Un ballo in maschera tra politica e misticismo all’Opéra national de Paris

Non poteva che diventare un’opera di teatro musicale lo spettacolare assassinio di Gustavo III re di Svezia. Sovrano illuminato, Gustavo – che per motivi di censura Verdi e il suo librettista Antonio Somma trasformano in Riccardo, governatore di Boston – fu vittima nel 1792 di una congiura da parte della nobiltà cui aveva sottratto privilegi consolidati, e barbaramente ucciso durante un ballo mascherato al Teatro dell’Opera Reale di Stoccolma.

Nel 1833 Daniel-François-Esprit Auber mette in musica la vicenda all’Opéra di Parigi su un libretto di Scribe cui si ispirarono anche Saverio Mercadante ne Il Reggente e Giuseppe Verdi con Un Ballo in maschera tenuto a battesimo al Teatro Apollo di Roma nel 1859.

Se Auber e Mercadante si erano concentrati sulla dimensione politica del regicidio, Verdi dedica le sue attenzioni e pone al centro della vicenda l’amore contrastato tra il protagonista Riccardo, tenore, e Amelia, soprano, e moglie del suo migliore amico e collaboratore Renato, baritono. L’intrigo amoroso nato dalla fantasia di Scribe diventa in Verdi il centro dell’azione che alla magnanimità e al buongoverno del conte di Warwick, dà un rilievo minore.

Il soggetto, del resto, nell’Italia risorgimentale sarebbe stato scottante.

L’Opéra National di Parigi propone Un Ballo in maschera nell’allestimento che Gilbert Deflo aveva presentato alla Bastille nel 2007. E’ la versione di Boston che Deflo sceglie per il melodramma in tre atti, che lo spettacolo divide in due parti, anche se l’azione è trasferita dal diciassettesimo secolo dell’originale all’epoca della composizione.

Due mondi si confrontano nelle scene di William Orlandi, quello del potere politico rappresentato da un’aquila simbolo della ragione e della morale del governatore e quello della magia nera di Ulrica, che è – come da libretto – un’indovina di razza nera e si dedica ai culti Vudù rappresentati da un serpente.

L’idea, non particolarmente nuova, è però appena abbozzata nello spettacolo di cui Orlandi firma anche i costumi, Joël Hourbeigt il disegno luci e Micha van Hoecke le belle coreografie che coinvolgono anche il paggio Oscar. I primi due atti scorrono senza grandi emozioni – anche per l’inconsistenza dell’interprete di Ulrica, va detto – e prende forma compiuta e consistenza solo nel terzo, in casa di Renato, dove campeggia un ritratto scultorio dell’amico Riccardo e nel ballo veneziano finale in cui si consuma l’assassinio.

Anche la compagnia di canto, che nella prima parte dello spettacolo avevamo trovato distratta e poco concentrata, prende quota e fa squadra attorno alla commovente Amelia di Sondra Radvanovky.

L’artista canadese, che non ascoltavamo da qualche tempo, ci è sembrata maturata e sbalza un ritratto della moglie combattuta tra amore e dovere coniugale di grande forza espressiva. Merito dell’accento, autenticamente verdiano, del fraseggio, curatissimo nel rispetto dei segni d’espressione che il Cigno di Busseto prescrive alla sua interprete, e di una voce sicura in tutti i registri. La sua interpretazione è stata molto applaudita al termine delle sue grandi arie.

Accanto a lei, Piero Pretti è – soprattutto nel finale – un magnifico Riccardo, nobile nell’accento e sicuro nella scansione della parola “scenica”, e si rinfranca e sfodera un “Eri tu” molto centrato e applaudito anche il Renato fino a quel momento troppo compassato di Simone Piazzola, che con la sua bella voce di baritono lirico, gli acuti franchi e squillanti, la correttezza di un canto naturale, affronta in modo convincente il cimento drammatico.

L’Oscar danzante del soprano armeno Nina Minasyan è sia scenicamente sia vocalmente da salutare con piacere. Non possiamo dire lo stesso, purtroppo, per l’Ulrica di Varduhi Abrahamayan, armena anche lei e molto a disagio, lei mezzosoprano chiaro, in una tessitura troppo grave per i suoi mezzi vocali.

Bene gli altri: Mikhail Timoshenko che è un simpatico Silvano, Marko Mimica e Thomas Dear che formano la coppia dei congiurati Samuel e Tom, Vincent Morell che è il Giudice, e Hyoung-Min Oh il servo d’Amelia, e benissimo il Coro stabile preparato da José Luis Basso.

Sotto la direzione ondivaga nella scelta dei tempi e poco attenta alle esigenze del palcoscenico di Bertrand de Billy, l’Orchestra dell’Opéra National è sembrata in grande spolvero. Il suono è stato di volta in volta intenso o brillante come a Un Ballo in maschera, melodramma in bilico fra tragedia e commedia, conviene. Al termine della rappresentazione domenicale cui abbiamo assistito, la trentunesima in quest’allestimento alla Bastille, il successo è stato vivissimo.

Rino Alessi

(28 gennaio 2018)

La locandina

Conductor Bertrand de Billy
Director Gilbert Deflo
Set design     William Orlandi
Costume design William Orlandi
Lighting design Joël Hourbeigt
Choreography Micha Van Hoecke
Riccardo Piero Pretti
Renato Simone Piazzola
Amelia Sondra Radvanovsky
Ulrica Varduhi Abrahamyan
Oscar Nina Minasyan
Silvano     Mikhail Timoshenko
Samuel Marko Mimica
Tom Thomas Dear
Giudice     Vincent Morell
Servo d’Amelia Hyoung-Min Oh
Orchestre et Choeurs de l’Opéra national de Paris
Chorus master     José Luis Basso

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