Vicenza: l’Effetto Mozart di Giannini, Tchakerian e Prosseda al Teatro Olimpico

Prendi Giancarlo Giannini, lo mandi da solo sul palcoscenico dell’Olimpico, un occhio di bue a seguirlo, che tanto fermo non riesce a stare, e puoi stare sicuro che lo spettacolo c’è. Qualsiasi cosa reciti. Come suol dirsi, anche la lista della spesa.

Prendi due musicisti di sicura qualità e di ricchissimo pensiero musicale come la violinista Sonig Tchakerian e il pianista Roberto Prosseda, e puoi stare altrettanto sicuro che il loro concerto sarà capace di emozionare e coinvolgere, di fare apprezzare il suono e il dialogo, di fare scoprire quanto questi due strumenti riescano a costruire un rapporto intimo e profondo lungo tutto l’arco di un repertorio che va dalla metà del settecento al Novecento avanzato.

Metti insieme questi squisiti artisti, li fai interagire con libertà, ironia e fantasia, ma non è detto che tutto combaci come per magia. Così come non è (sempre) detto che parole e musica debbano per forza svelare mondi nuovi, se il loro connubio è artificiale, ancorché idealmente motivato. Ma anche, in più di qualche momento, tecnicamente non controllato.

Così, segnalato quello che appare come il maggiore exploit della serata, ovvero il debutto all’Olimpico di un attore del calibro di Giannini, che se la memoria e gli indici non ingannano, mai prima aveva messo piede sulla scena di Palladio e Scamozzi (e questa è un’altra medaglia nel palmarès delle Settimane Musicali, organizzatrici della serata), la cronaca dell’evento deve parlare di una riuscita a metà. Oppure di una sicura riuscita della parte testuale e di una “sottovalutazione” di quella musicale. Senza per questo voler fare la parte di chi sta con Antonio Salieri e l’abate Giovanni Battista Casti, autori dell’operina Prima la musica, poi le parole. Anche perché, è noto, il divo Claudio Monteverdi molto prima e forse più autorevolmente di loro era del parere opposto («L’armonia sia non signora ma serva dell’oratione»).

L’idea di Sonig Tchakerian era bene riassunta dal titolo dello spettacolo: Amadeus in cammino fra le donne. E costituiva anche una doverosa continuazione della grande tradizione mozartiana del festival, sia in ambito cameristico che operistico. Il progetto si basava sull’interpolazione fra una scelta di lettere tratte dallo sterminato epistolario del salisburghese (in cui, evidentemente, si rivolge a donne o parla di donne) e alcune pagine cameristiche per violino e pianoforte. Il rapporto fra i due elementi, però, è risultato vago, forse inesistente (a parte che la più celebre Sonata per questi due strumenti Mozart la scrisse per una donna italiana, la virtuosa Regina Strinasacchi, che era nata sei anni dopo di lui in quel di Ostiglia, nel Mantovano, ma aveva fatto fortuna nelle nazioni dell’Impero).

Non è in questione quanto Amadé fosse sensibile all’eterno femminino, anzi. Semmai è in questione il fatto che le paginette raccontate con incomparabile ironia e sottigliezza da Giannini potessero costituire plausibili elementi di un medaglione del compositore, perché non avevano alcuna funzione drammaturgica rispetto alla musica, pochi e sfumati collegamenti cronologici e nulla più. E dunque i componenti della serata, ciascuno in sé di elevata qualità, hanno finito per dare una maionese “impazzita”. Per la riuscita della quale, come ben sa Giancarlo Giannini, raffinato gastronomo, non bastano un olio meraviglioso e uova di primissima scelta.

Fuori di metafora, si è assistito a una serie di interventi di assoluto virtuosismo nella voce e nell’arte recitativa da parte di Giannini, e all’esecuzione a mo’ di pillole di due stupende Sonate mozartiane (K. 378 e K. 454), non solo interpolate con le parti parlate (ovvero un movimento alla volta, senza mai continuità esecutiva all’interno della composizione) ma talvolta addirittura alternate con altri pezzi del salisburghese. Un minestrone (se possiamo continuare nella terminologia gastronomica) che ha reso difficile, quasi impossibile sul versante musicale, apprezzare la qualità dei suoi elementi. Anche se sia Tchakerian che Prosseda hanno fatto intravvedere di quale sottigliezza esecutiva siano capaci, e si sono avuti in qualche momento abbaglianti frammenti di una grande interpretazione.

Poi, una maionese impazzita c’è sempre il modo di tentare di recuperarla, come si sa. Ma per riuscirci sarebbe servita forse una preparazione un po’ meno all’impronta, visto che questi grandi interpreti hanno dato l’impressione di trovarsi per la prima volta insieme, di dare vita a una sorta di jam session mozartiana fra parola e musica. Violinista e pianista facevano la loro parte secondo tradizione, ma Giannini durante le esecuzioni non ha mai cessato di prendersi tutta la scena, ignorando la poltrona che era stata piazzata in scena a poca distanza dal pianoforte (evidentemente pensata per dargli modo di ascoltare anche lui le parti musicali senza troppe interferenze), andando al leggio, tornando indietro, avvicinandosi al pianoforte, compulsando i fogli del testo, prendendo appunti con un paio di penne. Il tutto con il microfono perennemente aperto, il che portava in primo piano i rumori delle carte oppure, molto più increscioso, amplificava inopinatamente il pianoforte, sparandone il suono attraverso i diffusori e mandando a farsi benedire il raffinato equilibrio di Prosseda con la parte violinistica. Bastava chiuderlo quando Giannini non parlava, il microfono. Strano ma vero, evidentemente non ci ha pensato nessuno.

Mozart non avrebbe apprezzato. Lo ha chiarito, vedi caso, lo stesso Giannini quando ha letto un frammento di lettera nella quale il salisburghese raccontava il suo fiero dispetto per la distrazione di un consesso di nobili che si facevano gli affari loro mentre lui suonava il fortepiano… E allora non esistevano le tecniche di amplificazione del suono…

Il pubblico che gremiva l’Olimpico ha molto apprezzato ed ha applaudito con grande calore. Dopo vari siparietti fra musicisti e attore sui bis preparati o meno, e dopo una versione violino-piano della Campanella di Paganini, la “pepita” l’ha tirata fuori Giancarlo Giannini: il monologo di Marc’Antonio dal Giulio Cesare di Shakespeare.

Cesare Galla
(8 giugno 2019)

La locandina

Voce recitante Giancarlo Giannini
Violino Sonig Tchakerian
Pianoforte Roberto Prosseda
Spettacolo tra le lettere alla cuginetta, a sua sorella, a Costanze e le sonate per violino e pianoforte

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