Milano: le decadenze di Fedora

Andata in scena il 17 novembre del 1898 al Teatro Lirico (allora Internazionale oggi Giorgio Gaber) di Milano, Fedora riscosse da subito un esorbitante successo, soprattutto di pubblico. La vicenda, tratta da un dramma di Victorien Sardou e abilmente ridotta da Arturo Colautti, è un feuilleton intriso di intrighi e passioni in cui ambientazione e contesto storico non sono altro che una pallida cornice alle vicende che ruotano intorno alla principessa Fedora Romazov. 

Dal punto di vista musicale la partitura gode di un’interessante orchestrazione, maggiormente dettagliata e articolata rispetto a quella di Andrea Chénier, in cui languide frasi sentimentali si alternano a momenti di maggior impulso emotivo e tensioni sinistre che ben identificano quel colore fin du siècle che ritroviamo ancora oggi, con un linguaggio più attuale, in alcune fiction televisive. 

Dagli annali scaligeri si evince che dal 1932 al 1948 Fedora è stata rappresentata con una certa frequenza sopratutto sotto l’illustre direzione di Victor De Sabata, nel 1956 Gianandrea Gavazzeni suggellerà questo titolo con Maria Callas e Franco Corelli per poi riaprire il varco nel 1993 con Mirella Freni e Placido Domingo, di cui abbiamo ancora vivo il ricordo.

Torna quindi Fedora alla Scala in una nuova produzione che però stenta a decollare. 

Se l’attacco delle prime battute introduttive, sotto la bacchetta del maestro Marco Armiliato, lasciano presagire quell’atmosfera decadente che ritroviamo descritta nei romanzi di Fogazzaro, al levarsi del sipario la scena risulta straniante e stridente. Inutile dirlo, ci sono opere che se attualizzate o sradicate dal loro contesto storico non funzionano. Fedora è una di queste. Con ciò non significa che non bisogna più metterla in scena ma semplicemente può essere l’occasione per restituire al pubblico una ricostruzione di un’epoca che, piaccia o no, ha avuto un enorme successo in ambito operistico, operettistico, teatrale, letterario e addirittura radiofonico. 

La regia, affidata a Mario Martone, di cui abbiamo applaudito e apprezzato già molti spettacoli, nel primo atto spoglia la scena -ad opera di Margherita Palli- da fiori e ninnoli deliziosi che evidentemente Fedora, in preda ad allucinazioni, vagheggia al suo ingresso. Un televisore al plasma trasmette una partita di calcio in un salotto buio e spoglio, a destra dei tendaggi delimitano la zona notte. Gli atti successivi invece riprendono dei dipinti di Magritte. Idea interessante ma sviluppata solo in parte e non con poche ingenuità come ad esempio le spie che circondano Loris nel duettone del secondo atto spazzate via come le bambinaie di Mary Poppins dalla travolgente passionalità dei due amanti, e via dicendo.

Musicalmente la concertazione di Marco Armiliato ha messo in luce l’aspetto decadente della partitura con abbandoni e ricercate sfumature, talora eccessivo nei tempi lenti, ma non privo di quella tensione insita nel dramma.

In questa lettura ben si inserisce l’interpretazione del tenore Roberto Alagna il cui canto, sapientemente amministrato nei mezzi di una vocalità di natura non drammatica come invece richiederebbe il ruolo, risulta intenso, ricco di accenti e conforme alla scrittura espressiva di Giordano.

Lo stesso non si può dire del soprano Sonya Yoncheva nel rôle-titre. Fedora è un personaggio molto complesso la cui parte musicale richiede accento, parola scolpita, capacità di passare repentinamente da uno stato d’animo all’altro mediante una duttilità di fraseggio estrema ed estremamente labile. Spiritualità, follia, passione, crudeltà e freddezza sono alcuni degli stati mentali di Fedora che Giordano tratteggia con dovizia di particolari in una linea di canto complessissima che costringe la voce a passare da pianissimi impercettibili e forti torrenziali.

La lettura della Yoncheva è risultata monocorde e compromessa da una zona medio-grave completamente afona che ha messo a repentaglio non poche volte l’intonazione. 

Ai due protagonisti si alternano una serie di personaggi che si distinguono anche per brevi frasi o interventi. Ottima la Contessa Olga di Serena Gamberoni che con freschezza vocale e ha dipinto la vitalità del personaggio in netta contrapposizione con la torbida personalità della principessa Romazov. Bene il baritono George Petean nei panni di De Sirix che con nobile timbro ha cantato la celebre aria della Donna russa. Buone le prove della schiera delle parti di contorno.

A differenza del repertorio antico, del repertorio tardoromantico-verista abbiamo una serie di preziosi documenti discografici che ne restituiscono il gusto e il colore ma che, tuttavia, vengono inspiegabilmente rinnegati per lasciare spazio a produzioni o letture inconsistenti. 

Se Fedora rimane un’opera considerata da alcuni ‘inferiore’ ai capolavori pucciniani tuttavia il passato ci insegna che per farla rivivere è necessario avere un cast vocalmente e scenicamente poderoso. 

Tutto tramonta, tutto si dilegua? 

Gian Francesco Amoroso

Martedì 18 ottobre 2022

La locandina

Direttore Marco Armiliato
Regia Mario Martone
Scene Margherita Palli
Costumi Ursula Patzak
Luci Pasquale Mari
Coreografia Daniela Schiavone
Personaggi e interpreti
Fedora Sonya Yoncheva
La Contessa Olga Sukarev Serena Gamberoni
Loris Ipanov Roberto Alagna
De Siriex George Petean
Dimitri Caterina Piva
Un piccolo Savoiardo Cecilia Menegatti
Desiré Gregory Bonfatti
Rouvel Carlo Bosi
Cirillo Andrea Pellegrini
Boroff Gianfranco Montresor
Gretch Romano Dal Zovo
Lorek Costantino Finucci
Nicola Devis Longo
Sergio Michele Mauro
Orchestra e coro del Teatro alla Scala
Maestro del Coro Alberto Malazzi

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