Milano: Madina, vittime e carnefici nel loop dell’ossessione

Si fa fatica a parlare di Madina subito dopo averla vista. È un’opera intrisa di attualità – tristemente veggente, se pensiamo al suo debutto mondiale alla Scala nel 2021, da cui questa ripresa si discosta principalmente per aver dato un’identità geopolitica alle fazioni in guerra – e ti lavora dentro per giorni, va meditata, ruminata, digerita (ma senza risoluzione, almeno per la sottoscritta).

Innanzitutto cos’è Madina? Il compositore Fabio Vacchi la definisce “teatro-danza in tre quadri”, riferendosi al senso letterale del termine. Ma non solo. È anche canto, musica, video, architettura, che subito richiama il concetto di Gesamtkunstwerk di wagneriana memoria. Ma non pensiamo all’accumulo delle arti, né alla loro sintesi, quanto a una compenetrazione funzionale a dare corpi diversi a un messaggio complessivo. Un messaggio che può trasmettersi solo attraverso le diverse espressioni dell’Arte per essere universale e particolare, sempiterno e contingente allo stesso tempo. Anche per questo il compositore ha richiesto la sua esecuzione senza intervallo, per coinvolgere pienamente lo spettatore in un discorso scenico e musicale senza soluzione di continuità. Un senso e una circolarità da cogliere dall’inizio alla fine, quasi con il fiato sospeso. Ma alla fine non si torna a respirare.

Madina è un romanzo del 2008, anche, La ragazza che non voleva morire di Emmanuelle de Villepin, che firma poi il libretto dell’opera: la resa drammaturgica non propone la linearità di un racconto, bensì pare di entrare e uscire in continuazione dalla testa dei personaggi, ciascuno dei quali restituisce la sua parziale visione della storia, in base al proprio vissuto e al proprio sentire. Solo alla fine si possono mettere insieme le tessere del puzzle. Per un’ora e mezza si è, quindi, travolti da continui salti spaziali e temporali; ora siamo in Cecenia, ora a Parigi, ora a Mosca; ora sulle montagne, ora in redazione, ora in carcere, fino a un non ben definito spazio-tempo, che forse altro non è che il frutto dell’inconscio, della paura dei personaggi o dell’immaginazione allucinata di chi ha visto troppo orrore.

Nel libro la vicenda inizia con un mancato attentato che ci aiuta a ricostruire la storia. Con la scelta di Madina, ventenne cecena resa orfana a causa del bombardamento di Grozny da parte dei russi, i quali le useranno violenza e uccideranno la sua amica Zarema, di liberarsi all’ultimo della cintura imbottita di esplosivo in un caffè di Mosca. Lei, la ragazza trasformata in terrorista suicida da droghe e fanatico indottrinamento dallo zio Kamzan, capo dei ribelli wahabiti, tuttavia causerà indirettamente la morte di un artificiere russo e verrà per questo incarcerata e mandata a processo. Il nonno Sultan tenta di proteggerla invano, così come vuole tenere al sicuro il giovane fratello di Madina, Shamil, con cui scapperà a Parigi dove pubblicherà i suoi diari. Allo stesso modo la zia russa Olga, sorella della madre, tenterà di salvare la ragazza dalla condanna, grazie all’aiuto del giornalista parigino Louis de Monfalcon, che aveva appreso della vicenda dal corrispondente Antoine, inizialmente senza troppo interesse. Ma i due, alla fine, potranno salvare solo loro stessi grazie all’amore, mentre per Madina non resterà altro che l’inferno del carcere.

Nonostante il coronamento amoroso e l’uccisione di Kamzan, non c’è nessun happy ending, né per la protagonista né per il concetto di giustizia; le fiamme che all’inizio vediamo invadere la scena bruceranno ora e sempre. Perché qui buoni e cattivi, vittime e carnefici continuano a scambiarsi – anche inconsapevolmente – di posto. Kamzan stesso è un ossimorico “Usignolo il brigante” e Madina è l’ennesima vittima del patriarcato e della guerra. L’opera lo dichiara subito: inizia sulle montagne dove un guerrigliero si interroga sulla paura e sulla morte, fino alla risoluzione che i sentimenti debbano restare soffocati nelle viscere. Non si deve sentire niente, provare niente. E anche alla fine Sultan affermerà che “resta solo cenere, ma non siamo morti”.

Senza emozioni non c’è catarsi, non c’è salvezza alcuna dell’umanità. E ce lo dice prima di tutto la partitura, restituita dall’Orchestra scaligera ben diretta da Michele Gamba: per lo più graffiante, violenta, potente, a tratti stridente, diviene capace di regalare anche momenti di trasfigurazione quasi lirica e intimista, senza essere mai descrittiva o didascalica. Il ritorno ossessivo dei temi non ci fa attendere questo o quel personaggio, ma il discorso musicale ci introduce via via in mood emotivi, ricordando quasi la colonna sonora di un film. Questo ci permette di assistere alle diverse scene con la giusta disposizione d’animo, senza però relegare alla musica un ruolo di accompagnamento al discorso coreografico, ma ne è assolutamente complementare, a volte anticipandolo, diventando spesso protagonista, come negli interludi orchestrali, così come si alternano sulla ribalta gli assoli, i passi a due e i momenti corali del corpo di ballo, per poi lasciare spazio alle parti affidate al soprano (qui con la bella voce del mezzo Anna-Doris Capitelli, che con abilità interpretativa dà voce al personaggio di Olga e poi di Madina) e al tenore (un bravo Paolo Antognetti, anch’egli convincente “epico” Sultan, quanto “umano, troppo umano” Louis), al coro (splendido nelle sue dolorose poetiche evocazioni), oppure ai melologhi e monologhi attoriali spesso tranchant (qui affidati all’ottimo Francesco Aricò). Il coro, in proposito, in Madina riacquista la funzione tipica del teatro greco, dove è voce della coscienza collettiva, esprime una posizione comune, evoca indignazione, è tribunale del popolo; il coro siamo noi, spettatori, vittime, carnefici e giudici delle atrocità di quel teatro umano di cui facciamo parte.

La coreografia di Mauro Bigonzetti è ruvida, spezzata, isterica, ripetitiva; si fa anche viscida, tale che ti si appiccica addosso uscendo dal danzatore e incollandosi allo spettatore, alle mani, agli occhi, al viso, alla bocca. Toglie il respiro e diviene gesto ossessivo. Antonella Albano si fa Madina in scena, la vive, le permette di consumarla realmente fino alla chiusura del sipario, così come Roberto Bolle restituisce con convinzione la statuaria crudeltà di Kamzan (il suo primo personaggio cattivo), cui si contrappone il Sultan di Gabriele Corrado, eroe tragico, ultimo baluardo di umanità. La Olga di Alessandra Vassallo e il Louis di Gioacchino Starace interpretano di fatto l’amore che muove la vicenda e la speranza alimentata fino all’ultimo, mentre il Corpo di ballo è impegnato a mutare forma, rispecchiando nel movimento il ruolo del Coro e prestando man mano il corpo a quella scrittura musicale “fisica” di cui sopra, restituendo una novella sagra della primavera straziatamene attuale. Completa la lettura dei diversi quadri l’impianto scenico firmato da Carlo Cerri, che cura anche il design video con Alessandro Grisendi e Marco Noviello, insieme ai costumi firmati da Maurizio Millenotti con la collaborazione di Irene Monti.

Dall’orrore di Madina nasce una consapevolezza dolorosa, come un fascio di luce che esce da un guscio, talmente intenso da ferire gli occhi: è la luce della scelta, di una ribellione a un sistema invitto, di chi ha scelto di farsi arma non di offesa ma di resistenza. Madina non è un titolo facile per il cartellone del Teatro alla Scala, è scomodo e necessario oggi. E il pubblico questo l’ha colto con grande attenzione, tributando alla Prima del 28 febbraio un applauso prolungato e convinto (Madina è ancora in scena fino al 9 marzo). Ma allora, l’arte ci salverà?

Tania Cefis
(28 febbraio 2024)

La locandina

Direttore Michele Gamba
Coreografia Mauro Bigonzetti
Musica Fabio Vacchi
Luci e scene Carlo Cerri
Costumi Maurizio Millenotti
Costumista collaboratore Irene Monti
Video designer Carlo Cerri
Video designer Alessandro Grisendi
Video designer Marco Noviello
Tenore Paolo Antognetti
Mezzosoprano Anna-Doris Capitelli
Attore Francesco Aricò
Personaggi e interpreti:
Kamzan Roberto Bolle
Madina Antonella Albano
Olga Alessandra Vassallo
Louis Gioacchino Starace
Sultan Gabriele Corrado
Corpo di ballo, orchestra e coro del Teatro Alla Scala

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