Roma: Emma Dante si confronta coi Dialogues

Il Teatro Costanzi di Roma inaugura la nuova stagione operistica con un capolavoro del teatro musicale del Novecento, Dialogues des Carmélites, di Francis Poulenc, su libretto di Georges Bernanos, ed è un evento. Conferma infatti l’attenzione del teatro romano al gusto musicale moderno e contemporaneo, aprendo la programmazione a grandissimi compositori non sempre riconosciuti come meritano e accompagnati dal favore del pubblico.

La novità, programmata a suo tempo da Carlo Fuortes e confermata dal nuovo soprintendente Francesco Giambrone, è soprattutto legata alla direzione musicale di Michele Mariotti, che apre per la prima volta la stagione del Costanzi con un’opera a lui congeniale, restituendone magistralmente tutte le sfumature e la complessità, guidando i cantanti con precisione estrema, e salvando la vocazione originaria di Poulenc, un grande del gruppo dei Sei  che  tra le due guerre segnarono in Francia la reazione all’impressionismo romantico col ritorno al classicismo, all’insegna di una rinnovata sensibilità cattolica in nome di un profondo rinnovamento culturale.  Ed è curioso pensare che siano dovuti passare quasi settant’anni perché un’opera così intensa e profonda che affronta il tema della grazia, il senso del sacrificio cristiano e del martirio e la paura, possa essere universalmente apprezzata come un capolavoro, anche a dispetto della sua stessa comprensione.

Ispirata al dramma storico delle sedici carmelitane del Convento di Compiègne, che per restare fedeli al loro voto religioso furono ghigliottinate in pieno terrore giacobino nell’estate del 1794, poche settimane prima della morte di Robespierre, i Dialogues des carmélites, opera in tre atti e dodici quadri, fu composta tra il 1953 e il 1956, quando Poulenc, in piena crisi mistico-esistenziale per l’amore tormentato che lo legava a Lucien Roubert, si affidò alle novene dei Carmelitani di Dallas per uscire dalla depressione, ritrovare l’armonia col suo innamorato, e terminare un lavoro iniziato anni prima in gloria dell’ordine religioso e delle benedette carmelitane di Compiègne. Che poi le suore di Compiègne fossero solo il tramite o solo l’attivatore di una misteriosa evoluzione spirituale si spiega col fatto che Poulenc attinse al dramma rivoluzionario attraverso la pièce teatrale di un altro grande irregolare della cultura cattolica francese, lo scrittore Georges Bernanos che nel 1948, poco prima di morire, aveva affidato al Dialogue des Carmélites il suo testamento morale, accettando di realizzare i dialoghi per la sceneggiatura di un film, scritto dal domenicano Raymond Bruckberger, e tratto dalla novella tedesca di Gertrud von Le Fort, Die Letzte am Schaffot (L’ultima sul patibolo), pubblicata nel 1931 e ispirata a sua volta al memoriale dell’unica carmelitana sopravvissuta alla ghigliottina.

L’incontro tra l’afflato religioso di Poulenc e la mistica dell’espiazione di Bernanos, cattolico liberale e teorico della grazia soprannaturale e della misteriosa distribuzione della stessa sulle creature umane, avvenne grazie all’editore musicale italiano Ricordi, che nel 1953 attraverso l’AD Guido Valcarenghi, perseguendo un filone improntato al contrasto tra fede e potere, commissionò al compositore francese un’opera nuova, rappresentata in prima assoluta nel gennaio1957 al Teatro alla Scala di Milano, in versione italiana, con la regia di Margherita Wallmann, e sotto la direzione di Nino Sanzogno, con esiti alquanto controversi. Per rendersi conto dell’imperfetta ricezione dell’opera bisogna leggere i commenti raccolti da Daniele Spini, che ricorda lo scarso entusiasmo di Franco Abbiati, le riserve di Luigi Pestalozza, il pollice verso di Massimo Mila per il quale “la paura, che è il vero argomento in questa storia di monache militanti, nella musica non c’è”. Fuori dal coro, l’unico a riconoscere il capolavoro grazie “un lavoro finissimo di orologeria musicale, un esatto comento psicologico, un impegno morale che debbono essere segnati all’attivo del compositore”, fu il mancato baritono e poeta Eugenio Montale.

La cosa bella è che nella nuova produzione romana, il capolavoro musicale del Novecento respira in tutta la sua evidenza grazie alla congeniale direzione di Michele Mariotti, che guida con mano sicura l’orchestra dell’Opera di Roma, restituendo gli ampi intervalli melodici della partitura, calibrando le pause, distillando i bruschi passaggi dallo sgomento all’abbandono, dalla paura alla fiducia nella provvidenza, e lavorando di fino sugli attacchi e sulle voci dei cantanti. Anche l’orecchio meno esperto avverte l’eco della grande tradizione italiana, da Monteverdi a Verdi, e europea, da Debussy a Stravinsky, passando per Musorgskij. E la felicità del melodista e dello stile da recitativo melodico, nell’adesione al linguaggio tonale, nella perfetta corrispondenza tra la scrittura vocale e il senso della parola, nella chiarezza logica della prosodia.

Esaltano queste caratteristiche le voci sontuose di Corinne Winters, soprano assoluto  che dopo la Kata Kabanova torna al Costanzi per interpretare la protagonista del dramma di Poulenc, Blanche de la Force;  grazie alla meravigliosa tenuta timbrica (nonostante la copertura dell’orchestra), di Anna Caterina Antonacci nel ruolo di Madame de Croissy, la vecchia priora scettica e severa che agonizza nel terrore della morire, e alla bravura di Emöke Baráth, il soprano di coloratura  che recita la parte di suor Constance, alterego gioiso e leggero della tragica Blanche.

Tenendo a bada i suoi demoni espressionistici, Emma Dante assicura una regia equilibrata, bella ma a volte ineguale, con qualche apparente incongruenza rispetto all’originale, per esempio la camicia di forza dalle maniche infinite che imprigionano sia la novizia Blanche, che sceglie il convento per liberarsi dal mondo e dalla paura, sia la vecchia priora terrorizzata di morire, e i guanti rossi delle suore anziane, e le biciclette che le carmelitane imbracciano appena uscite dal convento. A compensare il tutto la trovata delle cornici dei ritratti delle dame di mondo che messe in fila l’una dentro l’altra diventano il corridoio della Conciergerie per trasformarsi infine in tanti patiboli individuali, con la scure della ghigliottina che s’abbatte su ciascuna di esse come un telo bianco, mentre recitano il Salve Regina, prima che Blanche col suo martirio assurga in cielo sulle loro teste come Cristo in croce.

Marina Valensise
(27 novembre 2022)

La locandina

Direttore Michele Mariotti
Regia Emma Dante
Scene Carmine Maringola
Costumi Vanessa Sannino
Luci Cristian Zucaro
Movimenti coreografici  Sandro Campagna
Personaggi e interpreti:
Marquis de la Force Jean-François Lapointe
Blanche de la Force Corinne Winters
Chevalier de la Force Bogdan Volkov
Madame de Croissy Anna Caterina Antonacci
Madame Lidoine Ewa Vesin
Mère Marie de l’incarnation Ekaterina Gubanova
Soeur Constance de Saint-Denis Emöke Baráth
Mère Jeanne de l’enfant-Jésus Irene Savignano
Soeur Mathilde Sara Rocchi
L’aumônier du Carmel Krystian Adam
Officier Roberto Accurso
I Commissaire William Morgan
Le Geôlier / Ii Commissaire Alessio Verna
Orchestra e coro del Teatro dell’Opera di Roma
Maestro del Coro Ciro Visco

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