Vicenza: Buchbinder e Diabelli, variazioni sul tema

Le sale piene a metà non sono tutte uguali. Se guardiamo il freschissimo rapporto annuale della Siae, relativo all’anno 2021, secondo dell’emergenza Covid, si scopre ad esempio che nell’ultimo anno prima della pandemia, il 2019, gli spettatori dei concerti di musica classica sono stati in media un po’ meno di 200 per manifestazione. Questo vuol dire che il pubblico che ieri sera occupava una (forse scarsa) metà della platea da 900 posti del teatro Comunale di Vicenza per ascoltare il “Diabelli Project” del pianista Rudolf Buchbinder era comunque assai ampiamente sopra la media nazionale per concerto prima del Covid. E, com’è ovvio, radicalmente sopra la media dell’anno scorso, trascorso fra lockdown, green pass e numeri contingentati, attestata sulle 110 unità. Se dunque il vero problema del settore – oggi – è l’effettivo ritorno del pubblico alle vecchie abitudini (a volte buone, ma non sempre e non in tutti i settori dello spettacolo), sembrerebbe che la vicentina Società del Quartetto sia sulla buona strada, grazie a uno zoccolo duro di appassionati che ne fanno la prima associazione concertistica del Veneto per numero di spettatori.

Poi, dal punto di vista della proposta musicale e della caratura dell’esecutore, è inevitabile osservare che l’occasione avrebbe meritato una sala al completo, ma questo è un altro discorso: la notorietà d’immagine oggi viaggia attraverso canali che non sono quelli più frequentati dalla parte preponderante del pubblico dei concerti di musica colta, che peraltro riflette il generale e ben noto invecchiamento della società italiana. E se si aggiunge che il progetto comportava anche – oltre a uno dei sommi capolavori del cosiddetto tardo stile di Beethoven – l’esecuzione di vari brani contemporanei, verso i quali c’è spesso qualche diffidenza, si ha il quadro di ciò che è stata la serata vicentina, inaugurazione ufficiale della stagione quartettiana: un’occasione sofisticata proposta da un interprete di grande scuola. Dunque, un momento di vera cultura musicale.

Il “Progetto Diabelli” di Rudolf Buchbinder appartiene al genere di idee che appaiono insieme brillanti e naturali, oltre che straordinariamente ricche di stimoli. I suoi poli sono naturalmente il valzerino da allegra taverna che l’editore salisburghese trapiantato a Vienna Anton Diabelli scrisse e propose giusto un paio di secoli fa a una schiera di compositori austriaci per realizzare, con le loro Variazioni (una a testa), una sorta di musicale “Antologia patriottica” alla fine composta da cinquanta autori; e lo sbalorditivo ciclo di 33 Variazioni scritte da Beethoven a partire da quel tema: un capolavoro di ineffabile astrattezza e insieme di vivace concretezza, caposaldo del genere variatistico e della letteratura pianistica di ogni tempo, al quale solo le bachiane Goldberg possono in certo modo essere accostate.

Buchbinder si è quindi proposto non solo di affrontare per l’ennesima volta le Variazioni Diabelli di Beethoven, suo storico cavallo di battaglia, ma di affiancare ad esse anche una scelta delle altre Variazioni, firmate da autori a volte notissimi (Schubert, Liszt…) e altre volte quasi sconosciuti. E poi di rinnovare l’idea di Diabelli, commissionando a vari autori contemporanei la loro personale Variazione: il che evidentemente ha posto questi stessi autori non solo e non tanto di fronte al Valzer di partenza, ma con tutta evidenza, specialmente di fronte al monumento musicale costruito da Beethoven.

Ne sono usciti un disco pubblicato dalla Deutsche Grammophone (https://open.spotify.com/album/5lVxEFsFRaWemKm5yKfG7b?si=qo1ixoipT8qVKLBrquDl2Q)  e un programma concertistico che comprende in chiusura le Diabelli beethoveniane e in apertura una scelta degli autori nuovi e antichi che si sono esercitati su quel Valzer. A Vicenza, i primi erano rappresentati da Brett Dean (1961), con Variation for Rudi (che già dal titolo sposta ulteriormente la messa a fuoco musicale), da Toshio Hosokawa (1955), con Verlust, da Tan Dun (1957) con Blue Orchid e da Jörg Widmann (1973) con Diabelli-Variation. Tutti questi autori lavorano su ritmo e intervalli basici del Valzer per una sorta di decostruzione-ricostruzione di notevole fascino. Ma la palma dello “spirito beethoveniano” deve andare a Widmann, il quale nell’elementare motivo e nel tempo ternario del Valzer scopre una brillante anticipazione della popolare Marcia di Radetzky e quindi si concede elaborazioni di stampo jazzistico.

Poi c’è stato spazio per le Variazioni d’epoca, con le pagine due secoli fa inviate all’editore per la pubblicazione da Friedrich Kalkbrenner, da un Liszt poco più che bambino, da Schubert (uno dei pochi a scegliere il modo minore, con gesto creativo assolutamente tipico della sua poetica, creativo e personale). Unica pagina non presente nell’incisione discografica, la Coda che il celebre didatta e pianista Carl Czerny confezionò per suggellare degnamente l’edizione. E che è brano di notevole, accattivante virtuosismo.

Infine, lo sbalorditivo monumento del tardo stile beethoveniano. Che in questo capolavoro trova accenti di singolare vicinanza – al netto di alcune Variazioni di abissale profondità psicologica – con il clima di superiore e mai superficiale leggerezza che caratterizza ad esempio l’ultimo Quartetto per archi.

Questa è stata la linea esecutiva realizzata in maniera esemplare da Buchbinder con il suo pianismo colto e sofisticato, mai muscolare, sempre volto a proporre un’idea di fraseggio, di stile, di suono per ciascuna Variazione e nella prima parte per ciascun autore affrontato. Nel caso di Beethoven, con il plusvalore che deriva dalla sua appartenenza a una scuola storica, basata su un sorvegliato classicismo e capace tuttavia di una gamma espressiva mobilissima e avvincente. Un pianismo che rifugge dall’effetto fine a sé stesso, non bara sui tempi, non esagera con le dinamiche, ma come pochi è dentro alla musica in cui si immerge. E ne restituisce un’idea corposa, emozionante, pienamente comunicativa. Non sarà uno show, ma è grande musica suonata alla grande.

Pubblico convinto, alla fine, e prodigo di applausi che hanno indotto Buchbinder a un duplice bis: la Parafrasi di Alfred Grünfeld da temi del Pipistrello di Strauss e il trasognato Improvviso op. 90 n. 2 di Schubert. Epifanie del tempo di Valzer che ne dimostrano l’universalità.

Cesare Galla
(21 novembre 2022)

La locandina

Pianoforte Rudolf Buchbinder
Programma:
“The Diabelli Project”

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