sua incertezza epocale. Carlo Vistoli, sicuro e sempre sorprendente canta e recita la parte di Tolomeo, isterico e curiale rivale del romano. Inattesa la prestazione nel ruolo di Sesto del ventisettenne americano Aryeh Nussbaum Cohen, uno storico di formazione, laureato a Princeton, con un passato di ricerche di archivio alla Biblioteca Vaticana.

Tre grandissimi interpreti in grado di restituire lo smarrimento del condottiero in balia delle parche, la goffaggine del giovane sovrano intrigante, la ubris omicida del giovane Sesto, vendicatore di Pompeo.

Salda e sicura la prova di Sara Mingardo nel ruolo di Cornelia, mentre la Cleopatra di Mary Bevan non sempre ne eguaglia la resa, vuoi perché a volte scivola nella freddezza, vuoi per la disomogeneità tra il trattenuto dell’inizio e l’affanno della fine.  Nel complesso  uno spettacolo mirabili, con colpi di scena di grande eleganza  come le ceneri di Pompeo che precipitano dall’alto, il groviglio dei fili del destino che si trasformano in un’installazione d’arte contemporanea, la statua in marmo di Pompeo che ossessiona  come un fantasma la memoria di Cesare, e l’apparizione finale dei congiurati delle Idi di Marzo nei loro abiti togato, memento della tragedia storica che incombe oltre la rappresentazione, e travolgere il lieto fine barocco dell’idillio tra nemici potenti.

Marina Valensise
(13 ottobre 2023)

La locandina

Direttore Rinaldo Alessandrini
Regia Damiano Michieletto
Scene Paolo Fantin
Costumi Agostino Cavalca
Luci Alessandro Carletti
Movimenti coreografici Thomas Wilhelm
Personaggi e interpreti:
Giulio Cesare Raffaele Pe
Cleopatra Mary Bevan
Sesto Pompeo Aryeh Nussbaum Cohen
Cornelia Sara Mingardo
Tolomeo Carlo Vistoli
Achilla Rocco Cavalluzzi
Nireno Angelo Giordano
Curio Patrizio La Placa
Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma 

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