Leone Magiera, tra Karajan, Freni, Del Monaco

È soddisfatto Leone Magiera. Lo raggiungiamo telefonicamente nella sua abitazione di Bologna, impegnato a stare in casa come si spera tutti, in questi giorni di pandemia. Certo, ha dovuto rinunciare a presentare nelle librerie o in altre sedi il suo Karajan, ritratto inedito di un mito della musica uscito da pochissimo presso La nave di Teseo e coronato da recensioni unanimi (QUI la recensione de Le Salon Musical) ci mettiamo nel gruppo, nel consigliarne la lettura.

«C’è stata qualche polemica che è rimbalzata in rete – tiene a precisare Magiera – ma da Giancarlo Del Monaco me lo aspettavo» aggiunge il Maestro che sulla sua pagina Facebook ha affermato, e lo fa ora a viva voce che «l’episodio, raccontato nel libro a proposito delle recite di Carmen con Mario Del Monaco e la Simionato – in questa sede non lo divulghiamo – si è svolto esattamente come l’ho descritto nel libro, né più né meno.».

E ancora: «Karajan apprezzava Mario Del Monaco, lo considerava un grande artista, un grande cantante. Poi l’Otello lo fece fare a Vickers e non a lui, ma erano passati gli anni migliori di Mario. Certo è che quando gli riferirono l’episodio della sua disavventura alla Scala mi disse testualmente, “perché alla Scala fanno queste cose a Del Monaco? “. Poi è andata a finire che le stesse cose alla Scala le hanno fatte pure a lui, e ha capito da solo perché le facevano…».

Insomma, croci e delizie del loggione più temuto al mondo, pare di capire: quello della Scala. L’occasione del dissidio con il teatro milanese per Karajan avvenne in occasione della famosa Traviata del 1965, la prima alla Scala dopo la Callas, Visconti, Giulini, la cui eredità ricadde su Mirella Freni, all’epoca moglie di Magiera, Franco Zeffirelli, e Karajan, per l’appunto. Gli stessi che solo due anni prima la Scala aveva incoronato per La Bohème.

Detto questo, l’omaggio, meglio il ritratto inedito che Leone Magiera rende a uno dei più grandi direttori d’orchestra di tutti i tempi, sta ottenendo solo riscontri positivi fra addetti ai lavori e non e buone vendite, di conseguenza. È un libro di scorrevole ma non scontata lettura che del Maestro salisburghese, di cui Magiera fu stretto collaboratore, offre una visione sorprendente.

Come le è venuta l’idea di scriverlo, Leone? «L’ho scritto vent’anni fa e l’ho fatto per me, perché volevo ricordare questa collaborazione straordinaria. A un certo punto mi viene a trovare un amico giornalista di Bologna, Alberto Spano, che è molto bravo. Tiro fuori il libro dal cassetto, dove lo conservavo e glielo faccio vedere. Ci dà un’occhiata e mi dice subito, fai male a tenerlo qui in un cassetto della tua scrivania.».

E poi? «Poi gliel’ho fatto leggere, gli è piaciuto, ne ha parlato con Elisabetta Sgarbi con cui è in buoni rapporti, la Sgarbi l’ha preso, l’ha letto e l’ha pubblicato. Tutto qui.».

Soddisfatto del libro? «Alcune cose, cronologicamente possono essere inesatte, ma si tratta di piccoli errori, di minime differenze di date. I fatti che racconto sono veri. Mi sento un po’ come l’Amico Fritz, sorpreso. E dico con lui, d’esser sì grande io non pensavo…».

E adesso? C’è qualche altro ritratto fuori schema di qualche altro mito della grande musica da tirare fuori dal cassetto? «Adesso vedremo. Ho scritto di Pavarotti per Ricordi, ma a loro questi libri di memorie non piacciono. Fra i tanti allievi divenuti celebri che ho avuto oltre a Luciano, ci sono Mirella Freni, che ha scritto per me la prefazione del libro. Purtroppo, appare postuma. E poi c’è Ruggero Raimondi. Sono tre grandi artisti su cui tornerei volentieri a concentrarmi.».

La formula sarebbe quella vincente di Karajan? Puntuale analisi in profondità di un mito della musica e qualche alleggerimento qui o là? «Con Karajan ci incontravamo la sera, lui si rilassava, beveva qualche bicchiere di più, e si parlava un po’ più del dovuto. Ma si parlava sempre di musica.».

A proposito di voci, è vero quello che dicono in molti, che oggi non ce ne sono più di importanti come quelle di Pavarotti, Freni e Raimondi? «Voci come quelle di Pavarotti, della Freni o di Raimondi nascono ogni tanto, e per pura casualità. Non sono frutto di studio. Parlo di voce, non di vocalità beninteso. Con Mirella ne parlavamo spesso, e finivamo sempre col dirci che le voci importanti sono come i diamanti, non hanno regole e se bene amministrate possono durare a lungo. Dopo Mirella una perla è stata la voce della Ricciarelli. Poi è venuta la Gasdia che a vent’anni cantava Anna Bolena alla Scala. Sono casi fortunati che si manifestano quando c’è una vocalità importante. Di voci belle se ne sentono a centinaia, ma se non sono indirizzate verso la giusta vocalità, non succede niente. Le belle voci si perdono quando non hanno la testa o la voglia di sacrificarsi per fare bene il loro lavoro.».

I giovani, però, si lamentano che non hanno spazi… «Il problema c’è sempre stato. Dopo il debutto, la Freni è stata ferma per tre-quattro anni. Faceva audizioni e non succedeva niente. L’importante è non demoralizzarsi e continuare a studiare. È quello che ho consigliato a tanti cantanti più giovani che sono venuti da me per un consiglio; penso a Carmela Remigio, a Fabio Sartori, a Mariangela Sicilia, alla stessa Daniela Barcellona che, all’inizio, ho seguito un pochino, poi l’ha seguita sempre suo marito. Ci vogliono costanza e soldi per iniziare, perché andare in giro a fare audizioni è molto costoso.”».

Come fece Mirella Freni a uscire da quell’impasse? «Fu, anche quello un caso. Incontrò un’agente milanese, la signora Finzi, che l’apprezzò e la seppe incanalare bene. La propose ad Amsterdam e da lì è cominciato tutto. Fu un incontro casuale, ma anche cercato.».

Come dice l’adagio? Ognuno è l’artefice del proprio destino.

Rino Alessi

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