Trieste: Butterfly tra geishe e samurai

L’opera al tempo del Covid incontra difficoltà, ci sono sfide continue per i registi che devono dimostrarsi in grado di unire arte e calcoli da ingegneria per mantenere le distanze tra gli artisti. Va da sé che riprendere una regia, anche se datata 2019 e quindi ancora nuova, con queste regole equivale quasi a pensarne una nuova. È quanto successo alla Madama Butterfly di Alberto Triola, al Teatro Verdi di Trieste, che in questo allestimento diventa quasi una specie di film muto con musica e voci dal vivo. Detto così può sembrare un allestimento tecnologico o moderno.

E invece è proprio il contrario. Triola, con grande eleganza, ha cercato di portare sul palco il Giappone dei samurai e delle Geishe, quello che tra luci e ombre segue le stagioni e rimane in contemplazione al cambiare dei colori delle foglie. Un’immagine poetica, certo, e molto rassicurante per un pubblico che probabilmente nemmeno immagina la modernità di quel paese oggi. Giappone, quindi, e le sue regole, così ingiuste, così crudeli, di un tempo. Un uomo poteva in ogni istante rescindere un contratto, che fosse matrimonio o locazione, con la stessa tranquillità con la quale beveva un bicchiere d’acqua, o, sarebbe meglio dire, di sakè. È grazie a questo che Pinkerton può sposare Cio-Cio-San, una ragazza di buona famiglia cui la sfortuna aveva tolto tutto e che si era ritrovata a fare la Geisha. Tutto facile, una festicciola, qualche parente di lei e un contratto di novecentonovantanove anni o anche meno a discrezione sua. Non importa che la ragazza abbia solo quindici anni, che abbia un figlio e che si tolga la vita dopo essere stata abbandonata e costretta a cedere il figlio alla nuova moglie dell’uomo che amava e che considerava suo marito.

Vista così questa opera è piena zeppa di cose cattive, ma Puccini aveva visto qualcosa in questa storia così ingiusta, e ne ha fatto un capolavoro intramontabile. Un capolavoro musicale, in cui la sua cultura e la sua conoscenza musicale si esprimono al meglio, con dei chiari richiami alla musica giapponese e all’Inno americano. Ma Puccini ha osato ancor di più, portando il pubblico a sospirare con i cantanti, nel momento in cui la passione amorosa tra loro arriva a compimento, e si diverte a giocare con le note anche in altri momenti. Ma questo si sa. O forse lo stavamo dimenticando? Perché c’è da dire che, a forza di cercare regie forti, sconvolgenti o innovative, spesso chi va all’opera ormai guarda con gli occhi, lasciando che la musica faccia quasi da sottofondo. È in questo che la Madama Butterfly in scena a Trieste è diversa, perché oppressa da distanziamenti, guanti, e maschere, fa palpitare gli animi grazie alla musica. Merito di Puccini, certo ma anche di un’orchestra che, affidata alla bacchetta energica e capace di irradiare sentimenti forti di Francesco Ivan Ciampa, offre al pubblico colori inediti. È una caratteristica di Ciampa quella di sapere lavorare con i pianissimi e i fortissimi riuscendo a “fare aggrovigliare le budella” al pubblico, come direbbe Vivian in Pretty Woman. La sua curiosità e la sua preparazione gli permettono di far brillare le gemme nascoste nella partitura dal compositore, quasi come un sentiero che si presenta ricco di sorprese per tutti coloro che decidono di percorrerlo e che quando arriva alla fine farebbe venire voglia di urlare “we want more” al pubblico, come succede ai concerti rock.

Il secondo cast in scena in questo allestimento è visivamente credibile e vocalmente dotato, composto da giovani che promettono molto bene. Grandi applausi per Federica Vitali, una Cio-Cio-San giovane e bella, appassionata e in grado di regalare un’interpretazione dell’aria “Un bel dì, vedremo” che andava dritta al significato delle parole.

Il Pinkerton di Riccardo Rados è credibilissimo, con un’ottima presenza scenica e una voce solida incarna davvero l’americano di cui una giovane si può invaghire.

Luca Galli ha regalato un’interpretazione di Sharpless encomiabile. Solido, tecnicamente e scenicamente ineccepibile, ha saputo dare vita a un uomo con un incarico formale che però è anche un amico e una persona di cuore.

Na’Ama Goldman è una Suzuki molto efficace, così come Andrea Schifaudo, Goro, offre un’idea a tratti goffa e scanzonata di un uomo di molte parole e altrettante cattive intenzioni.

Sembra tutto perfetto in questa opera, nonostante qualche ingenuità registica come il momento in cui Cio-Cio-San chiede a Suzuki di chiudere tutto perché fuori c’è troppa primavera e Suzuki apre due “finestre”. Sarebbe bastata una proiezione video sul fondale o un cambio di luci per non incappare in questa incongruenza. Ma la sostituzione del figlio di Butterfly con un pupazzo lascia un po’ più di dubbi, non sull’idea, che se vuole dare un’essenza quasi onirica all’esistenza del bambino potrebbe funzionare, ma su come viene gestito. Il gioco di luci ed ombre, non aiuta se ci sono incertezze sui movimenti. Dettagli, che scivolano via veloci, in un fiume di note che scorre rapidamente rendendo impossibile un calo di attenzione, quasi una rarità per il pubblico contemporaneo.

Sarah Del Sal

La locandina

Direttore Francesco Ivan Ciampa
Regia Alberto Triola
Regista collaboratore Libero Stelluti
Personaggi e interpreti:
Cio-Cio-San Federica Vitali
F. B. Pinkerton Riccardo Rados
Sharpless Luca Galli
Suzuki Na’ama Goldman
Goro Andrea Schifaudo
Il Principe Yamadori Dario Giorgelè
Lo Zio Bonzo Cristian Saitta
Kate Pinkerton Anna Katarzyna Ir
Il Commissario Imperiale Giuliano Pelizon
L’ufficiale del registro Giovanni Palumbo
Mimo Annalisa Esposito
Orchestra e Coro del Teatro Lirico Giuseppe Verdi Di Trieste
Maestro del Coro Paolo Longo

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