Pesaro: Ory tra Helzapoppin’ e Bosch

Torna a Pesaro il regista (e scenografo, e costumista) Hugo De Ana, che era stato nella città natale di Rossini solo un’altra volta, qualcosa come trent’anni fa, con la drammatica e monumentale Semiramide. Torna e sembra divertirsi a sconcertare i rossiniani seriosi anche quando si parla del comico, gli appassionati che sono anche disposti a sopportare le “originalità” del regietheater applicato al pesarese – in verità ineludibile strada maestra per gli anni che verranno – ma non le esagerazioni che sembrano fini a sé stesse.

Il suo Comte Ory, in effetti, non si può definire in altro modo che esagerato: una rutilante rivista rispetto alla quale viene spontaneo il paragone con quel bizzarro esemplare del cinema hollywoodiano Anni Quaranta – sezione “fuori di testa” – che s’intitola Hellzapoppin’, a sua volta versione di un musical di grande successo a Broadway. In questo spettacolo – in scena alla Vitrifrigo Arena per il ROF 2022 ancora martedì 16 e venerdì 19 agosto – De Ana lascia la briglia scioltissima alla fantasia e procede a tavoletta nel grottesco, nel caricaturale, nel vero e proprio non-sense, con accelerazioni improvvise e brucianti. E valga per tutti il finale ultimo, nel quale le truppe del duca la cui moglie è stata oggetto delle mire erotiche più o meno concretizzate sia del protagonista in titolo che del suo paggio Isolier, al loro trionfale ingresso ostentano elmi che sono in realtà imbuti, e scudi che sono copri-cerchioni per le ruote delle automobili. E tanto per non lasciare nulla di intentato, nel bailamme generale entrano trionfalmente in scena anche alcuni… dinosauri. Di quelli di plastica che piacciono ai bambini.

Il bestiario disegnato dalla scenografia e dai mimi è in effetti elemento fondamentale dello spettacolo di De Ana, il quale peraltro parte da uno spunto colto: il dipinto di Hieronymus Bosch (primissimi anni del ‘500) intitolato Il giardino delle delizie, e in particolare il pannello sinistro del trittico conservato al Prado, quello in cui sono rappresentati anche Adamo ed Eva, nudi e appena creati. Ma nel quale soprattutto, sono raffigurati con la tipica fantasia del pittore olandese animali reali e d’invenzione, e si moltiplicano gli oggetti bizzarri, singolari, con particolare attenzione per l’elemento-primigenio rappresentato dall’uovo.

Secondo alcune interpretazioni, il capolavoro del pittore olandese ha una componente satirica. Di sicuro, satirico è l’approccio di Hugo De Ana, che si propone di svelare i meccanismi del comico rossiniano alla sua ultimissima epifania (dopo l’Ory – 1828 – ci sarà solo il Tell e poi il silenzio teatrale), puntando su una rappresentatività straniante e di immediata quanto stralunata forza comunicativa. Il punto del regista argentino è indicare senza alcuna possibilità di dubbio quanto ci sia di “campato in aria” nel meccanismo teatrale. Svelando molto chiaramente il valore assoluto della partitura, con la sua natura musicalmente duplice e drammaturgicamente divagante, determinata dall’ampio utilizzo di passi anche assai famosi del dramma giocoso Il viaggio a Reims, composto tre anni prima.

Già all’epoca, l’operazione realizzata da Rossini insieme ai librettisti a Scribe e Delestre-Poirson era peculiare: una Ballata licenziosa medievale diventava da un lato l’occasione di delineare la figura di un “latin lover” disposto a qualsiasi bassezza (e specialmente a grotteschi travestimenti) per ottenere i favori della vittima designata. Vittima tanto più attraente in quanto, sia eticamente che sentimentalmente, assolutamente “vietata”. E dall’altro consentiva di delineare un ambiguo e ammiccante gioco delle coppie insaporito con il pepe del proibito e – nel celebre terzetto “al buio” prima del Finale ultimo – perfino del teorico scambio delle coppie.

L’ultima edizione del Comte Ory al Rossini Opera Festival, firmata da Lluis Pasqual (2003 e 2009), raccontava questa improbabile vicenda secondo le cadenze sceniche di un gioco di ruolo per annoiati ricconi in un grande albergo. Era una lettura a suo modo post-moderna, mentre questa è a pieno diritto definibile post post-moderna. Il gioco è scoperto, onestamente dichiarato fin dall’inizio: non si può raccontare in termini di drammaturgia “normale” un’opera così anomala. Meglio farlo con un immaginario dalle radici antiche e dagli spiazzanti effetti di astratta attualità, riempiendo la scena di “oggetti ricostruiti” a partire da Bosch per arrivare fino alle carriole (ricolme di uova di Pasqua) e ai carrelli da supermercato. Vestendo tutti con abiti dai colori sgargianti e dalle fogge bizzarre. E affidando agli interpreti in scena il compito di andare programmaticamente sopra le righe, con ciò mettendosi alla berlina in un gioco di ironia tagliente, pienamente d’autore. Se si aggiunge che il ritmo della rappresentazione asseconda quello della partitura rossiniana, si avrà il quadro di uno spettacolo che rende pienamente giustizia alla qualità sofisticata e a suo modo stralunata del Comte Ory.

L’operazione riesce al meglio perché tutti, dai protagonisti principali ai coristi, ai figuranti e ai mimi, partecipano con efficacia esemplare al “grande gioco”. Ciascuno si diverte nel non prendersi sul serio, tutti costruiscono uno spettacolo (le luci sono di Valerio Alfieri) che aggancia il pubblico – come provano le frequenti risate – e lo mette a tu per tu con la musica di Rossini.

La quale viene onorata come si conviene al festival pesarese. La direzione di Diego Matheuz, alla testa dell’ottima Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, appare qua e là bisognosa di qualche sfumatura in più, di qualche maggiore sottigliezza di fraseggio, ma è solida e assai ben “centrata”, ricca dal punto di vista timbrico, soprattutto ben stagliata dal punto di vista ritmico. E la compagnia di canto non riserva sorprese: intorno al divo-direttore artistico, il tenore Juan Diego Flórez, si muove una compagine di cantanti che sanno tenere in equilibrio le necessità belcantistiche con quelle dell’espressività, della persuasiva tinta vocale, della limpidezza nella linea di canto. Se Flórez è magistrale nella sua adesione al progetto di De Ana, disegnando un Ory stranito e ironico almeno quanto è auto-ironico, e indossando le asperità tecniche della parte con una naturalezza e una efficacia indifferenti al tempo che passa, il soprano Julia Fuchs (debuttante al ROF) scolpisce l’ardua agilità della parte della Comtesse con una rotondità di accenti e una pienezza di colore di pura classe rossiniana. Per parte sua, Maria Kataeva (anch’essa al debutto) regala alla parte “en travesti” del paggio Isolier l’ironia e l’ambiguità necessarie. Intorno a loro, figura ottimamente anche il baritono Andrzej Filonczyk (terzo debutante del cast), che nei panni di Raimbaud cesella con pieno controllo e buon colore (oltre che duttile cantabilità) la grande Aria “Dans ce lieu solitaire” che poi è pari pari la celebre “Medaglie incomparabili” di Don Profondo nel Viaggio a Reims. Fanno il necessario tutti gli altri: Nahuel di Pierro, basso misurato ed espressivo, nella parte del Gouverneur; Monica Bacelli in quella caricaturale e ammiccante di Ragonde; Anna-Doris Capitelli come Alice. Sugli scudi musicalmente e scenicamente occupatissimo il coro del teatro Ventidio Basso, istruito da Giovanni Farina.

Alla seconda rappresentazione, quella cui abbiamo assistito, solo divertimento per lo spettacolo e apprezzamento per i cantanti da parte del pubblico.

Cesare Galla
(12 agosto 2022)

La locandina

Direttore Diego Matheuz
Regia, Scene e Costumi Hugo De Ana
Personaggi e interpreti:
Le Comte Ory Juan Diego Flórez
Raimbaud Andrzej Filonczyk
Le Gouverneur Nahuel Di Pierro
La Comtesse Adèle Julie Fuchs
Dame Ragonde Monica Bacelli
Isolier Maria Kataeva
Alice Anna-Doris Capitelli
Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI
Coro del Teatro Ventidio Basso
Maestro del coro Giovanni Farina

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