Verona: il filo rosso americano di Bollani e Valčuha

Un robusto filo rosso americano univa i quattro brani del programma con cui l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai ha aperto al teatro Filarmonico di Verona la trentaduesima edizione del “Settembre dell’Accademia”. Americanità di nascita per George Gershwin e Leonard Bernstein, di adozione per l’inglese Anna Clyne, classe 1980, che ha scelto New York come luogo in cui vivere. E americanità come categoria culturale, nel senso di ricerca delle origini musicali, per quanto riguarda la popolare Sinfonia “Dal Nuovo Mondo” di Antonín Dvořák posta a chiusura della serata.

Questa composizione venne concepita nel corso del periodo trascorso dal compositore boemo a New York, dov’era stato chiamato a dirigere il neonato National Conservatory, ed eseguita per la prima volta alla Carnegie Hall nel dicembre del 1893. Sempre attento alle tradizioni musicali popolari, in un articolo divenuto celebre – pubblicato l’anno prima sul New York Herald – Dvořák aveva sottolineato la necessità che il patrimonio musicale africano-americano e quello dei nativi americani confluisse nelle composizioni colte degli autori statunitensi. Nella sua Sinfonia, e specialmente nel celebre Largo con il caratteristico tema affidato al corno inglese, non si trovano peraltro citazioni effettive di motivi derivanti dalle tradizioni autoctone americane. Quello che restituisce l’atmosfera etnica – filtrata nella scrittura sinfonica tardo-ottocentesca all’europea – è l’adozione di moduli ritmici e specialmente armonici molto caratteristici. Del resto, almeno in parte comuni anche al patrimonio folclorico della parte d’Europa in cui Dvořák era nato e cresciuto.

La serata veronese ha dunque disegnato un percorso per così dire cronologicamente all’inverso. Il punto di arrivo del concerto (la Sinfonia “Dal Nuovo Mondo”) rappresentava in realtà l’origine culturale se non specificamente musicale di una concezione creativa che dopo Dvořák avrebbe conosciuto sviluppi molto importanti e assai più caratteristici del punto di partenza, come si diceva più ideale che pratico, anche se ugualmente molto suggestivo. Di tale concezione sono stati proposti due casi esemplari, la Rhapsody in Blue di Gershwin, eseguita per la prima volta nel 1924 – sintomaticamente al cospetto di personaggi come Stravinskij, Stokowsky e Kreisler – e l’Ouverture dell’operetta Candide di Bernstein, che debuttò a Broadway nel 1956.

La Rapsodia, originariamente scritta per pianoforte e big band, non è solo uno dei brani più famosi dell’America musicale del ‘900, con tanti seducenti spunti tematici, ma anche un felicissimo caso di “ibridazione” stilistica nella quale il linguaggio classico si giova altamente dell’adozione di stilemi e strutture armoniche e melodiche tipiche del jazz, ovvero la musica degli africani-americani da non molto tempo salita alla ribalta. Né il successivo adattamento e la trascrizione per grande orchestra incrinano un equilibrio per molti aspetti miracoloso fra il carattere improvvisatorio della parte pianistica e quello più tradizionale dell’accompagnamento orchestrale, tuttavia ricco di soluzioni ritmiche “sghembe” e di caratteri timbrici che riecheggiano l’originaria scrittura per una band di 23 elementi.

Una trentina di anni più tardi, la brillantissima scrittura musicale di Leonard Bernstein è il frutto di una elaborazione culturale oltre che tecnica ormai accolta anche nel linguaggio colto. Lo prova l’Ouverture dell’operetta comica basata sul racconto di Voltaire intitolato Candide, che incrocia ritmi complessi, esotici oltre che africano-americani, con una scrittura orchestrale tradizionale di verve coinvolgente. Un mix intelligente nel quale certe formule “antiche” (a un certo punto sembra di entrare in un “crescendo” rossiniano) e un’attualizzata frenesia espressiva si combinano in una miscela linguistica capace di attestare che l’età degli esperimenti era finita (la Rapsodia di Gershwin era stata eseguita la prima volta nel corso di un concerto intitolato “An experiment in modern music”) ed era iniziata quella della molteplicità espressiva e musicale, della sintesi di fatto fra colto e popolare.

Fra questi due piccoli gioielli c’è stato spazio anche per un esempio della musica anglo-americana più recente: il brano intitolato Red fa parte del trittico Color Field, scritto da Anna Clyne nel 2020 sulla suggestione di un celebre dipinto del 1961 dell’astrattista Mark Rothko, intitolato Orange, Red, Yellow. La compositrice ritiene, sulla scorta delle teorie sinestesiche, che ad ogni colore corrisponda un certo campo tonale. Per quanto riguarda il rosso, si tratterebbe del Do maggiore. L’argomentazione è complessa quanto astratta, ma molto concreta è la densità della scrittura di Clyne, che costruisce in Red (peccato che non sia stata eseguita tutta la composizione) una breve pagina sinfonica di grande impatto emotivo, nella quale il sapiente impiego di strutture ripetute in ostinato determinano una drammaticità implicita molto accattivante.

Stella della serata veronese era il pianista Stefano Bollani, celebrità della musica italiana che proviene dal jazz ma frequenta ogni genere, dal colto al popolare, talvolta provando a inventarne di nuovi, e che ha acquisito una grande notorietà grazie alle trasmissioni televisive su Raitre che conduce insieme alla moglie Valentina Cenni, cercando di incrociare intrattenimento e formazione. Alle prese con la Rhapsody in Blue, il pianista milanese in tenuta casual (pantaloni e sneaker bianchi, camiciola balneare) ha proposto una lettura che potremmo definire filologica, nel senso che è sembrato dare il giusto risalto e qualche sapiente effetto all’aspetto improvvisativo proprio non solo della scrittura di Gershwin ma anche della storia esecutiva di questo capolavoro. Notevoli le sfumature di suono, grazie a un tocco forse non sempre controllato a dovere ma comunque al servizio di idee musicali molto coinvolgenti.

Al momento dei bis, l’interprete ha lasciato via via il posto al comico con il gusto di gag non travolgenti, in diretta interazione con un pubblico peraltro prontissimo a godersi l’intrattenimento, fra risate e applausi. Prima di finire con la vecchia boutade della tastiera misteriosamente accorciatasi sotto l’incalzare dei suoi trilli sempre più acuti, si erano sentite alcune improvvisazioni allineate con il tema della serata. Punto di partenza, due brani celeberrimi come New York, New York, la canzone di John Kander su testo di Fred Ebb cavallo di battaglia di Liza Minnelli, e la canzone più conosciuta del musical West Side Story di Bernstein, America. Sono seguite altre elaborazioni più “libere” e anche meno lucide delle precedenti.

L’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai si è presentata sotto la guida Juraj Valčuha, suo direttore musicale dal 2009 al 2016. La sintonia, si vorrebbe dire la familiarità fra la bacchetta e gli strumentisti è parsa evidente in ogni momento della serata: le pagine di Bernstein e di Gershwin sono risultate ricche di colore, irruenti ma coese, animate dalla indispensabile disinvoltura nel fraseggio e nelle dinamiche, mentre la composizione di Clyne è stata proposta con la giusta densità timbrica e una notevole temperatura espressiva.

Esemplare l’esecuzione della Sinfonia “Dal Nuovo Mondo”: impeccabile la tornitura delle seducenti invenzioni melodiche di Dvořák, servite da strumentisti di alto livello in tutte le sezioni, dagli ottoni lucidi e precisissimi ai fiati nitidi e brillanti (con una particolare citazione per la solista al corno inglese), a una sezione di archi di magistrale equilibrio e accattivante qualità timbrica. Interpretazione dalle sfumature rivelatrici, quella di Valčuha, in grado di illuminare la complessità di scrittura dell’autore boemo e la sapienza della strumentazione, senza mai indulgere al romanticismo di maniera

Teatro al gran completo. Le finali accoglienze di vivo entusiasmo non sono bastate per indurre il direttore di Bratislava a concedere un bis a lungo richiesto.

Cesare Galla
(10 settembre 2023)

La locandina

Direttore Juraj Valčuha
Pianoforte Stefano Bollani
Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI
Programma:
Leonard Bernstein
Candide (overture)
Anna Clyne
Red, da Color Field
George Gershwin
Rhapsody in Blue
Antonin Dvořák
Sinfonia n.9 in mi minore Op. 95 “Dal Nuovo Mondo”

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