Vicenza: tre visioni di modernità alle Settimane Musicali

Un festival è un festival – e non una delle troppo frequenti e banali vetrine per le star, o per chi aspira ad esserlo – quando regala scoperte, suscita emozioni, induce riflessioni. Da questo punto di vista, le Settimane Musicali al teatro Olimpico hanno una bella e lunga tradizione, sviluppata in quasi trent’anni attraverso la musica da camera ma anche nel mondo dell’opera (finché c’è stata). Tradizione confermata dal bellissimo concerto che ha visto l’altra sera protagonisti nella sala palladiana la violinista Sonig Tchakerian e il violoncellista Mario Brunello. L’originalità del programma scelto dalla violinista – che è anche direttore artistico della rassegna – non era data dalla ricerca del raro o dell’inedito, anche se è sicuramente vero che almeno due pezzi su tre sono stati proposti per la prima volta a Vicenza e probabilmente anche il terzo, con il solo dubbio legato al nome dell’autore, Ravel, così noto da non poter escludere che la sua Sonata sia già apparsa in passato. L’originalità consisteva piuttosto nell’idea di fare del programma una sofisticata declinazione dell’assunto generale delle Settimane, che quest’anno hanno per titolo In cammino. In questo caso, il percorso era quello di una sorta di viaggio dall’Ararat a Parigi attraverso l’Anatolia, lungo un arco di tempo tutto inserito nel XX secolo, dal 1924 della Sonata per violino e violoncello di Ravel al 1975 della Sonata-Monologo per violino solo di Aram Kaciaturian, passando per il 1954 della Partita per violoncello solo del compositore turco Ahmed Adnan Saygun.

L’elemento più coinvolgente della serata consisteva nel suo proporre tre modi diversi di vivere la modernità in musica al di fuori della concezione “occidente-centrica” di cui non riusciamo così facilmente a liberarci, secondo un movimento che alla fine è risultato allo stesso tempo centrifugo e centripeto.

Era centripeto nel caso della Partita di Saygun, che fin dall’utilizzo di questo termine dichiara la sua vicinanza o quanto meno la sensibilità del compositore per una tradizione formale tipica della musica europea fin dall’epoca barocca, del resto assorbita grazie al fatto che la sua formazione avvenne anche in Francia, alla scuola di Vincent D’Indy, nel cruciale periodo a cavallo fra gli Anni venti e gli Anni Trenta. Ma è stata tuttavia evidente all’ascolto la capacità di questo autore di commisurare l’impiego di una cornice formale “occidentale” con la ricchezza di una invenzione che si nutre della conoscenza del proprio patrimonio “etnico”, del quale Saygun fu importante studioso, stimato anche da Bartók.

Era centrifugo, ma forse sarebbe meglio dire che era orgogliosamente e autonomamente armeno nel caso del Monologo violinistico di Kaciaturian, un densissimo lavoro messo a punto tre anni prima della morte. Qui l’eroe del lavoro socialista, tre volte insignito dell’Ordine di Lenin, quattro volte vincitore del Premio Stalin, apparentemente organico al regime comunista ma non abbastanza per sfuggire alla purga zdanoviana del 1948 con l’infamante accusa di “formalismo” (venne peraltro riabilitato l’anno seguente), si affida alle radici “etniche” del suo pensiero musicale per affermare una straordinaria libertà espressiva. E se anche il pensiero non poteva non correre alle grandi invenzioni per violino solo della musica dell’Occidente, dalle Partite-Sonate di Bach ai Capricci di Paganini e alle Sonate di Ysaÿe, nell’evidente analogia della complessità di una scrittura che richiede prodigioso virtuosismo, erano i nessi melodici e tematici a disegnare un’originalità che per quanto “esotica” risultava comunque emotivamente di straordinaria vicinanza.

Nel caso di Saygun come in quello di Kaciaturian, poi, brillava comunque il fascino del suono, grazie ad elaborazioni profonde e mutevoli, poetiche e drammatiche, dalle mille sfaccettature: campo ideale per due strumentisti di assoluto valore come Mario Brunello e Sonig Tchakerian. E se quest’ultima, affrontando Kaciaturian, ha fatto passare con emozionante chiarezza la propria sintonia esistenziale ed estetica rispetto alla musica della terra dei sui avi, regalando una prova di nitidezza assoluta e di tensione quasi lancinante, Brunello ha sfoggiato in maniera esemplare la sua musicalità colta e sensibile, che infallibilmente riversa nel suono, nel fraseggio, nella multiforme gamma delle dinamiche, la profondità del suo pensiero musicale.

Considerazioni che nella parte conclusiva del concerto, quando i due interpreti si sono proposti insieme per la Sonata di Ravel, sono emerse ugualmente nella lucidità dell’approccio stilistico, nella ricchezza del colore di ciascuno, nella precisa eleganza dell’interazione fra le parti.

Accoglienze entusiastiche da parte di un Olimpico quasi al completo e bis “romantico” con una elaborazione per violoncello e violino della popolare Ave Maria di Gounod.

Cesare Galla
(12 giugno 2019)

La locandina

Violino Sonig Tchakerian
Violoncello Mario Brunello
Programma:
Ahmed Adnan Saygun
Partita per violoncello solo
Aram Kaciaturian
Sonata Monologo per violino solo
Maurice Ravel
Sonata per violino e violoncello

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