Il rilancio dello Stabile del Veneto parte da Giorgio Ferrara

Prendete un uomo di teatro di lungo corso, uno che ha collaborato con molti grandi della scena in giro per il mondo e che per diffusa opinione viene dall’avere risollevato dalla decadenza uno dei più importanti festival internazionali, portandolo al livello delle sue gloriose origini; aggiungete un nome illustre della regia, pure internazionale, noto per la sua incessante attività “multidisciplinare” e per la sua attenzione ai giovani; condite con l’esperienza di un addetto alla produzione che conosce cosa serve per mandare in scena uno spettacolo, di prosa, lirico o di balletto; guarnite con le competenze tecniche di una manager che peraltro proviene da tutt’altro settore. All’ora di pranzo di un fine febbraio percorso da inquietudini pandemiche nuovamente crescenti, ecco servita la ricetta del nuovo corso del Teatro Stabile del Veneto.

La conferenza stampa (parte in presenza e parte telematica) con cui è stato dato l’annuncio è sembrata in vari passaggi quasi un talk show, e non sono mancate le scivolate di stile. Ma è innegabile che il cambiamento, destinato a mettersi in moto il 2 di aprile (partire il giorno precedente non è stato considerato opportuno), ci sia. Dopo un paio di anni passati a condurre per conto dello Stabile una sorta di campagna di “annessioni”, fra successi, rovesci e resistenze non superate, collaborazioni offerte e collaborazioni “impossibili da rifiutare”, il presidente Giampiero Beltotto è tornato a parlare del “core business” e non di “visione veneta” applicata a una cultura molto presunta e soprattutto qualitativamente assai smunta. Dal suo cilindro, al netto dei ringraziamenti d’obbligo per il ruolo avuto dal Consiglio di amministrazione, è uscita – dichiaratamente in totale autonomia – una pattuglia di specialisti di tutto rispetto: direzione artistica (per tre anni) a Giorgio Ferrara, 74 anni, che torna in pista pochi mesi dopo aver chiuso la sua esperienza lunga 13 anni al Festival di Spoleto. Incarico di “regista residente” a Irina Brook, figlia d’arte ai massimi livelli (suo padre è Peter Brook, uno dei sommi del teatro contemporaneo), attiva in ambito multidisciplinare, fra prosa, musica e danza, ma soprattutto particolarmente attiva nel lavoro sui giovani e con loro (chiaro il legame con l’attività dell’Accademia gestita dallo Stabile). Ruolo di responsabile delle produzioni a Bepi Morassi, che tale incarico rivestiva fino a pochi mesi fa alla Fenice. L’interfaccia amministrativa di questo trio, nel suo ruolo di manovratrice dei cordoni della borsa, sarà la nuovissima “executive manager” Claudia Marcolin, al Goldoni alla sua prima uscita pubblica.

Ferrara è uomo di teatro senza preclusioni di genere, di indubbio spessore e soprattutto di vastissime e feconde relazioni italiane e internazionali. Ossigeno per l’asfittico Stabile del Veneto, che ha bisogno di ritrovare ruolo e importanza. E che lo può fare solo a partire dalla qualità. Del resto, è chiaro che l’obiettivo su cui si misurerà la sua riuscita (e sul quale Beltotto lo attenderà al varco) è il ritorno fra i Teatri Nazionali – nelle un po’ astruse classificazioni del Mibac – dal cui novero è stato rimosso poco meno di tre anni fa. Un trauma che non è mai stato davvero superato e che ovviamente può esserlo solo in un modo, tornando alla “classifica” che c’era prima.

Per raggiungere questo obiettivo, Giorgio Ferrara si può considerare un cavallo sicuro. Lui ha già detto che intende “riaccendere il dialogo fra passato e presente”, che punterà su un livello internazionale delle produzioni, capace di garantire insieme il ritorno d’immagine e quello economico. I suoi risultati a Spoleto, dov’era arrivato nel momento più basso nella storia del festival, dopo l’ultimo complicato periodo del fondatore Giancarlo Menotti e la sua scomparsa, avvenuta nel 2007, vengono considerati brillanti. Un Teatro Stabile però non è un festival, la programmazione deve distendersi lungo undici mesi, non in tre settimane: su questa diversità – visto che non è in discussione la creatività – si misurerà la capacità di adattamento di Ferrara, il quale non ha nascosto fra l’altro di voler puntare molto anche sull’opera, visto che fra i teatri di cui si dovrà occupare c’è anche il Comunale di Treviso, che è votato appunto al melodramma. Si sentirà musica nuova, se manterrà la promessa di lasciar perdere Traviate e Rigoletti. Beltotto si è affrettato a precisare che si cercheranno anche pubblici nuovi. Certo, la non nascosta vocazione anche musicale del nuovo direttore artistico e il fatto che debba gestire anche un “teatro di tradizione” come quello trevigiano (pur con le complicazioni burocratiche che obbligano a complesse triangolazioni burocratiche, perché uno Stabile non può essere sovvenzionato per fare musica) possono far pensare – o sperare – che anche da questo punto di vista si apra una stagione nuova. O meglio, si torni a un “antico” che vedeva Treviso in un ruolo molto importante nell’opera, da anni praticamente svanito e non certo ravvivato dalle ultime iniziative targate Stabile.

Quanto al resto, Ferrara ha i suoi punti di riferimento artistici e si è già capito che non ci rinuncerà. Parliamo fra gli altri di Bob Wilson, di Emma Dante, della compositrice Silvia Colasanti. Facile anticipare che presto o tardi li vedremo tutti da queste parti. Loro si sono premurati di far pervenire video-congratulazioni che sono state trasmesse durante la conferenza stampa. Certo, se non si candidavano subito a continuare la già sperimentata collaborazione, il tutto sarebbe risultato più elegante, ma tant’è. Il punto semmai sarà capire come Ferrara riuscirà ad affiancare alle grandi produzioni di immagine e di qualità, difficilmente “distribuibili” fuori dalle sale principali dello Stabile, il lavoro di cui pure il teatro pubblico del veneto ha un gran bisogno: una progettazione diffusa sul territorio con una qualità radicalmente più significativa di quella attuale.

Da ultimo, ma non per importanza, una questione di primo livello saranno le compatibilità economiche, indissolubilmente legate alle problematiche dell’emergenza sanitaria. Grandi idee e grandi produzioni richiedono grandi risorse. L’estate scorsa Beltotto si è premurato di allargare il gruppo dei soci (sono entrate varie Camere di commercio) evidentemente proprio per questo. Fra un anno, virus permettendo, si comincerà a capire se Giorgio Ferrara e Irina Brook avranno avuto la possibilità di realizzare in pieno, senza compromessi determinati dai conti, quello che avevano pensato per il Teatro Stabile del Veneto.

Cesare Galla

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