Vicenza: Don Giovanni in bianco

Due sedie impagliate e un telo bianco appoggiato sul palcoscenico: il letto di Donna Anna nella prima scena, la spartana tavola del dissoluto, che di lì a poco sarà punito, nell’ultima. Le sedie vengono spostate in giro da mimi e cantanti, a seconda della situazione avvicinate o distanziate. Quando la storia approda al cimitero, rovesciate. Detto così, si potrebbe pensare a un Don Giovanni  schematico, rinunciatario, ridotto all’osso. E invece, lo spettacolo firmato al teatro Olimpico da Marina Bianchi per il festival Vicenza In Lirica di rinunce non ne compie poi troppe. Certo, non si mette in competizione con il monumento, anche se un po’ di maggiore efficacia delle luci non avrebbe guastato. Però riesce a restare dentro alla straordinaria “macchina drammaturgica” realizzata da Mozart con la collaborazione decisiva di Lorenzo Da Ponte. E con apprezzabile essenzialità mette a fuoco quanto questo capolavoro sia un meccanismo teatrale costruito su confronti e scontri fra i suoi protagonisti, fra psicologie delineate con infallibile ed emozionante tensione drammatica. Che poi, l’inaudita novità dell’approccio del salisburghese (e del cenedese) a questo plot consunto da 150 anni di utilizzo su ogni tipo di scena, proprio in questo consisteva: qui non c’è solo Don Giovanni a fare il mattatore. C’è un gruppo di personaggi magnificamente stagliati, non inerti figurine o maschere da commedia dell’arte.

In questo spettacolo, i personaggi valgono per quello che sono nella storia e per quello che cantano. A colpo d’occhio, anzi, si fatica a distinguerli uno dall’altro: sono tutti vestiti di bianco, tutti in maniche di camicia (costumi di Leila Fteita). Unico elemento d’epoca, le scarpe munite di fibbia, dalla foggia indubbiamente settecentesca. A un certo punto, verso la fine del primo atto, il Dissoluto indosserà anche una redingote nera e un cappello a tre punte, e un cappello di altro colore avrà anche il suo servo Leporello. Piccoli elementi necessari a rendere comprensibile lo scambio delle parti fra i due, che innerva tutta la prima metà del secondo atto.

La regia, insomma, si basa sulla capacità degli interpreti di essere dentro alla storia nella sua nuda efficacia. E tutto sommato la scommessa riesce, nonostante gli incidenti di percorso di una produzione falcidiata dalla positività al Covid, che ha obbligato due cantanti a saltare la prima (dovevano sostenere le parti del Commendatore e specialmente di Leporello – ovviamemente ruolo cruciale) e la stessa regista a non partecipare all’ultima fase del lavoro, affidato quindi alla sua assistente Anna Perrotta.

Il risultato si potrebbe definire un interessante “laboratorio” su Don Giovanni. Suggestiva, ad esempio, la soluzione ideata per il Finale II. La tavola di Don Giovanni è solo una tovaglia appoggiata per terra, come a un picnic, e tutto quello che accade prima dell’irruzione del convitato di pietra (il protagonista che mangia e beve, il suo servo che prova a rubare un pezzo di fagiano) viene risolto secondo una mimica modernamente astratta, con due piatti e un bicchiere rigorosamente vuoti. Così, il luogo dell’opera sul quale in tempi recenti più si è scatenata la fantasia creativa o dissacrante di tanti registi torna a essere quello che è: il momento in cui tutti i fili della storia si riuniscono e il comico lascia definitivamente il posto al tragico. Con tutti i personaggi che circondano quello che sta sprofondando all’Inferno. In questa lettura, e la cosa non è poi così azzardata, il soprannaturale è solo un accessorio che non ha bisogno di effetti speciali. Del resto, inaffrontabili da una produzione come questa. E problematici al cospetto delle scene di Vincenzo Scamozzi, nello spazio aulico inventato da Palladio.

Si poteva affrontare senza problemi, invece, l’ironico Sestetto conclusivo con la sua morale tranquillizzante, proprio per la sua natura drammaturgicamente astratta ma musicalmente squisita. Certo, a lungo nell’Ottocento e ai primi del Novecento la consuetudine esecutiva ha portato alla sua omissione, ma la scelta di tagliarlo com’è avvenuto all’Olimpico è ormai rara.

Musicalmente, l’esecuzione si è basata sulla discreta disposizione strumentale dell’Orchestra dei Colli Morenici, formazione mantovana che Edmondo Mosè Savio ha guidato staccando tempi spigliati e delineando colori equilibrati, secondo un fraseggio di efficace ma non polverosa impronta tradizionale. Affidato al solo cembalo l’accompagnamento dei recitativi (peraltro soggetti a qualche taglio): un po’ di maggiore robustezza strumentale in qualche occasione non avrebbe guastato.

La giovane compagnia di canto era stata selezionata in larga parte grazie al concorso di canto intitolato a Tullio Serafin, che tradizionalmente affianca Vicenza In Lirica. Da quelle file sono usciti il soprano Yuliya Pogrebnyak, una Donna Anna dalla voce torrenziale ma non sempre controllata al meglio, capace comunque di notevole agilità; il tenore Massimo Frigato, Don Ottavio dal timbro educato e dalla linea di canto efficace; Sabrina Sanza, maliziosa Zerlina dal colore nitido ed espressivamente duttile; Gianluca Andreacchi, un Masetto irruente come si conviene. Nella parte del Commendatore, Enrico Rinaldo ha sostituito Strahinja Djokic, cantando con forza non troppo misteriosa. Assai positiva Marily Santoro nella difficile e fondamentale parte di Donna Elvira, risolta con il giusto equilibrio fra l’accentuazione drammatica e l’eleganza belcantistica. Leporello era Giacomo Nanni (chiamato all’ultimo per sostituire Marco Saccardin) e Don Giovanni Francesco Samuele Venuti. Entrambi si sono proposti con voci forse un po’ troppo chiare ma bene controllate. Sul piano interpretativo, apprezzabile l’ironia del primo, evidente ma giustamente distante da un taglio farsesco; meno convincente la caratterizzazione offerta dal secondo, lontana dall’inquietante protervia che guida le azioni del Dissoluto. Da parte di tutti, puntigliosa l’attenzione per la recitazione dentro alla musica.

A posto il laboratorio corale VOC’è istruito da Alberto Spadarotto.

Pubblico folto e caloroso, con numerosi applausi a scena aperta e consensi di vivo apprezzamento alla fine.

Cesare Galla
(8 settembre 2022)

La locandina

Regia Marina Bianchi
Assistente alla regia Anna Perrotta
Scene e costumi Leila Fteita
Luci Cecilia Tacconi
Personaggi e interpreti:
Don Giovanni Francesco Samuele Venuti
Il Commendatore Enrico Rinaldo
Donna Anna Yuliya Pogrebnyak
Don Ottavio Massimo Frigato
Donna Elvira Marily Santoro
Leporello Giacomo Nanni
Masetto Gianluca Andreacchi
Zerlina Sabrina Sanza
Orchestra dei Colli Morenici
Coro VOC’è, Laboratorio corale classico
Maestro del coro Alberto Spadarotto

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