Milano: Giulio Cesare, Cleopatra e il cammello a sei zampe

Pare proprio che alla Scala il barocco – e Händel in particolare – stia diventando finalmente di casa; dopo il Trionfo del Tempo e del Disinganno e il Tamerlano, cui si deve aggiungere la Semele itinerante, è la volta del Giulio Cesare in Egitto in un allestimento di quelli che appena usciti da teatro si avrebbe voglia di rivedere e riascoltare.

Robert Carsen firma uno spettacolo da incorniciare, capace di avviluppare il pubblico nella rete di quella che in realtà è una fantastica presa per i fondelli del potere che, per trovare il suo pieno esercizio, ricorre a seduzioni e tradimenti che talora sfiorano il surreale.

Insieme al drammaturgo Ian Burton il regista canadese sposta la vicenda – complici le scene bellissime e funzionali di Gideon Davey, autore anche dei costumi immaginifici e le luci perfette dello stesso Carsen e Peter van Praet – in un tempo assai vicino al nostro, tra deserti da catalogo di viaggi e interni che richiamano un Egitto che potrebbe essere quello posticcio degli alberghi Dubai-kitsch.

Se Cesare è un generale di quelli che si autodecorano, Tolomeo veste i panni di un tirannello isterico e insicuro; Cornelia è vedova tanto affranta quanto calcolatrice si accompagna al figlio Sesto che da boyscout si trasforma in soldato vendicatore.

Su tutti Cleoparta, grande tessitrice, maliarda da peplum della Hollywood degli anni d’oro, ultima e più potente delle Cleopatre di celluloide che usa per sedurre Cesare – diventando ella stessa uno spezzone di film, realizzato da Will Duke e che la vede insieme a Claudette Colbert, Vivien Leigh e Liz Taylor – mentre canta “V’adoro pupille” circondata da ancelle la cui danza, coreografata come le altre da Rebecca Howell, richiama i grandi musical.

Tutto è leggero e corre sul filo dell’ironia e il pubblico – come accade quando lo spettacolo è perfettamente comprensibile nel suo messaggio – si diverte, ride al momento giusto, applaude ciascuna aria, partecipa e perfino trattiene i colpi di tosse.

Se lo stordimento amoroso di Cesare a seguito della malia di Cleopatra, ancora sotto le mentite spoglie di Lidia, è un capolavoro di tempi e invenzione teatrale non lo è da meno la drammatizzazione di “Va tacito e nascosto”, che Carsen&Co ambientano durante l’incontro “diplomatico” tra Cesare e Tolomeo, tra angurie e palloni, scambi di regali griffati tra delegazioni, finti sorrisi e reciproci tentativi di assumere gli uni le cortesie degli altri.

E poi Cleopatra che si fa portare al campo romano avvolta in un tappeto, Cornelia prigioniera che invece di prendersi cura dei fiori del serraglio pulisce le macchine da fitness dei soldati di Tolomeo; teatro vero e a passo di danza, senza un momento di caduta.

Varrebbe da solo il prezzo del biglietto il bagno di schiuma e latte di una Cleopatra-Zizi Janmaire che canta la funambolica “Da tempeste il legno infranto” giocando sulle trasparenze di un telo bianco.

La conclusione non può che essere se non all’insegna dell’interesse economico, con l’inaugurazione di un oleodotto in terra d’Egitto ma ovviamente di proprietà Romana – il marchio dell’azienda petrolifera è, con un colpo di genio ulteriore, un cammello a sei zampe – con firma del contratto e selfie conclusivo. Capolavoro.

Giovanni Antonini, alla testa dell’Orchestra della Scala che ormai suona gli strumenti storici con fantastica naturalezza, sceglie la via di una leggerezza cristallina, fatta di agogiche ammiccanti e spunti dinamici e ritmici perfettamente coerenti al dettato händeliano ed esemplarmente accordati alla rappresentazione scenica, con la quale trova perfetta integrazione e che fa in parte dimenticare i tagli imposti alla partitura.

Impeccabile il basso continuo con Nelson Calzi al cembalo, Mauro Valli al violoncello e alla tiorba di Michele Pasotti e all’arpa di Margaret Köll.

Il cast è di quelli che una volta si sarebbero definiti “discografici”.

Del ruolo eponimo Bejun Mehta si dimostra ancora una volta interprete ideale, esibendo una voce di meravigliosa limpidezza che si apre in un fraseggio intenso e ricco di sfumature. Le agilità sono sicure e l’emissione sempre fluida.

A lui risponde la Cleopatra pirotecnica di Danielle de Niese, che riesce ad essere in un sol colpo cantante, soubrette, diva del cinema e regina, il tutto con una naturalezza che lascia sbalorditi. Vocalità duttile, fiati lunghissimi, acuti abbaglianti, abbellimenti risolti con facilità assoluta e una recitazione strepitosa.

Sara Mingardo, tra le poche che possono fregiarsi del titolo di contralto, disegna una Cornelia leonessa dolente, ferita ma capace di azzannare. Il suo canto è una tavolozza di colori bruniti e ammaliatori.

Convince il Sesto timido e al contempo irruente di Philippe Jaroussky, più a suo agio nelle arie elegiache – dove il controllo dei fiati è impeccabile – che non in quelle di vendetta.

Christophe Dumaux tratteggia un Tolomeo da manuale per bellezza di voce e aderenza al personaggio, a cui conferisce una cifra personalissima che si coniuga ad una tecnica sopraffina.

Ottimo l’Achilla di Christian Senn, che risolve benissimo la sua unica aria “Dal fulgor di questa spada”, come assai bravo è Luigi Schifano – Nireno – il più giovane del quartetto controtenorile, a cui forse si sarebbe potuto far cantare “Chi perde il momento”, che Händel compose per il personaggio in occasione della ripresa del 1730.

Bene anche Renato Dolcini che dà voce e corpo ad un Curio gagliardo.

Il coro, preparato da Bruno Casoni, è come sempre puntualissimo.

Successo travolgente per tutti, con ovazioni per Antonini, Mehta, de Niese, Jaroussky e Dumax.

Alessandro Cammarano
(18 ottobre 2019)

La locandina

Direttore  Giovanni Antonini
Regia  Robert Carsen
Scene e costumi Gideon Davey
Luci Robert Carsen e Peter van Praet
Video Will Duke
Coreografia Rebecca Howell
Drammaturgo Ian Burton
Personaggi e interpreti:
Giulio Cesare Bejun Mehta
Cleopatra Danielle de Niese
Cornelia Sara Mingardo
Sesto Pompeo Philippe Jaroussky
Tolomeo Christophe Dumaux
Achilla Christian Senn
Curio Renato Dolcini
Nireno Luigi Schifano
Orchestra del Teatro alla Scala su strumenti storici
Coro del Teatro alla Scala
Maestro del coro Bruno Casoni

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