Donne in musica. Storia di trilli e di coltelli

Dove s’udiron mai sì fatte cose?
Dirsi il canto virtude e le puttane
il nome millantar di virtuose!
(Salvator Rosa, Satira Prima, ca. 1640)

Alla romana Anna Maria Sardelli le fonti di metà Seicento regalano alternativamente gli appellativi di “virtuosissima cantatrice” e “puttana”, cui nella liberale e libertina Venezia durante le stagioni d’opera 1651 e 1652 si aggiunsero nell’ordine: una feroce satira dell’avvocato-librettista Gianfrancesco Busenello, un’archibugiata, due stilettate inferte da ignoti sicari. Sopravvisse a dispetto di tutto. Di pugnale era invece morta nel 1598, per mano del marito conte Ercole Trotti aiutato dallo Sparafucile di turno, la famosa Anna Guarini, figlia del poeta Giovanni Battista. Cantava di soprano, suonava l’arpa e il liuto. Dalla madre Taddea Bendidio aveva ereditato il talento musicale e un posto nel “Concerto delle dame di Ferrara”, complesso tutto femminile al servizio della raffinata corte estense cui il suo stesso padre, Torquato Tasso e Luzzasco Luzzaschi fornivano il meglio della loro produzione madrigalesca.

Ancora a fine Seicento un aroma di elegante depravazione aleggia nell’ambiente delle “canterine”. Per la stagione operistica dell’autunno 1697 il nuovo vicerè di Napoli, Luis de la Cerda duca di Medinaceli, si era organizzato in grande. Nel teatro di San Bartolomeo, appena ricostruito con somma magnificenza, comparve una compagnia di canto a dir poco stellare dove, accanto agl’indispensabili castrati e a un isolato baritenore spiccava la bolognese Maria Maddalena Musi detta “la Mignatti”, soprano di aspetto maestoso capace di riscuotere 500 doppie di Spagna per stagione. Suo protettore ufficiale era Ferdinando Carlo, duca di Mantova, ma si diceva che nemmeno Don Luis fosse insensibile alla sue grazie. Cosa facile da credere visto che al suo ingresso in Napoli i sudditi lo paragonarono ad un pascià con tutto il suo serraglio. Alla fine della fiera, la Mignatti (per tutti ormai la “Diva Mignatta”) fece un buon matrimonio borghese e si sistemò da gran dama nella natìa Felsina. Ancora quasi novizia, la promettente Vittoria Tarquini (detta “la Bombace, ossia tenera come bambagia) non poteva contare su illustri protettori. Ne troverà poi uno nella persona di Ferdinando de’ Medici, principe ereditario di Toscana, strappandolo agli abbracci del collega Francesco De Castris detto “Checchino” (cognomen omen), ma senza rinunciare ad una scappatella col giovane Händel.

Dame di corte o pedine di teatro, le donne musiciste di età barocca sono all’avanguardia dell’empowerment femminile, ma talvolta lo pagano a caro prezzo. Non si salvano neppure le monache, le quali rischiano, se non le pugnalate di uno spasimante geloso o di un marito tradito, gli anatemi di papi e arcivescovi che in tutto quel cantare e suonare, sia pure a maggior gloria di Dio, fiutano occasioni prossime di peccato per i contatti con insegnanti maschi e le ovazioni di folle tumultuanti in chiesa. Un ricco filone di ricerca inaugurato da musicologi americani maschi e protestanti (fascino degli opposti?) ha finora investigato i conventi bolognesi di Santa Cristina della Fondazza e di Sant’Omobono, quello milanese di Santa Radegonda, quello napoletano di San Gregorio Armeno, ed altri.

Storie di mondi reclusi dove la tragedia si mescola alla farsa. Due casi bolognesi: le monache di Sant’Omobono, nel corso di una rissa scoppiata fra due di loro il 9 gennaio 1685 per la titolarità del posto di organista, giunsero a ferirsi in quattro con spadini da teatro; seguirono arresti e condanne. Per quasi un secolo il convento di Santa Cristina, rinomato per l’eccellenza dei suoi concerti sacri, fu teatro d’ispezioni ecclesiastiche e atti di aperta ribellione da parte delle monache. Minacciate di scomunica, e dopo un assedio in piena regola, le suore filarmoniche furono costrette nel 1629 ad una temporanea resa, ma continuarono nella loro sorda resistenza fino al 1704. Nel frattempo il maggior talento musicale della comunità, la badessa e compositrice Lucrezia Orsina Vizzana, era morta pazza il 7 maggio 1662 dopo 65 anni trascorsi nel chiostro. Cosa direbbe oggi nell’ascoltare le sue musiche registrate su Cd assieme a quelle delle consorelle Chiara Margarita Cozzolani, Bianca Maria Meda, Isabella Leonarda?

Grazie ai gender studies e alle ricognizioni discografiche, anche i lavori di compositrici laiche come Barbara Strozzi e Francesca Caccini, figlie e sorelle d’arte nonché a suo tempo apprezzate creatrici in proprio, cominciano a filtrare sempre più spesso nei programmi di concerto. Ma tutto sommato l’interesse maggiore di biografi, vociologi e programmisti resta concentrato sulle primedonne dell’opera, quei misteriosi animali da palcoscenico che nel mondo rutilante dell’opera barocca rivaleggiavano coi castrati in eccentricità e fortune, mentre tenori e bassi si dovevano accontentare – salvo sporadiche eccezioni – di far da contorno. Tale almeno l’immagine tradizionale, su cui però getta un’ombra di dubbio la relazione di Paologiovanni Maione al convegno “Attrici-cantanti dei secoli XVI-XVIII”, organizzato nel novembre 2013 dal Centro Studi Pietà de’ Turchini di Napoli.

Partendo da accurati spogli archivistici nei quali le dive di cartello si mescolano a figure minori, lo studioso napoletano conclude: “Figuranti molto prolifiche trasformano il palcoscenico in nursery e la loro vita in un inferno girovagando senza tregua prive del magistero delle loro compagne teatrali di rango maggiore che raramente cedono le loro grazie senza tornaconto. […] Di ascese vertiginose e discese rovinose narrano le carte ammassate sulla scrivania dei ministri plenipotenziari […] Gli stessi informatori con discutibile gusto riportano talvolta episodi di un disagio sociale assai imbarazzante dove sono le ombre nefaste quotidiane ad avere il sopravvento su quei casi eccezionali in cui il divismo lenisce e oblia ogni ostilità”.

Con l’avanzare del Secolo dei Lumi, nessuno osa più trattare da “puttana” una professionista come Vittoria Tesi Tramontini, detta “la Moretta” perché figlia di uno schiavo africano accolto alla corte medicea e debitamente battezzato. Voce brunita di contralto eccezionalmente estesa e agile, scultorea di forme, fu attiva dal 1716 al 1750 in un centinaio di allestimenti, sempre in ruoli di primo piano e non di rado in vesti maschili. Dopo il 1747, carica di onori e di ricchezze, si ritirò a Vienna dove aprì una scuola di canto nel palazzo di un suo ammiratore, il principe Joseph Maria von Sachsen-Hildburgshausen. Sposata ad un prestanome, tale Vittorio Tramontini, fra i suoi spasimanti contò l’elettore di Sassonia Friedrich August I detto “il Forte” (soddisfatto), il conte Ferdinand von Lamberg, “cavaliere della musica cesàrea” (respinto), il cardinale Enea Silvio Piccolomini (pure lui soddisfatto, come scoprì Benedetto Croce). Nel 1769 fu decorata dall’ignaro re di Danimarca Christian VII con la croce dell’ordine cavalleresco di Fedeltà e Costanza.

Ascensore sociale in funzione anche per Regina Valentin in Mingotti, nata per caso a Napoli nel 1722 da un maniscalco militare austriaco, e in prosieguo di tempo allieva di Porpora, rivale della grande Faustina Bordoni a Dresda, invitata a Madrid da Farinelli, socia di una compagnia operistica a gestione familiare che spazzò l’Europa in lungo e in largo, azionista di un saponificio, impresaria del King’s Theatre di Londra. Gestì in proprio affari e carriera snobbando il marito Pietro, di vent’anni più anziano, firmò contratti e ricorsi legali, mandò in galera per debiti il cognato Angelo. Si spense a 86 anni, circondata dall’affetto di due figli (illegittimi, avuti da un nobile piemontese) e 21 nipoti.

Carlo Vitali

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