Equiparato al bingo muore lo spettacolo dal vivo

I teatri come le sale bingo, gli spettacoli dal vivo equiparati a slot-machines e videopoker; questo recita il più recente dei DPCM partorito nottetempo – e forse tardivamente – da un esecutivo che sembra avere ancora una volta perso l’occasione per mettere una pezza alle “manchevolezze” nei confronti di chi lavora nello spettacolo e di esso vive.

Insieme ai teatri e alle sale da concerto si chiudono le palestre e le piscine e si assesta una botta formidabile alla ristorazione. In questi casi mal comune non è mezzo gaudio, è semplicemente la glorificazione della miopia politica.

Chi rivendica l’alta possibilità di infettarsi mentre si assiste ad un concerto o a un’opera o non ha messo piede in teatro dalla riapertura dopo l’isolamento forzato dei mesi scorsi oppure è in malafede, o semplicemente reputa che quelli “ che ci fanno tanto divertire” – così disse il Presidente del Consiglio – non svolgano professioni “vere” e degne di essere tutelate.

I teatri, i cinema, le palestre sono sicuri per il pubblico, con protocolli stringenti applicati senza compromessi: tre o quattro Covid-positivi tra le maestranze di una fondazione lirica non sono un focolaio; sono solo tre o quattro positivi.

La Staatsoper di Monaco, per citare una realtà – non l’unica – al di fuori dei nostri confini, a fronte di alcuni contagi tra i coristi ha provveduto a sostituirli sincerandosi al contempo della buona salute degli altri.

Il trasporto pubblico – in un gioco di irresponsabilità amministrative condivise tra Stato e poteri locali – non si tocca nonostante sia probabilmente il veicolo più pericoloso per la trasmissione del virus perché gli interessi in gioco sono troppi; è solo un esempio – molto ci sarebbe da dire sui luoghi di culto regolarmente aperti e fruibili – per porre in evidenza il fatto che il nostro è un paese di piccoli potentati che agiscono in regime di ricatto costante.

In tutto questo dove erano le Fondazioni liriche? Perché non hanno costituito un fronte comune per difendere i loro dipendenti, gli artisti a contratto e il pubblico di fronte all’ignavia colpevole del ministro Franceschini che si dice “addolorato”? Il dolore non è abbastanza, signor ministro, perché ad esso si dovrebbe associare almeno un po’ di vergogna – insieme al suo omologo con delega allo Sport – per aver fatto del compromesso al ribasso il Leitmotiv del suo dicastero. Veda, ministro, un paese senza musica, teatro e cinema – che insieme alla scuola dovrebbero essere i pilastri di una società che si possa chiamare civile – è un paese senza futuro.
Si comincia a parlare di ristori; vedremo quanto e soprattutto quando.

Gli artisti intanto si stanno mobilitando anche sui canali social con iniziative come  In piazza per la cultura

Alessandro Cammarano

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