Parigi: Nézet-Séguin e Trifonov travolgono la Philharmonie

Secondo di due concerti che la Philadelphia Orchestra ha dato alla Philharmonie de Paris sotto la bacchetta di Yannick Nézet-Séguin e con Daniil Trifonov al pianoforte, quello di lunedì 30 ottobre è stato senza dubbio un successo travolgente. Il programma di entrambi i concerti era un full Rachmaninov, in omaggio ai 150 anni dalla nascita del grande compositore russo, ma si è fortunatamente evitata la stucchevole ripetizione del sempre uguale grazie una programmazione accorta del repertorio.

Se nel primo concerto il 29 ottobre la popolarissima Seconda Sinfonia occupava la seconda parte, la prima era dedicata al decisamente meno noto (ma meraviglioso) Quarto Concerto per pianoforte. Il giorno dopo, il concerto aperto dal celebre Vocalise (nella versione orchestrale dello stesso Rachmaninov) e dalla Rapsodia su un tema di Paganini, che in questi ultimi anni sta godendo di una fortuna stupefacente forse anche grazie all’usura di Secondo e Terzo Concerto, è stato concluso dalla Prima Sinfonia, di rarissima esecuzione.

La rarità dell’esecuzione della Prima Sinfonia non si stenta a comprendere. La Sinfonia ha molti bei momenti, ma manca delle intuizioni tematiche della Seconda o delle Danze Sinfoniche. Ingenua senza raggiungere la sincerità del Primo Concerto per pianoforte, retorica senza l’immediatezza icastica della Prima Suite per due pianoforti o dei Moments Musicaux, la Prima Sinfonia difficilmente riesce a sollevarsi da terra e molti suoi gesti enfatici rimangono un po’ lì, imbalsamati. Non che l’esecuzione di Nézet-Séguin e della Philadelphia sia da imputare, al contrario. È quasi commovente la capacità del direttore canadese di infondere entusiasmo e convinzione nella sua compagine. Anche i passaggi della Sinfonia meno riusciti sono stati ricoperti con una coltre di suono libidinoso sostenuta da una resa tecnica smagliante. Forse consapevole dei limiti di questa Sinfonia giovanile, Nézet-Séguin sfrutta gli slanci e gli ardori di cui la Prima non è parca per mollare a briglia sciolta i suoi e suonare con schietto, evidente divertimento.

L’orchestra è in forma splendida e conferma la sua fama di punta di diamante tra le orchestre americane. Anche qualche piccolo affaticamento degli archi è stato abilmente coperto da un suono di sezione completo e omogeneo, cui mancava solo una presa del registro grave più marcata. Buoni i legni, in particolare i clarinetti che nel Larghetto hanno donato alcuni dei momenti più alti di tutto il concerto, e ottimi gli ottoni, ma più trombe e tromboni che i corni. Star della serata, comunque, era Nézet-Séguin.

Persino il salto sul podio e l’invito ad alzarsi agli orchestrali trasudavano carisma. Quando è sul palco, non c’è gesto del direttore che non porti con sé un significato. Bastava che Nézet-Séguin sferzasse l’aria perché tutta la Philadelphia orchestra scattasse, con una compattezza che il direttore dosava con intuito infallibile tra il morbido e l’aggressivo, non negandosi la cavata più ruvida come l’impalpabilità più eterea. Dove qualcosa mancava era piuttosto nella definizione delle singole voci e nella cura minuziosa dei singoli fraseggi, dal direttore a volte un po’ sacrificati per spingere (comprensibilmente) avanti il discorso sinfonico, prediligendo la saldezza dell’architettura al florilegio di dettagli.

Questa consapevolezza formale era già stata presentata in prima parte dalla Rapsodia su un tema di Paganini, in cui tutte le diverse variazioni erano state condotte con transizioni sempre organiche e ben saldate, al punto che nemmeno uno spiffero passava tra Trifonov e il direttore. Bisogna dire che Nézet-Séguin è uno straordinario direttore anche quando divide il palco con un solista. Non perché ascolti con particolare cura, né perché segua il solista con devozione, ma perché sul palco sembra operarsi quasi una fusione tra solista e direttore, che agiscono in un insieme che non conosce gerarchie. D’altronde, Trifonov si è dimostrato perfettamente capace di tenere testa ad orchestra e direttore, quando non sonoramente (alcuni entusiasmi sinfonici sommergevano il pianoforte), comunque per coesione e tensione.

Rispetto ad alcuni concerti di un anno fa, però, ho trovato Trifonov più in forma, meno dubbioso, meno affaticato e meno nervoso. Non gli manca quello scatto ferino che da sempre lo contraddistingue, ma sembra che passato (forse) un momento di crisi o di stanchezza, il pianista russo abbia trovato un approccio più equilibrato, in cui la tensione espressiva innerva e sostiene sia i singoli fraseggi che le ampie strutture, senza abbandonarsi ad eccessi e anzi ritrovando una posatezza e un distacco lungimiranti. Al pubblico letteralmente in delirio dopo la Rapsodia, Trifonov ha donato come bis il Preludio op. 23 n. 9 di Rachmaninov, nel mentre che Yannick Nézet-Séguin ascoltava accovacciato sul podio, non perdendo occasione per una ciacola con i primi leggi durante gli applausi. Come ormai d’uso per le orchestre in tour, anche la Philadelphia ha offerto un bis al termine della Prima Sinfonia: il celeberrimo Preludio op. 3 n. 2 di Rachmaninov, ma nell’affascinante orchestrazione di Leopold Stokowski.

Un bell’omaggio alla storia della Philadelphia Orchestra e una giusta conclusione per un concerto in cui si intersecano rarità e celebrità della musica di Sergej Rachmaninov.

Alessandro Tommasi
(30 ottobre 2023)

La locandina

Direttore Yannick Nézet-Séguin
Pianoforte Daniil Trifonov
The Philadelphia Orchestra
Programma:
Sergej Rachmaninov
Vocalise (Versione per orchestra)
Rapsodia su un tema di Paganini
Sinfonia n. 1

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