Trieste: Mazzucato superstar nell‘Orfeo all’inferno

Non c’è che dire, al Teatro Verdi di Trieste è l’anno di Orfeo. Dopo aver accolto nell’aprile scorso, sia pure in “salsa rock”, il classico “Orfeo ed Euridice” di Christoph Willibald Gluck, la Fondazione giuliana chiude ora il rinato (per quest’anno) Festival dell’Operetta con la sua parodia francese, quella di “Orphée aux Enfers”, nella versione italiana qui adottata Orfeo all’inferno, composta nel 1858 da Jacques Offenbach, il piccolo Mozart degli Champs-Elysées su testo di Crémieux e Halévy, appena andata in scena sul palcoscenico della Fondazione lirica triestina.

Se in Gluck brillava l’Orfeo di una smagliante Daniela Barcellona, in Offenbach il Teatro Verdi ha riaperto le porte a una Daniela della scena lirica altrettanto smagliante, la regina dell’operetta, la Diva mitteleuropea, l’intramontabile Daniela Mazzucato. L’Euridice offenbachiana è, fin dal suo debutto in questo piccante personaggio  – 1989 al Teatro di San Carlo, complici Peter Maag sul podio e Giancarlo Cobelli alla regia, – uno dei suoi più riusciti che a Trieste già affrontò, con grande successo, nell’ormai lontano 2003, sul palcoscenico del Politeama Rossetti dove in questi giorni ci si prepara ad accogliere, fra squilli di tromba e rulli di cannone, “The Phantom of the Opera”.

Nel presentare gli dei dell’Olimpo come meschini, ridicoli e guardati pirandellianamente a vista dall’Opinione pubblica (Marzia Postogna, qui madre di Aristeo), Offenbach diede all’operetta un sapore che scandalizzò parte del pubblico borghese dell’epoca; la sua maggioranza, però, avvertì anche che la farsa celava una satira corrosiva del Secondo Impero e della nuova “nobiltà” borghese di Napoleone III e della poco amata, dai francesi, Principessa Eugenia.

La coppia reale è rappresentata sulla scena da Orfeo (Gillen Munguia, bel timbro tenorile), violinista da strapazzo, e da Euridice, casalinga annoiata che accetta la corte di un giovane pastore (il valido Fabio Serani), mentre Orfeo rivolge le sue attenzioni alla ninfa Chloe.

Muore Euridice? No, lo spettacolo di Andrea Binetti, – con la collaborazione di Paolo Vitale, scene, e Morena Barcone, movimenti coreografici, – rende l’aspirante Baccante ancora più audace e la fa escogitare una “fuitina” con Aristeo nel night “All’Inferno”, gestito nientemeno che da Jupiter, ossia Giove (Marcello Rosiello, un baritono molto bravo), dove finisce per annoiarsi come a casa, in compagnia del custode John Stix (il sapido Ennio Ficiur).

Orfeo è costretto a sua volta dall’Opinione pubblica a cercarla nel locale equivoco, ma sarà inutile, perché dopo aver sedotto il signore degli dei trasformato in mosca, Euridice decide di restarsene all’inferno per ballare il can-can e deliziare con le sue danze gli dei. Orfeo, a sua volta, si gode la sua tanto ricercata libertà.

Orfeo all’inferno è celebre soprattutto per il sunnominato can-can – in realtà, un galop, – ossia il ballo scatenato che, all’epoca, divenne molto popolare, caratterizzato dal movimento provocante delle danzatrici che, alzando le gambe e scoprendole, sia pure parzialmente seguivano il tempo di una musica molto veloce e ritmata.

Inutile dire che gli spettatori erano, e sono, entusiasti Karl Kraus, il grande scrittore viennese, ci ricorda Marco Guidarini nel suo godibilissimo “Operasofia” edito da Il Melangolo, lo scrittore considerato uno dei più importanti autori satirici in lingua tedesca del ventesimo secolo, sosteneva che l’operetta: “Combina l’anima liberatrice della musica con quell’allegria irresponsabile che, nel bel mezzo di questa confusione, lascia intravedere un’immagine delle nostre storture.“.

Il lavoro di Offenbach – Orfeo all’inferno fu il suo primo, definitivo trionfo – proprio questo rappresenta; nel 1858 avrebbe dovuto essere rappresentata, diretta dal compositore, solo per poche sere al Théâtre des Bouffes-Parisiens.

L’accusa di aver infangato la più aulica delle opere liriche, l’Orfeo di Claudio Monteverdi, la prima opera nella storia del melodramma a rappresentare il dio della poesia in persona.

provocò una tale bagarre fra il pubblico che costrinse i Bouffes-Parisiens ad alzare il sipario per duecento ventotto rappresentazioni.

Al Teatro Verdi le rappresentazioni programmate sono solo cinque, fino al 9 luglio, e già ci sembrano troppe, vista la scarsa affluenza la sera della prima.

Lo spettacolo di Binetti, si diceva, escogita, in alternativa diurna al night “All’Inferno”, un’attività di wellness e benessere, oggi molto alla moda, che vede coinvolte con Jupiter la moglie Giunone (Fiorenza Badile) e la figlia Diana (Federica Vinci).

La locandina contempla anche i nomi di Rustem Enimov (Marte), del dinamico Giacomo Segulia (un autentico Mercurio), della simpatica Ilaria Zanetti (Cupido), e rivela una vocalità interessante in Danae Rikos (la bella Venere).

Per il resto, che dire? Più che un elogio alla dissolutezza rappresentato dallo scatenato can-can finale, lo spettacolo vuole essere un omaggio a Daniela Mazzucato, regina dell’operetta, troppo a lungo dimenticata dal Teatro Verdi. Che in qualche momento riesce ancora a farci intravedere le seduzioni e le magie vocali d’un tempo, ferma restando la grinta, l’energia, – limitata dagli anni che passano ma ancora evidente, – che l’hanno resa insostituibile in certi titoli, d’opera, di musical, di prosa e d’operetta, Orfeo all’inferno compreso.

Non assistiamo, insomma, allo spettacolo triste del degrado di un’artista, come fanno certe esibizioni televisive della rivale di sempre Katia Ricciarelli, no, Daniela possiede ancora e per sempre l’arte di sostenere suono e parola scenici con autorevolezza e sensibilità, ma – e qui parla il biografo e amico dell’artista – ora è meglio, volendo proseguire, optare per i ruoli di carattere: che so, la stessa Opinione Pubblica, vero centro dell’azione di questo Orfeo all’inferno.

Quanto alla concertazione e direzione di Carlo Benedetto Cimento, non ha lasciato traccia di sé, se non per i frequenti squilibri fonici fra Orchestra stabile della Fondazione, molto sonora e presente, e palcoscenico.

Applausi sparsi durante lo spettacolo e al termine successo di stima per tutti, anche per lo sparuto Coro stabile del Verdi ben preparato da Paolo Longo.

Chiusa la parentesi ritrovata con l’operetta, molto voluta dal Comune e sostenuta da Regione FVG e Associazione dell’operetta, si torna all’opera, dal 2 novembre al 23 giugno, con otto titoli, dai più popolari come la Manon Lescaut d’apertura, dedicata al centenario pucciniano, al ritorno di Daniel Oren con il suo titolo del cuore, Nabucco, alla seconda esecuzione mondiale dell’unico libretto scritto da Giorgio Strehler su commissione di Victor de Sabata, La porta divisoria, al classico del balletto Giselle nella produzione di SNG Opera in balet di Lubiana

Annunciata con grande pompa alla vigilia del debutto di Orfeo all’inferno, la stagione d’opera 2023/2024 riporta a Trieste il melodramma sul palcoscenico del Verdi fra tradizione e innovazione, con una scelta di titoli e allestimenti che ne rispecchia le mille sfaccettature.

Apertura il 2 novembre, dunque, anticipando il centenario pucciniano, con Manon Lescaut, nell’allestimento di Opéra di Monte-Carlo e del teatro tedesco di Erfurt. Sul podio una donna, Gianna Fratta, apprezzata dal pubblico triestino nella passata stagione sinfonica. Nella compagnia cosmopolita, Lana Kos e Roberto Aronica si alterneranno ad Alessandra Di Giorgio e Murat Karahan in Manon e Des Grieux.

Dal 7 dicembre si torna al mai troppo amato, a Trieste, Divino Amadeus con una nuova produzione mozartiana de Il Flauto magico (Die Zauberflöte) in coproduzione con Aslico e Opera Carolina. Regia di Ivan Stefanutti, sul podio Beatrice Venezi. Nel composito cast due giovani talenti italiani: Caterina Sala e Paolo Nevi. Il soprano ucraino Olga Dyadiv, ormai di casa a Trieste, sarà la  Regina della Notte.

Il 2024 si aprirà con Anna Bolena, nello storico allestimento di Graham Vick. In locandina Salome Jicia, Marco Ciaponi e Laura Verrecchia. Sul podio Francesco Ivan Ciampa.

Tutta ancora da scoprire la successiva Arianna a Nasso (Ariadne auf Naxos) di Richard Strauss il cui ricordo si lega all’amico Franco Serpa scomparso lo scorso anno. L’allestimento è quello bolognese di Paul Curran, sul podio Enrico Calesso, primo direttore ospite del Landestheater di Linz, in Austria e direttore musicale a Würzburg in Baviera.

A marzo il Nabucco di Verdi targato Daniel Oren. La regia di Giancarlo Del Monaco proviene dal Teatro Nazionale Croato di Zagabria. La compagnia comprende un baritono russo, Roman Burdenko, un’Abigaille sudamericana, Maria José Siri, una Fenena anche lei russa, Maria Barakova, uno Zaccaria polacco, il basso Rafal Siwek, e il tenore uruguayano Carlo Ventre, Ismaele.

Seguiranno la Cenerentola di Rossini che segna il ritorno a Trieste di un artista regionale dalla carriera internazionale Giorgio Caoduro, in uno dei suoi personaggi più riusciti, il servitore Dandini, già interpretato al Verdi a inizio carriera e in seconda compagnia, la già citata  Giselle di Adam, e il dittico Il Castello del Duca Barbablù di Bartok abbinato a La porta divisoria di Fiorenzo Carpi. E che musica sia!

La locandina

Direttore Carlo Benedetto Cimento
Regia Andrea Binetti
Scene Paolo Vitale
Movimenti Coreografici Morena Barcone
Personaggi e interpreti:
Orfeo Gillen Munguía
Euridice Daniela Mazzucato
Giove Marcello Rosiello
Venere Danae Rikos
Aristeo/Plutone Fabio Serani
John Styx Ennio Ficiur
Mercurio Giacomo Segulia
Cupido Ilaria Zanetti
Diana Federica Vinci
Marte Rustem Eminov
Giunone Fiorenza Badila
L’Opinione Pubblica Marzia Postogna
Orchestra, Coro e Tecnici della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste
Maestro del coro Paolo Longo

2.3 3 voti
Vota l'articolo
Iscriviti
Notificami

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

0 Commenti
Inline Feedbacks
Vedi tutti i commenti