Jan Lisiecki: la semplicità come cifra interpretativa

Il ventisettenne canadese Jan Lisiecki, rappresentante di punta tra i pianisti della Generazione Y e grande chopiniano, non ha bisogno di presentazioni. In carriera da quando aveva tredici anni – con un primo debutto  a nove – rappresenta il giusto equilibrio fra futuro e tradizione, il tutto mediato attraverso una maturità che lo accompagna fin dall’infanzia, ma non chiamatelo “enfant prodige” perché non lo è, come ci ha spiegato nell’intervista che segue di poco il suo concerto (qui la recensione) alla Società del Quartetto di Vicenza.

  • Nella tua recente registrazione dei Notturni di Chopin hai scelto un’esecuzione in rigoroso ordine cronologico. In concerto li hai alternati con gli Studi op. 10 “mescolandoli” secondo un percorso molto personale. Quali le ragioni di questa tua scelta?

Il tutto nasce essenzialmente per rendere logico l’ascolto., tenendo conto del pubblico in sala. Con il disco si può decidere in piena libertà quale pezzo ascoltare, Il pubblico dei concerti è composito, si va dall’intenditore all’appassionato al neofita, bisogna dunque creare un recital che aiuti tutti a comprendere. In questo caso alternando Studi a Notturni sono andato per progressione di tonalità e di emozioni

  • Sei stato definito “enfant prodige”. Ti rispecchi in questo “cliché” che secondo me non ti corrisponde?

No, non mi è mai piaciuta questa definizione, perché sottintende una costrizione, la rinuncia all’infanzia. Io sono semplicemente una persona giovane che lavora seriamente, facendo ciò che mi piace, fin da quando ero piccolo. La musica è la mia passione assoluta, non una forzatura. Ieri sera ho suonato al Teatro Verdi di Trieste dove avevo tenuto un concerto  undici anni fa e ho ritrovato le stesse emozioni.

  • Chopin è probabilmente il tuo compositore d’elezione. Quanto giocano in questo le tue radici polacche?

Che domanda complessa. Sono nato e cresciuto in Canada, dove ho anche studiato. In casa si parla polacco con genitori e nonni e ho la doppia cittadinanza, ma sono canadese al cento per cento. Amo Chopin, come del resto amo Bach, Beethoven e Mendelssohn. Chopin però ha dedicato la sua intera esistenza al pianoforte, seguendo percorsi precisi e questo per me è essenziale.

  • Alex Ross parla, riferendosi al tuo pianismo, di “legato vellutato”. Ti riconosci in questa affermazione?

Certamente sì, il legato fa parte del mio modo di concepire un’interpretazione. Cerco sempre di suonare esprimendo concetti con amore e seguendo l’istinto, togliendo tutto quanto non è necessario. Il principio al quale mi attengo è la semplicità per esaltare la musica.

  • Credi che un artista debba prendere posizione riguardo a quanto avviene intorno a lui? Penso alla guerra…

Fino a qualche tempo fa avrei risposto di no. Ho sempre pensato che la musica sia un santuario di pura bellezza dove la gente si incontra in pace. Non ho mai pensato che un artista debba usare la sua posizione per esprimere opinioni, ma dopo il 24 febbraio scorso la mia convinzione è cambiata e condanno con fermezza l’aggressione brutale di una nazione nei confronti di un’altra.

Alessandro Cammarano

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