Violoncello italiano da Locatelli a Sciarrino: intervista a Rohan de Saram e Claudio Pasceri

Per l’International Concert Series dell’Università di Leeds si terrà il 10 maggio un concerto assai particolare: Rohan de Saram, celebre violoncellista del Quartetto Arditti, e Claudio Pasceri, violoncellista del NEXT – New Ensemble Xenia of Turin, offriranno infatti un programma centrato sul violoncello e nello specifico sul violoncello italiano. Ricercatissimo il repertorio: dopo primo e quarto movimento dai Cinque Duetti per due violoncelli di Goffredo Petrassi sarà il turno Fabio Vacchi con In Alba mia dir… per violoncello solo, la Sequenza XIV per violoncello di Luciano Berio, il Labirinto Armonico per violoncello di Pietro Locatelli, il primo movimento Gran Duo op. 36 n. 1 di Bernhard Romberg per due violoncelli, Ai limiti della notte di Salvatore Sciarrino, di nuovo violoncello solo, e due prime assolute per due violoncelli Eco di Soffio di Martin Loridan e Luftmensch di Matteo Manzitti.

  • Com’è nata l’idea di un concerto interamente dedicato al repertorio per uno e due violoncelli e soprattutto questo focus sul repertorio italiano?

Claudio Pasceri: È da molti anni che Rohan ed io collaboriamo artisticamente, con orchestra o in musica da camera. È tuttavia soltanto di un paio d’anni fa l’esperienza in duo, al Festival EstOvest presso il Castello di Rivoli. Abbiamo affrontato un brano di Morton Feldman originale per quest’organico, in prima esecuzione italiana, dal titolo Jackson Pollock. Ciò che ci interessava in quell’occasione era il brano di Feldman, dunque è stato in qualche modo fortuito che arrivassimo a suonare in duo. Da allora abbiamo suonato diverso repertorio originale per duo di violoncelli di differenti epoche e un certo numero di compositori ha già scritto della musica per noi.

Rispetto all’attenzione nei confronti del repertorio italiano, è stato qualcosa di naturale per Rohan e per me. Rohan aveva soltanto undici anni quando, nei primissimi anni Cinquanta, ha raggiunto Firenze per studiarvi con Gaspar Cassadò lungo quattro anni. Da allora non ha mai smesso di coltivare un profondo interesse per l’Italia. Il nostro progetto ha voluto dunque essere un omaggio alla magnifica storia di questo Paese, alla sua cultura e alla centralità della sua produzione musicale, cui hanno attinto i grandi compositori di area germanica, da Bach a Mozart, da Beethoven a Brahms. Evidentemente la produzione recente italiana non è così direttamente riconducibile a Palestrina, a Monteverdi o a Vivaldi, ma discende da quelle fonti e, in una certa misura, le riverbera.

  • Tra i brani in programma nel concerto ci sarà anche la Sequenza di Berio, di cui lei è dedicatario. Come si è svolta la collaborazione con Berio?

Rohan De Saram: Ho suonato molte volte il brano per violoncello e orchestra di Luciano Berio Il ritorno degli Snovidenia, anche con il compositore in veste di direttore. Durante le cene che seguivano i concerti Berio mi chiedeva della musica della mia terra, lo Sri Lanka. Lo interessava particolarmente.

Io ho menzionato il grande spettro che le possibilità ritmiche offrivano nella musica tradizionale del mio paese, soprattutto con la presenza di moltissime percussioni. È stato un processo molto lungo quello della Sequenza, ha preso molti anni, a partire da quando Berio mi ha chiesto di inviargli registrazioni di strumenti a percussione dello Sri Lanka, con una selezione di ritmi dell’isola. Ho dovuto trascrivere questi ritmi, dietro richiesta del compositore, in una notazione che fosse più congeniale a Berio.

Venne quindi affidata a Luciano Berio la commissione della Sequenza XIV. Ero in Messico col Quartetto Arditti quando, via fax, ricevetti le prime pagine del brano. Capii che si trattava del lavoro di Berio, ma non capivo all’inizio di cosa esattamente, entrambe le mani avevano una scrittura percussiva. Eravamo a poco tempo di distanza da quella che avrebbe dovuto essere la data della prima esecuzione. In Germania, a Witten, suonai nel 2002 per la prima volta la Sequenza, allora era un brano relativamente breve. Berio apportò poi una serie di revisioni importanti, il brano divenne assai più lungo e la prima della nuova versione si svolse a Milano. Ma io non ero ancora sicuro di alcune scelte da compiere rispetto ai tempi della Sequenza. Credo di essere riuscito a dare una forma convincente, che potesse garantire il successo del brano, solo dopo la terza versione. Berio infatti continuò ad apportare qualche piccolo ritocco, qua e là, e a Los Angeles, nel 2003, suonai la versione definitiva della Sequenza per violoncello solo.

  • Una buona parte del concerto vedrà brani per violoncello solo, tra loro molto diversi. Locatelli, Berio, Vacchi, Sciarrino, Manzitti, cosa caratterizza il diverso stile nell’uso del violoncello? In cosa si manifesta la loro italianità?

RdS: Nella musica europea, soprattutto in quella italiana, esiste un senso delle proporzioni e della forma particolarmente evoluto. Considerevole sarà l’influenza della musica italiana, rispetto a questi aspetti, su autori come Bach, Mozart, fino a Brahms, come diceva prima Claudio. Anche nelle arti plastiche e nella letteratura il senso dell’equilibrio e dell’”architettura“ è centrale nella straordinaria produzione italiana nel corso della storia.

Locatelli è stato uno dei grandi violisti virtuosi prima di Paganini ed ha notevolmente contributo all’evoluzione della tecnica della prassi esecutiva sugli strumenti ad arco in generale. Anche Sciarrino, soprattutto attraverso il capillare utilizzo di armonici e tremolo, ne ha ampliato il bagaglio tecnico, con una produzione di opere dallo straordinario valore immaginifico.

Così la Sequenza di Luciano Berio, malgrado le difficoltà che le dimensioni del brano portavano, ha un innato senso delle proporzioni tipicamente, come si diceva, di matrice italiana. La linea melodica è piuttosto tradizionale ma, attraverso l’uso di passaggi al ponticello, al tasto ed in posizione inconsueta dell’arco, il colore del suono è costantemente mutante, in evoluzione.

CP: Esiste probabilmente anche un senso della melodia che può dirsi proprio dei compositori italiani. Addirittura un brano apparentemente volatile ed astratto come Ai limiti della notte di Sciarrino, attraverso il suo procedere con tremoli di semitoni su suoni armonici, ha un profondo senso della lunghezza e della fluidità propri del canto italiano.

  • Nel repertorio del concerto figureranno anche diversi brani per due violoncelli: dal linguaggio Ottocentesco di Romberg si torna al Novecento italiano di Petrassi, per arrivare ad una prima assoluta di Martin Loridan e una di Matteo Manzitti. Grande varietà di stili e di approcci allo strumento dunque: come si sviluppa il dialogo tra i due violoncelli nei diversi autori?

RdS: Credo si possa dire che il dialogo sia equamente diviso nel repertorio in questione. Non c’è una voce principale ed un accompagnamento, come in certi studi o come in Vivaldi, con violoncello e basso continuo. Si tratta dello stesso materiale musicale per i due strumenti, ovviamente trattato in maniera differente da un violoncello e dall’altro. Reali duo, dunque.

CP: In Romberg i tratti salienti credo possano essere prevalentemente due, Il virtuosismo e la cantabilità. Sul piano melodico si tratta di un lirismo di impronta esplicitamente operistica, per quanto riguarda la tecnica violoncellistica invece sfrutta un’enorme tessitura e propone articolazioni d’arco, elementi di velocità e passaggi in blocco in posizioni acute innovativi e molto formativi per gli strumentisti dell’epoca. Petrassi, in questi Duetti di rarissima esecuzione, applica un impianto formale tipicamente barocco, con motivi melodici che si susseguono, non considera dunque i principi di sviluppo propri della forma sonata. Il senso delle proporzioni ed una predisposizione allo “scolpire” il materiale musicale sono forse i tratti salienti del lavoro in questione.

Manzitti e Loridan, nei brani che ci hanno dedicato, tendono entrambi a far confluire le voci dei due strumenti in un unico flusso sonoro, in Manzitti tuttavia è più marcata l’alternanza dei materiali affidati ai violoncelli. Il lavoro di Loridan, se sulla partitura distingue in modo piuttosto tradizionale le funzioni affidate alle due parti, all’ascolto risulta un sedimentarsi di respiri, fruscii, armonici fuggevoli, timbri rarefatti.

Direi che sono piuttosto impressionanti l’ampiezza della gamma sonora e la direzione della ricerca musicale che i quattro autori proposti hanno intrapreso. Con due violoncelli, ancora più che con lo strumento “a solo”, vi sono possibilità musicali straordinarie.

Alessandro Tommasi

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