Matteo Franceschini: Dorian Gray e la percezione del tempo

In occasione dell’andata in scena della sua nuova opera Dorian Gray, commissionata dalla Fondazione Haydn di Bolzano e Trento su libretto di Stefano Simone Pintor, abbiamo incontrato Matteo Franceschini, compositore di punta della giovane generazione.

  • Perché Dorian Gray?

Il ritratto di Dorian Gray mi ha sempre affascinato per il suo naturale potere immaginifico, per la forza dei contenuti che veicola e per l’atemporalità dei temi che tratta. Ho riletto il romanzo una decina d’anni fa ed ho percepito le potenzialità di un adattamento operistico. Nell’ambito della collaborazione con la Fondazione Haydn come artista associato iniziata nel 2019, con il Direttore Artistico Matthias Lošek abbiamo lavorato su alcune ipotesi di soggetto; la scelta è caduta rapidamente su Dorian Gray.

  • Lantieroe di Wilde incarna una visione di società non così lontana dalla nostra, nella quale lapparenza è tutto. Come si traduce in musica tutto questo? 

Pur essendo il prodotto e lo specchio di un’epoca, il romanzo affronta temi senza tempo che mostrano oggi tutta la loro attualità: il bene, il male, l’amore, la morte, l’angoscia esistenziale e le relazioni interpersonali, l’ossessione per la giovinezza e la bellezza. Uno sguardo profondo sulla nostra società contemporanea investita da una profonda crisi di valori.

Tutta l’attualità ed il mistero del testo si celano in un’emblematica frase di Wilde: “In Dorian Gray ogni uomo vede i propri peccati. Quali siano i peccati di Dorian Gray nessuno lo sa. Li trova colui che li ha commessi”. In essa si insinua il germe del doppio che vive in ciascuno di noi.
Questo tema, ricorrente nella letteratura vittoriana, ci ha portati a lavorare su Dorian Gray come il ritratto di tutti gli altri personaggi. Con Stefano Simone Pintor abbiamo deciso di suddividere l’opera in sei capitoli (più un Prologo ed un Epilogo che si richiamano a vicenda in una sorta di narrazione circolare) tanti quanti i personaggi secondari: oltre ad essi, c’è Dorian Gray, una presenza sfuggente ed ambigua.

Il “ritratto” di Dorian diventa qui più magico di uno specchio, poiché rivela corpo e anima. Esso incarna l’enigma dell’illusione e della verità, di se stesso e dell’altro, dell’identità e della differenza. Dorian è il Doppelgänger di ogni altro personaggio. L’immagine riflessa non è solo una copia delle forme esteriori, ma dà voce alla parte più misteriosa, legata all’inconscio, una parte spesso in ombra. Un riflesso verso il quale nutriamo sempre grande attrazione perché dà corpo alle nostre percezioni dell’impossibile, alle nostre paure, fantasie ed illusioni. Un luogo inusuale, tanto più inquietante perché non trova corrispondenza nel mondo reale. È proprio in questa dimensione immaginativa che risiede tutta la magia e la genialità del testo di Wilde: stimolare gli spettatori ad interrogarsi ed immedesimarsi nei conflitti rappresentati, capaci di prescindere dal tempo e dello spazio grazie alla loro universalità.

Il tema dell’apparenza, viene trattato prevalentemente nel capitolo dedicato a Gladys Monmouth, donna nobile ed arrivista, angosciata dal tempo che passa ed inaridisce la sua bellezza. In Gladys, l’essere e la spontaneità vengono sostituiti dall’apparenza e dal controllo. Un’idea di bellezza che esalta la perfezione costringendo drammaticamente Lady Monmouth ad un continuo monitoraggio del proprio aspetto, la non accettazione del tempo che passa ed il conseguente e ripetuto ricorso alla chirurgia estetica. Gladys, come tutti gli altri 5 co-protagonisti (Basil, Sibyl, Alan, James ed Harry) incarna quindi un vizio del mondo moderno, una deriva morale della nostra contemporaneità nella quale potremmo tutti specchiarci.

La percezione del Tempo è quindi centrale nell’opera e, musicalmente, elemento strutturale: tempo psicologico e suo valore relativo, tempo metronomico, tempo reale e tempo immaginario, contratto e dilatato, cronometrico e relativo. Un Tempo che desideriamo spesso accelerare, rallentare o, talvolta, fermare. 

  • Come si sviluppa il “gioco” con il pubblico?

La coscienza visionaria che caratterizza l’universo di Dorian Gray è uno straordinario terreno di gioco dove ogni audacia è consentita.
Combinando convenzionalmente canto, musica e azione teatrale, l’opera lirica riunisce tutti gli ingredienti per diventare un’arte dell’eccesso, “un’arte totale”. Rispetto alla parola, la musica ed il canto hanno il vantaggio di poter descrivere questa follia dall’interno, attraverso l’intuizione e l’empatia, senza dover cercare di razionalizzarne il significato e le incongruenze.
In Dorian Gray ho deciso di lavorare su una vocalità estremizzata, allargando le estensioni e cercando nuove soluzioni timbriche. Una ricerca dettata dalla personalità dei protagonisti e da come, con Stefano Simone Pintor, abbiamo deciso di rappresentarli: potenti, radicali, ambigui.

La musica è particolarmente presente nel romanzo, Wilde parla di “musicalità della parola”, “musicalità della voce”, “musicalità dei movimenti”. Giocando con i fili della vocalità e della parola, del gesto e del suono, ho deciso di elaborare un “iper-spartito” dove la scrittura acustica si fonde con la manipolazione elettronica.

La partitura di Dorian Gray disegna un universo orchestrale in cui la voce cantata ingigantisce l’eccentricità e singolarità dei personaggi, dei loro sentimenti e delle loro azioni. La scrittura musicale e iconografica di Dorian Gray immerge lo spettatore in un mondo in cui tutto si sdoppia, si moltiplica e si interroga. Ad ogni situazione corrisponde, in qualche modo, un nuovo spettacolo, ed è la somma di questi spettacoli a creare l’unità drammaturgica.

Il suono orchestrale, pur materializzandosi concretamente nella fase finale della produzione, è per me intrinseco ai personaggi stessi. L’orchestra non accompagna semplicemente ma “è” dentro ogni personaggio e dentro l’azione stessa.
L’ambiguità presente nell’opera tra chi osserva e chi è osservato, mi ha spinto a lavorare sua una “spazializzazione” delle parti vocali che entrano ed escono dalla narrazione proiettando lo spettatore in una dimensione eterea, sognante, sospesa e sorprendente.

  • Come ha lavorato con Stefano Simone Pintor?

La collaborazione con Stefano è stata caratterizzata da un serrato e proficuo scambio di idee durato circa due anni.

La costruzione della struttura, della drammaturgia, ha richiesto sicuramente molto tempo. Siamo partiti dall’idea che è la vita stessa di Dorian Gray a essere il ritratto degli altri personaggi e, in modo più esteso, di tutti noi. Attraverso un linguaggio quasi cinematografico, l’opera pone l’accento sugli intrecci delle vite dei personaggi e sull’influenza che ogni loro azione genera sugli altri. Grazie ad una struttura narrativa articolata in sei episodi, il protagonista si trasforma in uno specchio in cui ciascun personaggio secondario si riflette catalizzando le loro pulsioni e desideri più intimi.

Questo ha portato alla creazione di un’opera multi-sfaccettata e corale. È proprio questa intenzione di coralità che è trasversale all’opera e parte dalla comunione di intenti creativi tra me e Stefano.

  • Ultima domanda, alla Dorian Gray. Ha paura di invecchiare?

No, anche perché, nell’ambiente legato alla musica classica contemporanea, i compositori sono spesso considerati “giovani” anche ben dopo i quarant’anni, e questo è assai “rassicurante”.

A parte gli scherzi, per “congelare” il mio Tempo, cercherò di restare il più vicino possibile alle mutazioni della società che ci circonda attraverso lo studio del presente con umiltà e curiosità. Solo in questo modo si riesce a concepire la creatività come specchio (per dirla alla Dorian) e sintesi della realtà che vive intorno a noi.

Alessandro Cammarano

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