Vicenza: il concerto festivo di Altstaedt e la BFO

Un fuoriclasse del violoncello, Nicolas Altstaedt, per la prima volta sulla scena del teatro Olimpico e per la prima volta insieme a quella luminosa macchina sonora che è la Budapest Festival Orchestra diretta da Iván Fischer. Un vero e proprio “concerto festivo”, quello incastonato fra le due rappresentazioni del britteniano Giro di vite sulla scena palladiana, nell’ambito della breve ma succosa rassegna che qui si svolge ormai dal 2018. E pazienza se il programma proponeva, per il solista, “soltanto” il Concerto in Do maggiore, graziosa quanto popolare pagina di un Haydn poco più che trentenne, a lungo creduto perduta e tornata alla luce solo nei primi anni Sessanta del secolo scorso. Nel senso che quando si ascolta un interprete come Altstaedt, viene subito voglia di sentirlo alla prova anche con il grande repertorio ottocentesco – lo stesso che la BFO frequenta da sempre con notevolissimo risultato.

In ogni caso, il violoncellista franco-tedesco si è presentato al cospetto della “frons scenae” palladiana nella versione storicamente informata che è caratteristica fondante del suo fare musica (e basterà citare al proposito la rivelatoria registrazione delle Sonate di Beethoven con Alexander Lonquich al fortepiano): violoncello senza puntale, archetto commisurato all’epoca del Concerto haydniano. Accorgimenti dettati dalla consapevolezza interpretativa, che nulla hanno tolto alla ricchezza fascinosa del suono, mentre il fraseggio si è piegato a illustrare con trasparente evidenza come all’epoca in cui questa pagina è’ stata scritta lo stile rococò venato di influenze italiane si stesse ormai orientando verso il nitore formale e la chiarezza dell’incipiente Classicismo. Il tutto, con l’agilità e la precisione necessarie a fare apprezzare il sorridente gioco strumentale qui inscenato da Haydn.

Quanto alla BFO, Fischer non ha ritenuto nell’occasione di ridurre il corposo organico degli archi (dieci primi violini, otto secondi, sei viole, quattro violoncelli e tre contrabbassi) preferendo portare la sfida esecutiva della consapevolezza storica sul piano del virtuosismo strumentale. Nel senso che è pur vero che dieci violini possono suonare come quattro, se chi li imbraccia è un virtuoso oltre che del propri strumento anche del fare musica insieme. Questo in sostanza è accaduto all’Olimpico: per fare solo un esempio, il delicato pizzicato dell’accompagnamento nell’Adagio tale era davvero, anche se numericamente appariva robusto oltre il necessario. E su di esso il cantabile elegante e ricco di colore di Altsaedt si è stagliato con plastica evidenza.

Consensi caldissimi per il giovane violoncellista da parte di un Olimpico al completo e bis anticonvenzionale, come ci si può ben aspettare da questo talento: niente Bach, quindi, ma una rara pagina di Jean-Baptiste Barrière, compositore francese della prima metà del Settecento, l’Adagio da una Sonata in Sol minore per due violoncelli. Per eseguirlo, Altstaedt ha chiesto e ottenuto la collaborazione del primo violoncello della formazione magiara, sedendosi al suo fianco in un inedito fuori programma dalle file dell’orchestra.

Aperta come di prammatica da una breve pagina brillante – in questo caso la Sinfonia da La scala di seta di Rossini – la serata ha poi virato sul poderoso linguaggio beethoveniano e sul clima espressivo ben altrimenti profondo della Terza Sinfonia, l’Eroica. In questo caso, l’impressione è stata che Iván Fischer abbia lavorato in chiave interpretativa soprattutto per modellare e in certo modo “tenere a bada” la brillantezza della BFO, la cui qualità strumentale è fra gli elementi maggiori del suo appeal internazionale. Il suono di quest’orchestra è apparso come sempre lucente, superbamente mobile nella dinamiche, impeccabile nella qualità di ciascuno e nell’omogeneità delle sezioni, pur dentro all’acustica non così impeccabile dell’Olimpico (un luogo comune, la sua eccellenza, che sembra non poter essere scalfito). Forse, solo un po’ troppo acre nelle perorazioni in zona alta della tessitura da parte dei violini primi.

Singolare “trait-d’union” fra le accattivanti limpidezze mediterranee e le introspettive densità della tradizione germanica, sotto la guida di Fischer la Budapest Festival Orchestra è stata capace di tratteggiare una Marcia Funebre meditabonda ma pratica (scene da un funerale, si potrebbe dire) senza esagerazioni “filosofiche”, chiarendo che la visione “eroica” di Fischer consiste semmai nei tempi incombenti e travolgenti del primo movimento e del Finale, e a suo modo pure nella brillantezza estroversa dello Scherzo, che ha portato in vetrina l’eccellenza dei tre cornisti.

Ovazioni. Per bis una benaugurante “Benedizione serale” di Antonín Dvorák, una pagina vocale per eseguire la quale l’organico strumentale si è trasformato, senza stupire chi conosce questa attitudine della formazione magiara, in un impeccabile coro.

Cesare Galla
(22 ottobre 2022)

La locandina

Violoncello Nicolas Altstaedt
Direttore Iván Fischer
Budapest Festival Orchestra
Programma:
Gioachino Rossini
Ouverture da “La scala di seta”
Joseph Haydn
Concerto per violoncello n. 1 in Do maggiore
Ludwig van Beethoven
Sinfonia n. 3 in Mi bemolle maggiore op. 55 “Eroica”

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