Torino: una Bohème fredda

Torna la più torinese delle composizioni pucciniane per dare l’avvio all’omaggio del Teatro Regio di Torino a Giacomo Puccini, in occasione del Centenario della morte del compositore lucchese, tra i più grandi e noti compositori del melodramma italiano.

La bohème è opera che il pubblico torinese (e non solo) conosce assai bene per la frequenza con la quale viene riproposta (presente anche nella stagione 2022) e che sa richiamare l’interesse e l’attenzione della più folta varietà: tutti e tutte ritrovano all’interno dell’opera sentimenti quali l’amore autentico, la spensieratezza ed il fremito dei giovani bohémien, ma anche il dolore e la sofferenza dell’essere impotenti innanzi alla morte e al distacco dalla persona amata. La trama è ben nota anche a coloro che non sono molti avvezzi al mondo operistico, con un libretto che, ambientato nella Parigi del 1800, narra la storia d’amore della dolce Mimì e del poeta e scrittore Rodolfo, i quali, insieme ai loro amici artisti, affrontano le difficoltà di una vita povera con spirito di avventura, di sentimenti e di intenti, finendo oppressi dal dolore e della sofferenza della morte.

Viene ripreso dagli archivi del Teatro lo storico allestimento del centenario del 1996, ideato allora da Giuseppe Patroni Griffi e ripreso da Vittorio Borrelli, che fa il suo in uno spettacolo che ha più il senso di descrivere, raccontare, far vedere quella che è La bohème pucciniana nelle sue didascalie e descrizioni del libretto: non si va però oltre, in uno spettacolo statico dove gli interpreti, chi più e chi meno, cercando di mettere del loro. Vediamo così il susseguirsi delle scene, partendo da quella soffitta così fredda dove gli amici convivono e sopravvivono, dovendosi ingegnare tra un riscaldamento provvisorio e un affitto da pagare rimandato per l’ennesimo trimestre: e poi il fortuito incontro, dove l’amore riscalda i cuori e le emozioni dei giovani innamorati. Così come è grande ed affollata la scena del quartiere Latino, con tutti al Caffè Momus, così è tutto candido e gelido nell’innevata scena fuori dalla locanda (che vede anche un applauso a scena aperta per quella neve sempre più rara e desiderata in questo angolo del Nord Italia), per poi tornare in quella fredda e mortale soffitta. Le scene ed i costumi sono di Aldo Terlizzi Patroni Griffi e le luci di Andrea Anfossi.

Ma se il freddo lo troviamo nel terzo quadro in scena, una certa algidezza si ritrova anche nella direzione in buca di Andrea Battistoni, conoscitore nel grande repertorio italiano, ma che qui troviamo dirigere in maniera abbastanza ferrea e monocolore, seguendo la sua strada dettata dallo spartito ma senza mai troppo slancio, mai troppo fremito, mai troppa passione: non è forse questo che viene richiesto nel dramma pucciniano? Dettagli non da poco, a cui sopperisce in parte il suono comunque sempre pulito e prezioso dell’Orchestra del Teatro Regio, che ben conosce la parte vista l’assiduità con cui viene proposta l’opera, che risponde seppur con un po’ di pesantezza alla direzione di Battistoni. Preciso e puntuale l’intervento del Coro diretto da Ulisse Trabacchin, mentre risuona brillante e a fuoco il Coro di voci bianche preparato da Claudio Fenoglio.

Erika Grimaldi torna al Regio dopo la prova della sua Aida ad inizio anno in un ruolo “suo”, avendo cantato svariate volte la parte di Mimì, proprio anche a Torino. L’avvio per lei non è completamente a fuoco: sarà l’essere l’ultima recita, sarà la direzione non sempre in sintonia col palco, ma il soprano astigiano parte timidamente, sia nell’azione scenica che nell’esecuzione vocale, con un Sì, mi chiamano Mimì cantato senza però dargli calore ed intenzione come si converrebbe ad una giovane innamorata. La situazione migliora nel terzo quadro, dove il Donde lieta uscì permette all’artista di esprimere la pienezza e la liricità della voce, nel pieno della maturità, per avviarsi poi al finale struggente del quarto quadro, dove emergono più la capacità e drammaticità dell’artista: una sensazione di sottotono generale contrastata, almeno in parte, da un tentativo di dar senso a parola e scena, con una ricerca del fraseggio e dell’espressione che in altri artisti non si è riscontrata. Chi risulta altrettanto sottotono è il poeta e di lei innamorato Rodolfo, interpretato dal tenore armeno Liparit Avetisyan, dalla voce lirica un po’ leggera ma di piacevole intenzione, che prova senza riuscirci ad immedesimarsi nei panni dell’innamorato bohémien: a scapito dell’interpretazione e del fraseggio, l’artista risulta più attento all’emissione e a non perdere il contatto visivo con il direttore.

La voce risulta di buon colore nel registro medio acuto, ma quando è richiesta la salita in acuto, il suono non gira completamente andando indietro: risultano così forzosi alcuni passaggi, sia nei momenti solistici che in quelli d’insieme. Nel complesso, risultano migliori il terzo e quarto quadro, rispetto ad un inizio affannato. Federica Guida, chiamata a vestire i panni della civettuola Musetta, si fa apprezzare più per l’interpretazione scenica che non per l’esecuzione vocale: se da un lato l’ardore giovanile e la seducente spavalderia non le mancano, per dare senso compiuto al suo fare attraente e sensuale, soprattutto nei confronti dell’amato/odiato Marcello, mancano in parte il senso della misura e del fraseggio nel linguaggio musicale, così da diventare tutto monocolore, laddove la voce sarebbe anche di interessante pregio. Migliora la situazione con le voci gravi, di cui rendiamo conto andando per ordine.

Il citato Marcello è interpretato da Andrey Zhilikhovsky, che mostra voce intensa e brunita, omogenea nell’intera corda baritonale, scenicamente credibile ed apprezzabile in tutti i momenti d’insieme che lo vedono coinvolto. L’altro baritono in scena è il musicista Schaunard di Manel Esteve, di buona voce e godibile interpretazione, mentre il basso Colline si vede interpretato da Riccardo Fassi, che non solo è complice interprete con gli altri bohémien, ma sa regalare una vissuta e toccante Vecchia zimarra, con quel suono tondo, caldo e profondo di basso che lo contraddistingue.

A completamento del cast troviamo Nicolò Ceriani negli apprezzati e godibili panni di Benoît e Alcindoro, mentre in forza dal Coro del Teatro troviamo gli ottimi Marino Capettini (Parpignol, tenore), Desaret Lika (sergente dei doganieri, basso) e Marco Tognozzi (un doganiere, baritono).

Non sono di certo mancati gli applausi e qualche lacrima, perché si sa, in fondo Bohème è sempre Bohème: certo è che, in una così importante ricorrenza come il centenario pucciniano, per la prima delle numerose opere in cartellone al Regio, si sarebbe potuto e dovuto osare di più. Torino se lo merita, soprattutto dopo la grandiosa inaugurazione avuta in settembre.

Leonardo Crosetti
(29 ottobre 2023)

La locandina

Direttore Andrea Battistoni
Regia Giuseppe Patroni Griffi
ripresa da Vittorio Borrelli
Scene e costumi Aldo Terlizzi Patroni Griffi
Luci Andrea Anfossi
Personaggi e interpreti:
Mimì Erika Grimaldi
Rodolfo Liparit Avetisyan
Musetta Federica Guida
Marcello Andrey Zhilikhovsky
Schaunard Manel Esteve
Colline Riccardo Fassi
Benoît/Alcindoro Nicolò Ceriani
Parpignol Marino Capettini
Sergente dei doganieri Desaret Lika
Un doganiere Marco Tognozzi
Orchestra e Coro Teatro Regio Torino
Coro di voci bianche Teatro Regio Torino
Maestro del coro Ulisse Trabacchin
Maestro del coro di voci bianche Claudio Fenoglio

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