Milano: la violenza della Tragica secondo Angius

In questa incredibile maratona mahleriana quasi ogni giorno si succedono grandi orchestre sinfoniche all’Auditorium. Dopo l’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI arriva l’Orchestra Fondazione Arena di Verona diretta da Marco Angius per una delle sinfonie più ostiche ed emotivamente impegnative.

La Sesta Sinfonia fu composta nei mesi estivi degli anni 1903 e 1904, ma tenuta sotto osservazione almeno fino al 1910. Se si esclude un problema centrale, relativo alla posizione dei due movimenti intermedi, si trattò più di aggiustamenti marginali volti ad ottenere maggior trasparenza nella densissima tessitura della Sinfonia. Va però ricordato anche il lacerante dissidio interiore, dal grande valore simbolico, del terzo colpo di martello nella coda del Finale, prima introdotto e poi eliminato. Alma Mahler racconta a proposito: “nell’ultimo tempo descrive sé stesso e la sua fine o, come ha detto più tardi, quella del suo eroe. […] L’eroe viene colpito tre volte dal destino ed il terzo colpo lo abbatte, come un albero”. Anche Mahler fu colpito tre volte dal destino e il terzo colpo lo abbatté. Proprio nel giugno del 1904 Alma aveva dato alla luce una seconda bambina che aveva pochi mesi quando la Sinfonia stava nascendo; durante la composizione della Sesta, nell’estate del 1904, Mahler aveva ripreso le poesie di Rückert ricavandone i due ultimi brani del ciclo dei Kindertotenlieder. Quel continuo cantare la morte di bambini era sembrato ad Alma un voler attirare le disgrazie. Questi presentimenti si avverarono nell’estate del 1907 con un triplice colpo del destino: la scomparsa improvvisa della figlia primogenita Maria, vittima di una malattia infettiva; la prima diagnosi della grave disfunzione cardiaca che avrebbe portato Mahler alla tomba e le sue dimissioni da direttore dell’Opera di Vienna sotto la pressione di giochi di potere. Alma non ebbe nessun dubbio che i tre colpi di martello del Finale della Sinfonia anticipassero questi eventi: in questo senso Alma vedeva la Sesta Sinfonia come un’opera intimamente autobiografica, il cui “eroe” altri non era che Mahler stesso.

Prima dell’inizio del primo movimento udiamo un lontano suono di campanacci che subito ci lascia incerti sulla sua provenienza vista l’immobilità del percussionista che li dovrebbe suonare. Sarà un errore? Sarà voluto? Fatto sta che da questi campanacci in lontananza parte inaspettatamente la sinfonia con una marcia perentoria degli archi che pare, fin dal principio senza aver ancora esposto un tema, condurci al patibolo dell’ultimo movimento. L’ineluttabilità di questa destinazione finale, pensata con intelligenza da Marco Angius con un “attacca” tra i due movimenti, prosegue sempre con il medesimo ritmo, ora ai timpani, quindi inasprito ed incattivito, con lo Scherzo. Il semplice spostamento di un accento trasforma la natura della pagina in qualcosa di zoppicante diventando sinistra con alcuni sprazzi caricaturali di umorismo nero. La formazione veronese non brilla per omogeneità, mancando agli archi la massa e la proiezione di suono che hanno invece i fiati e gli ottoni. Emergono però alcuni elementi validissimi tra cui il primo clarinetto Lorenzo Paini. Tuttavia Angius va per la sua strada riuscendo a trasmettere una chiara e più che convincente visione della partitura. L’Andante che segue dà una breve illusione di una pagina di tranquilla malinconia, ma subito l’intervento del corno irrobustisce l’ambientazione e ci riporta di nuovo verso il peggior pessimismo possibile, il che ci ricorda come la serenità sia qui impossibile da raggiungere. Il Finale si presenta con una sterminata introduzione foriera di dubbi, interrogativi e cupi presagi. Il discorso musicale, soprattutto dal punto di vista armonico regge con fatica fino alla ripresa dove tutto improvvisamente precipita in un sempre più serrato alternarsi di maggiore e minore con il minore ad avere sempre l’ultima parola sul maggiore, ricacciandolo, dopo ogni tentativo di rasserenamento, sempre più in basso, opprimendo sempre di più l’ascoltatore fino a colpirlo violentemente con due violentissime martellate in due momenti distinti. La lotta è impari e violenta, esasperata in ogni suo aspetto. Le dinamiche sono estremizzate soprattutto nei laceranti forti e fortissimi. Ciò che rimane del sottoscritto, e crediamo anche del resto del pubblico, viene confortato da un corale-preghiera degli ottoni gravi: corni, tromboni e tuba. L’ultimo grido di disperazione, l’accordo di la minore in fortissimo a piena orchestra, viene annichilito con crudele precisione dalle mazzate dei due timpanisti all’unisono. Il pizzicato degli archi termina in modo più che definitivo la sinfonia con un singhiozzo che emerge per un istante dal silenzio.

Il pubblico esplode immediatamente in un applauso che sembra servire a liberarsi di questo mastodontico macigno che gli è capitato addosso in questa soleggiata domenica pomeriggio milanese. Se lo scopo, come credo, di questa partitura e dell’eseguirla in concerto, è quello di calarci in questo mondo di sofferenza e disperazione profonda e di distruggerci fisicamente e psicologicamente anche solo per qualche minuto credo che sia stato pienamente raggiunto. Rimane e rimarrà il ricordo di non aver avuto, per alcuni istanti, nemmeno le forze per applaudire questa violentissima, potente e riuscitissima esecuzione.

Luca Di Giulio
(5 novembre 2023)

La locandina

Direttore Marco Angius
Orchestra Fondazione Arena di Verona
   Programma:
Gustav Mahler
Sinfonia n. 6 in La minore “Tragica”

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