Roma: trionfa il Barbiere non live di Martone e Gatti

Mettere in scena un’opera, oggi, nei teatri deserti per virus, offre ai registi un ventaglio di soluzioni di inedita ampiezza. A patto di accettare la sfida dei condizionamenti, naturalmente, e di farne l’occasione per mettere a fuoco una diversa creatività, forse perfino nuovi linguaggi. È quello che avviene nel Barbiere di Siviglia dell’Opera di Roma, con il quale Mario Martone firma ad un tempo una notevole testimonianza degli eventi che ci troviamo a vivere e uno spettacolo multiforme e seducente, di rara limpidezza nel chiarire l’essenza della commedia con cui Rossini e il librettista Sterbini, assai attento a Beaumarchais, fanno la storia del genere comico.

Il punto di partenza è che il regista napoletano rinuncia alla simultaneità fra l’evento e la sua fruizione. Nulla è “dal vivo”, quindi. Come ha detto il direttore Daniele Gatti, questo Barbiere è un’opera-film. E l’inversione dei termini rispetto a quelli che descrivono un genere mai risolto e mai decollato davvero (quello del film-opera, appunto) indica anche quale sia la sua novità.

Il fatto che il video sia stato passato al montaggio, e che ci sia anche qualche sortita molto cinematografica in esterno-giorno, non cambia il discorso. E poi è un guizzo d’ironia molto rossiniano scoprire che il guidatore dello scooterone che trasporta Figaro per le vie di Roma durante la sua Cavatina è lo stesso Gatti, impaziente di raggiungere il teatro, il frac sotto il giaccone. Questo spettacolo regala infatti un discorso sul teatro di esemplare profondità e compiutezza, proprio perché vive e si appropria dello spazio globale del Costanzi, tutto a disposizione, con una naturalezza che dischiude molteplici significati. Avviene così, ed è un paradosso solo apparente, che la regia operistica più dichiaratamente cinematografica di questi tempi sia anche la più squisitamente teatrale e quella a più forte connotazione metateatrale.

La teatralità nasce dal lavoro sullo spazio e sugli attori-cantanti, vestiti da Anna Biagiotti con impeccabili costumi primo Ottocento: la commedia brilla e fiammeggia senza bisogno di alcun elemento scenico aggiuntivo, oltre il dispositivo (da Martone chiamato “installazione”) che distende sulla sala e sul palcoscenico una sorta di grande ragnatela di cavi, nella quale tutti i personaggi rischiano di rimanere invischiati, ma la cui caduta alla fine sancirà l’avvenuta “liberazione” di Rosina.  La metateatralità deriva dall’incessante rovesciamento/superamento delle funzioni sceniche. Essa non riguarda solo il continuo passare dei protagonisti dal palcoscenico alla platea, l’utilizzo dei palchi per il coro, la definizione di originali prospettive grazie allo sfruttamento degli ingressi in sala come anomalo punto di vista. È determinata anche dalla vicinanza fra i personaggi e i tecnici. Macchinisti, rumoristi, sarte: tutti affaccendati intorno ai cantanti o comunque presenti nello spazio della rappresentazione. Il mondo del “fuori scena” che guadagna per una volta le luci della ribalta.

Poi, fra i protagonisti dello spettacolo c’è anche il virus, e qui Martone un po’ ci mette del suo e un po’ coglie gli assist forniti da Sterbini e Rossini. Il più ovvio, raccontato in chiave nettamente comica, è quello del quintetto del secondo atto, in cui Almaviva e Rosina, Bartolo e Figaro fanno credere a Basilio di essere malato, di avere la scarlattina. Spuntano mascherine e visiere, le distanze si allargano, compresa quella del servitore che porge cappello e bastone al presunto infetto, e si prende da quest’ultimo una bella dose di improperi.

Ma colpisce di più l’ironia pensosa della scelta di Martone per il Finale del primo atto: “Mi par d’esser con la testa /in un’orrida fucina”, cantano tutti. E lo spettatore vede passare nostalgiche immagini in bianco-nero del Costanzi pieno di pubblico fra appassionati e dive, dalla Magnani alla Callas. Scene di super-affollamento che sembrano venire da un altro pianeta. E si accende l’incertezza: l’orrida fucina è quello che stiamo vivendo o sono i festosi assembramenti di un tempo che ci appare inesorabilmente remoto?

Se lo spettacolo è per molti aspetti memorabile, di assoluto rilievo è il suo versante musicale. Daniele Gatti è in perfetta sintonia con Martone nell’imprimere all’esecuzione un dinamismo incessante eppure “pieghevole”, molto articolato, con un fraseggio che respira liberamente, così come di libera pienezza espressiva sono i recitativi, non a caso tutti puntigliosamente mantenuti. I colori brillano – e l’orchestra dell’Opera di Roma trova adeguata efficacia – le dinamiche sono cangianti, i tempi quasi fisiologicamente esemplati sullo svolgimento della storia, fra precipitosa ilarità e meditabondo lirismo, con uno stile aggiornato per quanto consapevole delle acquisizioni filologiche.

Compagnia di canto assai giovane e mediamente di grande qualità. Spicca Vasilisa Berzhanskaya, una Rosina mezzosopranile dal colore vocale ambrato, che raggiunge con agile efficacia la zona bassa della tessitura e fraseggia con fluida eleganza, dimostrando tutta la spigliatezza e la precisone necessarie ai passaggi di coloratura. Energia e bella definizione timbrica sciorina anche il Figaro di Andrzej Filończyk, ironico ed energico, dotato di fluida cantabilità e di buona agilità, mai sopra le righe nella caratterizzazione, mentre Ruzil Gatin regala al Conte di Almaviva un interessante timbro chiaro e non esile, ma forse non la tenuta necessaria nella zona alta e nemmeno la precisone in coloratura. Il suo banco di prova poteva (doveva) essere l’arduo Rondò del Finale ultimo, “Cessa di più resistere”, ma Gatti glielo ha evitato, decidendo di passare subito al tradizionale “Finaletto”.

Don Bartolo era Alessandro Corbelli, mai caricaturale eppure esilarante grazie alla sottigliezza attoriale e a una pienezza vocale del tutto all’altezza sia nei concertati che nel canto sillabato, mentre Alex Esposto ha disegnato con pienezza di linea vocale un Basilio giustamente lontano dalla caratterizzazione tenebrosa troppo in voga. Bene anche Patrizia Biccirè, una Berta non inutilmente querula e Roberto Lorenzi nei panni di Fiorello; equilibrato il coro istruito da Roberto Gabbiani.

Dopo la prima assoluta su Rai3, questo Barbiere tornerà nella notte di San Silvestro, proposta alternativa di Rai5 per i veglioni inesistenti. Intanto ieri in pomeridiana (inizio alle 16.15), 654 mila spettatori lo hanno seguito nel primo atto, quasi 700 mila nel secondo, fra il 4 e il 3,5% di share.

Cesare Galla
(5 dicembre 2020)

La locandina

Direttore Daniele Gatti
Istallazione e regia Mario Martone
Costumi Anna Biagiotti
Luci Pasquale Mari
Personaggi e interpreti:
Conte d’Almaviva Ruzil Gatin
Rosina Vasilisa Berzhanskaya
Don Bartolo Alessandro Corbelli
Figaro Andrzej Filończyk
Don Basilio Alex Esposito
Berta Patrizia Biccirè
Fiorello Roberto Lorenzi
Ambrogio Paolo Musio
Un notaio Pietro Faiella
Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma
Maestro del coro Roberto Gabbiani

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