Verona: lo Schubert diverso di Savall

Le due ultime Sinfonie di Schubert, quella in Si minore detta Incompiuta e quella in Do maggiore detta La Grande, hanno in comune il fatto di essere state entrambe eseguite per la prima volta soli molti anni dopo la morte del loro autore, avvenuta nel 1828. Opere postume: l’Incompiuta venne alla luce a Vienna nel 1865 dopo che la partitura era stata scoperta da un direttore d’orchestra fra le carte in possesso di un amico del compositore; la Grande ebbe un destino analogo nel 1839, e in questo caso fu un geniale compositore a scoprirla, Robert Schumann. Il ritrovamento avvenne a casa del fratello del musicista e la prima esecuzione si svolse a Lipsia, con l’orchestra del Gewandhaus diretta da un altro sommo musicista, Felix Mendelssohn. Non fu un successo travolgente, ma Schumann – in veste di critico – provvide alla “consacrazione” con un articolo rimasto famoso soprattutto per un’espressione: “divina lunghezza”.

Queste composizioni fanno parte del repertorio quasi d’ufficio. Perché si riconosce la loro importanza cruciale nel passaggio dall’esperienza fondante di Beethoven al Romanticismo, e probabilmente perché sono di un autore che in altri generi, dal vocale al pianistico e al cameristico, è imprescindibile.  Ma non sono particolarmente frequenti nei programmi. Soprattutto, è una rarità ascoltarle nel corso della stessa serata, una dopo l’altra, com’è avvenuto in occasione del concerto conclusivo del Settembre dell’Accademia al teatro Filarmonico.

La proposta – ovvero il progetto, come si usa dire oggi – era tanto più intrigante in quanto non veniva da un’orchestra sinfonica per tradizione votata al repertorio ottocentesco, come quelle che sono ospiti abituali del festival organizzato dall’Accademia veronese, ma da una delle più celebri formazioni che si occupano per lo più della musica del Seicento e del Settecento, eseguita secondo prassi esecutiva “storicamente informata” e con strumenti originali.

Le Concert des Nations, fondato a diretto da Jordi Savall, è in quest’ambito uno dei gruppi più attivi, come si vede sfogliando una discografia davvero ampia e interessante, che fino a pochi anni fa partiva da Victoria per arrivare a Mozart passando per Monteverdi e Marin Marais, Lully e Bach, Handel e Vivaldi, Boccherini e Gluck. L’attenzione al sinfonismo a cavallo fra il Settecento e l’Ottocento, in questo impegno che dura da oltre trent’anni, è più recente. Nella primavera del 2019 è uscito un disco intitolato Mozart – Il testamento sinfonico, che comprende naturalmente le tre ultime composizioni in quest’ambito del salisburghese. L’anno seguente è stata la volta di Beethoven Revolution, dedicato alle Sinfonie dalla Prima alla Quinta, Eroica ovviamente compresa (a sua volta destinataria di una incisione in solitaria, risalente al 2016). Facile immaginare che presto l’accoppiata schubertiana Incompiuta-Grande, inserita dalla formazione di Savall in quest’ultimo scorcio di tempo nei suoi programmi concertistici, approderà anch’essa all’incisione discografica. Difficile invece dire se il percorso cronologico all’interno del XIX secolo si fermerà qui o conoscerà ulteriori tappe.

Eseguite senza intervallo – a sottolineare la “continuità” ideale di partiture nate fra il 1822 e il 1825, in realtà assai differenti proprio per le caratteristiche del linguaggio e diversamente elaborate (lasciata cadere senza ripensamenti l’Incompiuta, elaborata fino a pochi mesi prima della morte la Grande) – queste due composizioni hanno svelato sotto le cure del Concert des Nations e di Savall un volto sonoro molto diverso da quello più comune nella sale da concerto. L’orchestra è nutrita negli archi, secondo organico abituale anche in formazioni non “filologiche”: una cospicua sezione (9-8-6-5-4) capace di un suono nitido, cui la puntigliosa assenza di vibrato poco toglie all’efficacia e soprattutto alla duttilità nel fraseggio, all’efficacia degli attacchi, alla sottigliezza nelle dinamiche. Più evidente la differenza per quanto riguarda i legni e gli ottoni: strumenti d’epoca di suono sensibilmente più affilato e di colore meno corposo, non sempre del tutto precisi, che talvolta hanno faticato a trovare nell’insieme il migliore equilibrio con gli archi, complice forse anche l’acustica del Filarmonico. Dettagli che si notano nelle esecuzioni dal vivo e che nelle registrazioni hanno modo di essere “lavorati” più appropriatamente.

Jordi Savall ha guidato il suo Concert des Nations con gesto quasi di “primus inter pares”, presente e sollecito, attento a scelte di tempo di buona vivacità, per un’esecuzione elegante e lievemente rarefatta nelle prospettive espressive: il suo Schubert anche in queste ultime Sinfonie appare più vicino agli amati modelli haydniani e del primo Beethoven, che propenso ad aperture verso la nascente nuova sensibilità.

Pubblico folto, accoglienze molto cordiali, nessun bis ma un accorato quanto condivisibile appello dell’ottantunenne musicista catalano per la pace.

Cesare Galla
(ottobre 2022)

La locandina

Direttore Jordi Savall
Le Concert des Nations
Programma:
Franz Schubert
Sinfonia No.8 in Si Minore “Incompiuta” D.759
Sinfonia No.9 in Do Maggiore “La Grande” D.944

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