Davide Tramontano: l’opera è più viva che mai

“Nessuno è profeta in patria”: Davide Tramontano, compositore tra i più interessanti della sua generazione e piacentino doc, smentisce l’adagio e il prossimo 21 giugno rappresenterà in prima assoluta al Teatro Municipale della sua città l’opera in un atto Mother. Lo abbiamo raggiunto per fargli qualche domanda.

  • Quali sono le sensazioni che prova nel debuttare con la sua prima opera proprio nel teatro della sua città?

Sono molto felice all’idea che sia proprio il Teatro Municipale di Piacenza a tenere a battesimo la mia prima opera, Mother, e considero questa opportunità come un doppio onore, non solo per la prima assoluta in sé, ma anche perché il mio debutto lirico avviene proprio nel teatro di casa. Questo Teatro mi ha visto crescere e mi ha permesso di entrare in contatto col mondo della musica; proprio in questa sala infatti ho scoperto l’opera, assistendo per la prima volta a Don Giovanni, una recita che ha sviluppato in me una vera passione profonda, che mi ha portato a viaggiare e a esplorare i principali teatri e festival europei, dalla Scala a Salisburgo, da Aix-En-Provence a Bayreuth, solo per citarne alcuni.

A questo va sicuramente aggiunto un profondo senso di gratitudine verso tutto il personale del Teatro Municipale di Piacenza – una squadra veramente formidabile, che riesce a farti sentire di casa – e un ringraziamento particolare verso la Sovrintendente e Direttrice artistica Cristina Ferrari, che decise di scommettere su di me – commissionandomi l’opera – ancor prima che ottenessi due riconoscimenti internazionali importanti quali il Premio Bruno Bettinelli e il Secondo Premio al Concorso internazionale di composizione 2 Agosto.
Inoltre, c’è anche un sentimento di familiarità che accompagna questo momento, poiché ho l’occasione di allestire Mother in collaborazione con il Conservatorio Nicolini, l’istituzione che mi ha formato come compositore e che è stata la “casa” della mia adolescenza. Colgo infatti l’occasione per ringraziare la Direttrice Maria Grazia Petrali, che non ha esitato un istante a sposare l’idea di Cristina Ferrari e a darmi totale fiducia, e il Presidente Massimo Trespidi.

  • Come nasce Mother e cosa ascolterà il pubblico?

Quando la Direttrice Ferrari mi propose la composizione di un’opera, la prima preoccupazione fu – naturalmente – quella per il libretto. Sentivo il dovere di scegliere una vicenda, che rendesse giustizia a un palco così importante come quello del Municipale. Il pubblico piacentino ha avuto la fortuna di avere presenti nel proprio teatro alcuni dei più grandi musicisti del nostro tempo e di assistere a memorabili esecuzioni e allestimenti di titoli d’opera fondamentali nella storia della musica occidentale.

Nelle varie ricerche mi imbattei in un’analogia di teatro in lingua inglese e scoprii il testo di Riders to the sea di John Millington Synge. Fu amore a prima lettura: una modernità letteraria straordinaria, un potenziale espressivo ed emozionale unico nel suo genere. Capii subito, che sarebbe stata la mia opera. Partendo quindi dal testo prosaico, ho realizzato un libretto che fosse drammaturgicamente il più fedele possibile al testo originale, pur attuando un’importante operazione generalizzata di snellimento. Dopo questo primo approccio, decisi di focalizzare ancor più la vicenda non solo sull’aspetto dei legami familiari e delle premonizioni, ma anche sul dolore e l’impotenza davanti alla morte. Si rese necessaria quindi anche la ricerca di un nuovo titolo, che potesse evidenziare la vera vittima di tutta la vicenda, ossia la madre Maurya – Mother, appunto.

Tutta la vicenda di Mother si svolge nella casa di Maurya in un villaggio sulla costa irlandese. Le figlie, Nora e Cathleen, ricevono la tragica notizia del ritrovamento di un corpo sulle rive di Donegal, presumibilmente quello del loro fratello Michael. Nel frattempo, Bartley, l’ultimo fratello ancora in vita, si prepara a partire per la fiera di Galway per vendere dei cavalli, ignorando le preoccupazioni di Maurya riguardo ai pericolosi venti marini. Un acceso diverbio familiare scoppia quando Maurya supplica Bartley di rimanere, temendo per la sua sicurezza, ma lui la ignora. Nel culmine della lite, Maurya, presa da un impeto di collera, scaccia Bartley di casa, dando inizio a una serie di eventi che la porteranno ad affrontare un lungo cammino.

La composizione di Mother è il risultato di anni di meticoloso e appassionato lavoro, che spero possa essere colto da tutti. Ho cercato di curare ogni dettaglio della partitura per immergere il pubblico nei delicati equilibri familiari di questa intensa e coinvolgente vicenda. È una partitura densa, in cui sul piano drammaturgico e musicale il canto si intreccia all’orchestra, aprendosi a squarci lirici e a sonorità aspre, grazie alle quali la musica si fa eco delle complessità relazionali. Mother vuole essere uno spaccato della complessità umana e delle dinamiche relazionali.  L’opera diventa così non solo un’espressione artistico-musicale, ma anche un importante mezzo comunicativo per il compositore, grazie al quale invitare il pubblico a pensare, nella speranza che la musica ci possa unire tutti.

  • Come descriverebbe il suo lavoro di compositore in un panorama mutevole non solo da punto di vista musicale?

Non è assolutamente semplice inquadrare il proprio lavoro come compositore, non credo sia facile in età adulta, figuriamoci per un giovane! Le posso però dire quali sono da sempre stati gli obiettivi che mi sono posto e che ho cercato di perseguire, ovvero che la mia musica avrebbe parlato a tutti e comunicato con chiunque, raccogliendo l’eredità delle avanguardie, ma cercando di rileggerla in una nuova chiave espressiva, forse più inclusiva, ma che eviti semplificazioni anacronistiche del linguaggio musicale. Certamente la ricerca artistico-musicale del compositore deve avere una via preferenziale, ma non credo possa più prescindere dall’attenzione verso il pubblico e gli esecutori: perché non poter sfruttare le tensioni armoniche all’interno di un cluster o un campo armonico? Perché privarsi di un’articolazione motivico-gestuale o ritmica ben definita?

Quest’idea di composizione musicale mi è stata tramandata durante gli studi al Conservatorio Nicolini di Piacenza, dove la scuola di Bruno Bettinelli – grandissimo compositore sinfonico e didatta, già insegnante di Riccardo Muti, Azio Corghi, Roberto Abbado, Aldo Ceccato, Maurizio Pollini tra gli altri – ha trovato il suo prosieguo, grazie a compositori quali Barbara Rettagliati, Caterina Calderoni e Carlo Alessandro Landini – solo per citarne alcuni -, che sono stati titolari della cattedra di composizione. La fortuna dei miei anni di Conservatorio è stata proprio il formarsi all’interno di una scuola così forte e strutturata, ma soprattutto così libera e senza vincoli. Durante le nostre lezioni, Barbara Rettagliati mi ha sempre raccontato aneddoti – anche divertenti – sul suo Maestro, trasmettendomene così anche i principi basilari, che le furono direttamente insegnati da lui: la varietà dei timbri, dell’agogica, degli impasti strumentali, delle sezioni di stasi e di tensione, la poliritmia, il contrappunto e tanti altri. Ho sempre cercato di applicare questi elementi alla mia musica e credo – anzi spero – che in Mother siano ancora più evidenti.

  • Da Darmstadt ad oggi come si è evoluto l’uso dell’elettronica?

L’elettronica ha rappresentato una tappa fondamentale nell’evoluzione della musica. I primi germi di questo nuovo interesse li possiamo riscontrare durante gli Internationale Ferienkurse für Neue Musik di Darmstadt degli anni ’50 e ’60, nei quali la sperimentazione sonora e l’esplorazione di nuovi orizzonti timbrici erano all’ordine del giorno, basti pensare a compositori come Karlheinz Stockhausen e Pierre Boulez, che hanno dato forma a questa fase primordiale, creando opere che univano suoni acustici a elettronici. L’elettronica ha conquistato un posto centrale nella musica contemporanea, grazie anche al lavoro di compositori come Luciano Berio e Bruno Maderna, sviluppando anche filoni indipendenti dal suono acustico. La fondazione dell’IRCAM di Parigi nel 1977 da parte di Pierre Boulez ha dato sicuramente un’ulteriore spinta all’evoluzione di questa musica, contribuendo nel corso degli anni allo sviluppo di nuovi software rivoluzionari e nuovi impasti timbrici.

Sicuramente l’elettronica è una risorsa fondamentale, che ogni compositore dovrebbe conoscere – non necessariamente impiegare nei propri lavori, ma quantomeno conoscere -, poiché apre a confini sonori veramente stimolanti. A mio avviso l’errore è pensare che l’elettronica possa sostituire la composizione con carta e penna, che anzi diventa ancora più imprescindibile: non credo si possa pensare di comporre senza aver effettuato uno studio severo dell’armonia e del contrappunto e senza aver svolto studi di composizione classica basati sullo studio della storia stilistica della musica. Ho imparato ugualmente sia dalle partiture di Bach e Brahms, che da quelle di Bruno Bettinelli e Ivan Fedele.

L’elettronica non credo debba essere pensata come una via sostitutiva alla musica strumentale, bensì ne è parte integrante, diventando anch’essa strumento d’orchestra.

  • Nel panorama della musica d’oggi c’è ancora posto per l’opera?

L’opera contemporanea è oggi più viva che mai! C’è un enorme fervore in tutta Europa! Ogni teatro nelle proprie stagioni ha almeno una nuova commissione o un nuovo allestimento di un’opera da poco eseguita. Ci sono anche opere contemporanee scritte negli ultimi 20-30 anni, che sono diventate parti integranti del repertorio, penso a L’amour de Loin (2000) di Kaaija Saariaho, Drei Schwester (1998) di Peter Eötvös – che è stata eseguita 158 volte fino al 2023 -, oppure Written on Skin (2012) di Sir George Benjamin.

Personalmente credo che ci sarà sempre posto per l’opera nella musica contemporanea. Sono sempre stato convinto, che l’opera sia la forma musicale che meglio riesce a smuovere gli animi di chi ascolta e finché parlerà al pubblico di loro stessi, ovvero tocchi l’animo umano nella sua sfera più privata, la musica avrà sempre posto per un nuovo lavoro per il teatro. L’immortalità dell’opera sta proprio nel raccontare ogni minima sfaccettatura dell’animo umano ed è affascinante vedere come ogni compositore riesca a trattarne, impiegando il proprio linguaggio. Va da sé, che il nostro tempo – erede del ‘900 – ha scardinato certi veti e i soggetti d’opera sono proliferati ed è proprio da questo presupposto, che nasce la vitalità dell’opera contemporanea.

La musica oggi ha molto da dire ed è in grado di comunicare a qualsiasi categoria di pubblico proprio in virtù del suo linguaggio, sintesi di secoli di tradizione. Proprio sulla questione del linguaggio musicale ci tengo a citare Marco Mazzoleni, quando a proposito di una recita berlinese di Written on Skin scrive che il linguaggio è “Qui al suo massimo sviluppo ed alla sua massima estensione. Capace ancora oggi di parlare alla gente. Soprattutto ai cuori della gente. Ai sentimenti, dai più torbidi ai più sublimi. A partire da una parola: l’amore. Nelle sue declinazioni più estreme, ed assolute.”

Mother parla infatti di una madre, il cui unico peccato è stato quello di amare, forse troppo, la sua famiglia, che le viene tolta. Non è forse un argomento assolutamente attuale? Nella composizione di quest’opera il mio obiettivo è stato quello di parlare alla gente di storie comuni, o meglio vicende che a noi possono sembrare lontane, ma che nel mondo sono ancora troppo spesso realtà quotidiane.

Alessandro Cammarano

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