Sull’Olimpo di Kavakos: l’Orchestra da Camera di Mantova inaugura Tempo d’Orchestra

Chi mercoledì 21 ottobre si è trovato al Teatro Sociale di Mantova ha avuto modo di assistere ad una serata di altissimo livello, che non avrebbe stonato alla Philharmonie di Berlino o al Concertgebouw di Amsterdam. Leonidas Kavakos alla guida dell’Orchestra da Camera di Mantova ha infatti inaugurato il nuovo anno di Tempo d’Orchestra, la stagione dell’OCM per i quarant’anni di attività, nella doppia veste di solista e direttore, con il Concerto per violino di Mendelssohn e la Sesta Sinfonia di Beethoven.

Quando ci si trova di fronte a Kavakos si sa di star ascoltando uno dei più grandi musicisti di questa epoca. La sua maestria al violino, sia tecnica che musicale, rasenta il limite dell’incredibile e il Concerto di Mendelssohn ne è stata la dimostrazione. Posto che ogni tassello era al suo posto, un’esecuzione come quella di Mantova offre solo la sponda per riflessioni sull’approccio, sulle scelte interpretative del violinista greco. Il Mendelssohn di Kavakos, infatti, è un Mendelssohn saldamente e pienamente romantico: non l’erede di un classicismo rivissuto, ma nemmeno il sognatore di mondi popolati da creature fantastiche, né l’intimo poeta del salotto borghese tedesco. Mendelssohn per Kavakos è un autore maestoso, intenso, sobrio, il suo Concerto per violino è erede più del primo tempo della Scozzese che ti Sogno da una notte di mezza estate. Non riesce però sempre a sfuggire da un’eccessiva omogeneità: tutto il primo tempo, pur nel pieno magistero tecnico, poteva trovare più dettagli di timbro, di attacco, di fraseggio. Il medesimo discorso si applica all’Andante, suonato da Kavakos con suono pieno, cantabilissimo, ma senza mai concedersi una pausa lirica, un sospiro, un improvviso cambio di colore, quei momenti in cui il pudore di Mendelssohn cela con un sorriso (mi si passi la poesia spiccia) la dolce, sublime malinconia così tipica del compositore. Per le medesime ragioni si comprende quanto trionfale possa essere stato il terzo movimento: Kavakos riesce sempre a trarre qualcosa di al limite dell’inverosimile dai terzi tempi. La nuda forza ritmica fa leva sulla sbalorditiva brillantezza tecnica e sull’accesa ma sobria espressività, riuscendo così a unire un virtuosismo totale ad una sensazione di costante pienezza musicale. Non vi è nulla di sprecato, buttato, non pensato nel suono di Kavakos, anche quando la noncurante disinvoltura allo strumento gli fa condurre le scalate più impervie come una modesta passeggiata domenicale. Per saziare la fame di un pubblico giustamente roboante, Kavakos ha offerto la Gavotta dalla Terza Partita di Bach, con le proprie le variazioni, dalla difficoltà impressionante e manco a dirlo buttate lì come se fossero la cosa più semplice del mondo: un’occasione in più per notare come in Kavakos si compia il miracoloso equilibrio tra sprezzante virtuosismo messo sempre al servizio di un’idea musicale, in questo caso di eleganza e leggerezza.

Notevolissimo l’insieme con l’Orchestra da Camera di Mantova, che ha trovato una coerenza sonora con il suo solista-direttore veramente notevole, per quanto non abbia in questo aiutato a creare rilievi in una pasta molto, troppo omogenea, in cui molti lo spirito cameristico, fiera eredita classica ben presente in Mendelssohn, è stato un po’ sacrificato nel dar risalto alla presenza leonina del solista. Ben diverso lo slancio nella Pastorale, in cui Kavakos ha abbandonato lo strumento e, a memoria, ha diretto con salda sicurezza il capolavoro beethoveniano. A questo punto mi si impone di fare una piccola digressione.

Com’è Kavakos, il direttore?

Questa domanda, quando riferita a molti solisti-aspiranti direttori, provoca in genere sempre le stesse reazioni: alzata di spalle, sopracciglia alzate, mani che si allargano coi palmi rivolti in alto e l’inevitabile risposta “Beh, è un grande musicista”. Ecco, Kavakos è un grande musicista. Ma è anche un ottimo direttore. Non che il suo gesto sia spettacolare, anzi. Per quanto piuttosto chiaro e sicuro porta con sé un’impronta fin troppo marcata della gestualità violinistica e soprattutto è appesantito da una costante ripetitività che fa facilmente piombare nella medesima, eccessiva omogeneità che è il rischio di alcuni modi del suo far musica. Della Sesta Sinfonia, Kavakos infatti ha una visione schiettamente arcadica, idealizzata, una campagna da paesaggio di maniera, non quella rustica, ruspante, che odora di vino e la puzza di letame. Il musicista greco non sporca mai il suono, non ricerca l’espansività gagliarda, il caos dionisiaco; vi è dell’entusiasmo, ma rimane sempre nel proprio apollineo ordine. C’è voluta la tempesta, magistralmente eseguita da orchestra e direttore, per portare i musicisti a cercare un diverso attacco dell’arco, un diverso carattere, un maggior fuoco espressivo. Ma dopo la tempesta, la calma ha riportato orchestra e pubblico nel serafico Olimpo di Kavakos. Parlando di orchestra, l’OCM in quest’occasione ha davvero superato se stessa.

La coesione degli archi aveva del prodigioso, dimostrando che anche distanziati e a leggio singolo si può far musica (e tutto ciò considerando la non felice acustica del Sociale!). Meno compatta la sezione dei fiati, come spesso per l’orchestra, ma con delle prime parti di alto livello. Tra questi si sono distinti il primo clarinetto, da standing ovation, e il primo flauto, con una menzione al coraggioso primo corno, uscito vivo dal primo solo della Pastorale e addirittura vittorioso dal secondo. Una menzione anche al timpanista, cui si deve molto dell’energia e della tensione elettrica che scorreva nell’orchestra durante la meravigliosa Tempesta. Scroscianti e interminabili applausi hanno salutato orchestra e direttore, lasciando sperare con tutte le forze che le attività di questa compagine, che è tra le migliori d’Italia e non solo, possano presto riprendere e riprendersi i propri spazi.

Alessandro Tommasi
(21 ottobre 2020)

La locandina

Violino e direzione Leonidas Kavakos
Orchestra da Camera di Mantova
Programma:
Felix Mendelssohn-Bartholdy
Concerto in mi minore per violino e orchestra op. 64
Ludwig van Beethoven
Sinfonia n. 6 in fa maggiore op. 68 “Pastorale”

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