Vicenza: le intermittenze di Schiff

Difficile dire se l’intermittenza del suono “originale” – della quale András Schiff in tempi recenti sembra incline a dare prova – abbia qualcosa a che fare con le proustiane intermittenze del cuore. Se cioè le sue scelte esecutive rispetto agli strumenti antichi siano dettate dagli scarti della memoria (in questo caso interpretativa) nel fluire del tempo di una carriera ormai al traguardo del mezzo secolo. Quello che appare piuttosto evidente è che le ragioni “filologiche” del pianista inglese di origine ungherese appaiono slegate non soltanto – e beneficamente – dagli astratti furori di una prassi esecutiva troppo spesso troppo rigida, ma anche da una semplicistica coerenza rispetto ai due poli della questione: l’epoca delle composizioni e quella degli strumenti con cui vengono eseguite.

Lo si è notato con palmare evidenza in occasione del festival “Omaggio a Palladio”, giunto alla ventiseiesima edizione e come sempre realizzato per tre delle quattro serate di cui consiste sulla scena del Teatro Olimpico di Vicenza. Il concerto inaugurale era una monografia cameristica schubertiana (Trio op. 100, Sonata per arpeggione e pianoforte, Drei Klavierstücke D 946) che Schiff ha affrontato alla tastiera di un fortepiano Franz Brodmann del 1820, già usato per la sua pregevole incisione di vari lavori pianistici di Schubert, pubblicata da ECM nel 2019. Una perfetta coincidenza fra l’epoca della composizione e l’epoca dello strumento usato per realizzarlo.

Nelle ultime due serate all’Olimpico, tuttavia, il fortepiano è scomparso e ha fatto la sua apparizione il maestoso pianoforte Bösendorfer Imperial che Schiff in queste occasioni fa venire dalla sua casa di Firenze. Eppure, il programma prevedeva due Concerti per pianoforte di Mozart, K. 503 e K. 491, venuti alla luce un quarantennio prima delle composizioni di Schubert, Concerti per i quali già il fortepiano Brodmann poteva risultare “fuori epoca” per qualche integralista del suono “originale”. Ma il Bösendorfer lo era – almeno in teoria – ancora di più.

In realtà, l’ascolto ha confermato come András Schiff sia sempre più interessato a una personalissima e affascinante (in quanto sul piano musicale potentemente soggettiva) ricerca del suono mozartiano. Essa da un lato prescinde dalla tipologia dello strumento adottato, per i caratteri meramente timbrici che ne derivano, e dall’altro è invece ad esso strettamente legata, in virtù delle innumerevoli soluzioni musicali offerte da uno strumento “moderno” di eccellenza come quello adottato.

I due Concerti proposti risalgono allo stesso anno, il 1786, ma hanno caratteri profondamente diversi. Il K. 491 in Do minore (scritto nella primavera di quell’anno) è uno dei due soli in minore in tutta la produzione per tastiera e orchestra del salisburghese ed è animato da un’interiore drammaticità che lo ha reso “pezzo favorito” dei grandi interpreti fin dalla metà dell’Ottocento. Il K. 503 in Do maggiore (risalente al dicembre di quello stesso 1786) fa parte dei Concerti “di parata”, che Mozart componeva pensando al gusto del pubblico viennese e a beneficio delle proprie finanze in occasione delle esecuzioni: brillante senza essere banalmente esteriore, soprattutto estroverso, solare, accattivante. Di questa brillantezza Schiff ha dato conto con un’immediatezza ammirevole: suono nitido e incisivo, superbamente commisurato al dialogo con la Cappella Andrea Barca e in particolare con la sezione dei fiati, che è apparsa impeccabile; fraseggio sciolto, esuberante eppure con tutta evidenza sottoposto a un controllo minuzioso nelle dinamiche, nelle scelte di tempo. Il clima espressivo era quello delle Nozze di Figaro, in scena per la prima volta nella storia il 1° maggio di quello stesso 1786. Non per caso, nella cadenza del primo movimento, l’appropriatezza stilistica indubitabile di Schiff si è concessa un gesto “moderno”, facendo risuonare prima del ritorno dell’orchestra il tema celeberrimo del Finale del primo atto, laddove Figaro ironicamente canta a Cherubino “Non più andrai farfallone amoroso”.

La sera dopo, il clima cupo e profondamente introspettivo del Concerto K. 491 non si è valso di analoga limpidezza interpretativa. Qualche rallentamento dei tempi – specie nel primo movimento nella parte orchestrale – non è apparso funzionale a disegnare al meglio una trama espressiva di soggettività assoluta; la dolcezza trasognata del celebre Larghetto (il secondo movimento) è risultata in certo modo fin troppo razionale, se così si può dire. Ferma restando l’assoluta chiarezza del tocco di Schiff. Paradossalmente, la temperie espressiva che era parsa non sempre definita al meglio in questo Concerto è esplosa nel bis con cui il pianista ha suggellato questa edizione del Festival: un’interpretazione della Fantasia in Do minore K. 475 di Mozart nella quale la strabiliante profondità di questa pagina è stata sbalzata a tutto tondo: dolente, personale, drammatica quasi a disegnare un preannuncio di Don Giovanni. In altre parole, di commovente “verità” espressiva e di affascinante carattere pianistico, nella sua esplorazione di ogni angolo della tastiera.

In tutte due le serate, il contraltare di pura eleganza orchestrale è stato assicurato dal magistero haydniano, al culmine nella Sinfonie Londinesi, delle quali sono state eseguite la n. 99 e la celebre n. 103, “Rullo di timpani”. Occasione, in entrambi i casi, di una luminosa vetrina delle qualità della Cappella Andrea Barca, che Schiff in veste di direttore ha quanto meno il merito di assecondare con efficace taglio analitico e musicalità sempre limpida.

Quanto al tradizionale concerto sacro corale nella basilica paleocristiana di San Felice, in questa occasione, dopo tante incursioni nella perfetta sintesi di fede e arte delle Messe di Haydn, il programma era tutto mozartiano: apertura con la Sinfonia in Sol Minore K. 550, la più celebre di Amadé, e focus sulla straordinaria Messa incompiuta in Do minore K. 427. Si tratta di un capolavoro nel quale i molti anni al servizio dell’arcivescovo di Salisburgo, a battagliare fra l’urgenza dell’ispirazione e i lacci e lacciuoli imposti dal volere dell’alto prelato sui modi e i tempi della musica sacra, vengono spazzati via per sempre. E si coglie come anche in questo genere l’insopprimibile vocazione teatrale mozartiana costituisca un punto di riferimento non eliminabile. Nell’esecuzione, è parso però che Schiff non abbia voluto sottolineare troppo questo aspetto, cercando una via di mezzo espressiva che ha finito per allentare il rigore della scrittura “alta” negli intrecci polifonici a doppio coro, rallentati specie nel Kyrie e nella Fuga del “Cum Sancto Spiritu” che suggella il Gloria, senza abbandonarsi davvero all’umanissima dolcezza sentimentale che promana dalle stupende pagine solistiche affidate al soprano (su tute, l’Aria “Et incarnatus est” nel Credo, naturalmente).

In ogni caso, la Schola San Rocco di Francesco Erle ha dimostrato di essere – per lunga esperienza e raffinata qualità – il coro ideale per le incursioni del pianista-direttore nel genere sacro: lo asseconda come meglio non si potrebbe, trovando sempre il modo di affermare la sua meditata pertinenza stilistica, senza perdere la propria caratteristica omogeneità e la qualità delle sezioni, magnificamente bilanciate. Fra i solisti, le voci femminili – le sole a contare davvero in questa Incompiuta sacra ben poco liturgica – erano quelle del soprano Johanna Wallroth e del mezzosoprano Ema Nikolovska: bei colori, linea di canto elegante, partecipazione sempre un po’ distaccata. Completavano il quartetto il tenore Werner Güra e il baritono Georg Klimbacher.

Immutabile lo scenario di pubblico: foltissimo, tranquillamente disposto a sopportare le scomodità di luoghi monumentali come lo spazio palladiano, nel quale anche con pochi centimetri si ricavano posti presuntamente a sedere, sempre caloroso. Ogni volta, quindi, Schiff e i suoi collaboratori sono stati salutati con lunghe ovazioni.

Cesare Galla
(2,3,4,5 maggio 2024)

La locandina

Direttore, pianoforte e fortepiano Sir András Schiff
Violino Erich Höbarth
Arpeggione Christophe Coin
Soprano Johanna Wallroth
Soprano Ema Nikolovska
Baritono Georg Klimbacher
Tenore Werner Güra
Cappella Andrea Barca
Schola San Rocco
Mestro del coro Francesco Erle

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