Sugli scudi l’intera compagnia di canto, con in testa Filippo Mineccia che disegna un Cain tormentato e fragile attraverso un canto fatto di mille sfumature e infiniti colori. Per lui un trionfo, meritatissimo, di pubblico.
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Pare proprio che alla Scala il barocco – e Händel in particolare – stia diventando finalmente di casa; dopo il Trionfo del Tempo e del Disinganno e il Tamerlano, cui si deve aggiungere la Semele itinerante, è la volta del Giulio Cesare in Egitto in un allestimento di quelli che appena usciti da teatro si avrebbe voglia di rivedere e riascoltare.
Esiste lo spettacolo perfetto? Qualcuno potrebbe dire di no, ma nel caso dell’haendeliana Alcina in scena al Festival di Salisburgo possiamo affermare serenamente che qui la perfezione, unita all’emozione, è praticamente raggiunta.
Orfeo è l’artista per eccellenza, che dell’arte incarna i valori eterni. I temi chiamati in causa dal suo mito – l’amore, l’arte, l’elemento misterico – sono il motivo di una fortuna senza pari nella tradizione letteraria, filosofica, musicale, culturale e scultorea che l’hanno rappresentato.
Chi afferma che un controtenore ha carriera breve è smentito dal percorso artistico e musicale che Philippe Jaroussky, l’Orfeo della nuovissima incisione Erato del capolavoro di Gluck in uscita in questi giorni, sta compiendo.
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