Torino: la prima volta della Sposa dello Zar

Ci si chiede spesso come si sia potuto pensare, in tempi di guerra, di sofferenza e di difficoltà, che rimuovere dai cartelloni teatrali l’esecuzione del grande repertorio russo, avrebbe potuto fermare e indebolire l’orrida guerra che da più di un anno ormai tocca l’Europa e il mondo intero.

Sono bastate le prima battute de La Sposa dello Zar, eseguita in forma di concerto per la sua prima volta a Torino, per ricordarci quanto la bellezza, l’arte e la storicità di un popolo non si possono rimuovere, annullare o fermare in modo raffazzonato o indelicato.

La tragicità, le dinamiche e gli echi delle tradizioni popolari, il potere, gli intrecci amorosi e un pizzico di fantasia sono i pilastri fondanti che reggono il dramma di Nikolaj Rimskij-Korsakov: la Sposa dello Zar è un’opera in quattro atti, composta nell’arco di un anno (il 1898) e andata in scena al teatro Solodovnikov di Mosca nell’ottobre 1899, su libretto di Il’ija Tijumenev e dello stesso Rimskij-Korsakov, traendone l’essenza dal dramma in versi di Lev Aleksandrovič Mej.

La composizione verte sugli eventi del 1571, all’epoca dello zar Ivan IV il Terribile, vedovo in cerca della sua terza moglie: tragica passione, folklore e ragion di stato, vedono intrecciarsi le sorti del boiaro Grigorij Grjaznoj, innamorato di Marfa, promessa però in sposa a Ivan Lykov. Mentre Grigorij chiede al medico dello zar Elisej Bomelij un filtro per far innamorare una ragazza, la conversazione viene sentita da Ljubaša, amante di Grjaznoj. Ljubaša chiede allora al medico Bomelij una pozione velenosa, trovando in lui un consenso condizionato ad un pagamento col suo amore: la ragazza, messa alle strette e senza via d’uscita, accetta. Intanto, alla corte russa, lo zar riunisce duemila ragazze per scegliere, tra esse, la futura moglie: di duemila, ne rimangono solo dodici, tra cui Marfa e Dunjaša. Inizia a serpeggiare dunque il timore che lo zar possa scegliere Marfa, annullando così la possibilità che la stessa possa convolare a nozze con Lykov; durante una festa, Grjaznoj versa a tutti del miele, aggiungendo il filtro nel boccale destinato a Marfa. Intanto, arriva la notizia che lo zar ha scelto di prendere in moglie proprio Marfa. Prima delle nozze, la giovane si ritrova a vivere nel palazzo dello zar, divorata però da un male oscuro: è ad un tratto che compare Grjaznoj, recante la notizia che Lykov, torturato, ha confessato di volere l’avvelenamento di lei, subendo quindi la condanna e venendo giustiziato per ordine dello zar. Marfa, fuori di sé, scambia Grjaznoj per Lykov, iniziando a vaneggiare trasognante: lì Grjaznoj capisce che, desiderando far innamorare Marfa, l’ha avvelenata. Non riuscendo più a reggere la situazione, egli confessa tutto: la calunnia a Lykov e il filtro d’amore a Marfa, rivelatosi un veleno. Ormai disperato, chiede ai boiari di essere catturato, volendo però prima regolare i conti con l’alchimista e medico Bomelij: a quel punto sopraggiunge Ljubaša, rivelando che a scambiare le pozioni non è stato Bomelij, ma lei, dopo aver ascoltato la conversazione tra Grjaznoj e il medico. Marfa ormai è morente e delirante a causa del veleno. In preda all’ira, Grjaznoj uccide Ljubaša e dice addio a Marfa, che nel delirio lo scambia ancora una volta per Lykov.

La versione in forma di concerto consente di apprezzare al meglio la qualità dell’orchestrazione, le tinte folkloristiche e di rimando alla grandezza del suono russo, così romantico e drammatico nello stesso momento, avendo la capacità di attenuarsi in quei frangenti dove l’individuo è solo con se stesso, riuscendo poi ad infiammarsi nelle grandi scene corali e d’insieme, richiamando all’imperialità della vicenda.

Sul podio sale il giovane ma già consolidato direttore d’orchestra russo Valentin Uryupin, che trasmette al pubblico in sala il rapporto intenso e senza filtri che ha con la musica di patria natia, trascinando l’Orchestra del Teatro Regio in un vortice turbinante di drammaticità, facendo riecheggiare i fasti di un repertorio affrontato spesso in passato dall’Orchestra subalpina. Il dispiegamento orchestrale è imponente, con grande risalto di tutte le parti: il suono è ricco, possente, di grande incisività, con un equilibrio ottimale sia coi solisti che col Coro, grazie alla guida sicura della direzione d’orchestra. D’effetto è l’Ouverture di inizio, che già permette all’ascoltatore di ritrovare la nobiltà, la forza, la passione della cultura russa: i temi si susseguono, con alcuni richiami ad altre composizioni, facendo apprezzare i fiati regi lungo lo svilupparsi del dramma, in perfetta e continua simbiosi con gli archi e le percussioni.

Gran prova è anche quella del Coro del Teatro Regio, che si eleva per intenzioni e colori durante tutti gli interventi, sia quelli singoli (maschili e femminili), sia nelle parti d’insieme: nonostante si percepisca la non assidua frequentazione con tale repertorio, sono indubbi il livello artistico e la qualità vocale della compagine corale istruita da Andrea Secchi.

Variegato ma di prevalente estrazione esteuropeo è l’insieme di solisti raccolto a dare voci ai protagonisti del dramma russo. Il soprano bielorusso Nadine Koutcher è l’innamorata e contesa Marfa, vittima suo malgrado di decisioni ed intrighi che ne tracciano il triste destino. La voce è di notevole interesse, delicata e di romantiche intenzioni laddove la parte lo richieda, di volume contenuto ma con una buona proiezione: tuttavia risulta mancante quel piglio che permetta alla parte, orfana della scenicità, di prendere vita, lasciando l’interprete in un limbo irrisolto. Apprezzata da tutti e tutte è l’aria di Marfa che precede il finale dove ella, trasognante, muore. Al contrario, chi è ricca di vitalità e di dramma scenico è la Ljubaša del mezzosoprano russo Ksenia Chubunova, di casa in Teatro in quanto artista del Regio Ensemble: il suo ingresso con l’aria cantata per gli ospiti della festa è di struggente bellezza e la voce risulta corposa e di buon colore. Tuttavia, alcune acerbità e un non totale controllo dello strumento risultano stancare l’artista che palesa alcune difficoltà lungo il percorso.

Chi sembra avere pieno controllo di strumento e personaggio è invece il baritono azerbaigiano Elchin Azizov, il nobile cavaliere, fido dello Zar, che si macchierà della morte di entrambe le donne, in differenti modi.

La voce è virile, possente, con una ricca e ampia cavata, talune volte strabordante ma che permettono di poter comprendere l’ardente passione d’amore di un uomo, prima che membro politico della corte russa: nulla è lasciato al caso, l’interpretazione e la padronanza sono evidenti, riscuotendo il dovuto successo durante il corso della serata e agli applausi finali.

L’altro cavaliere che ama Marfa è il boiardo Ivan Sergeevič Lykov, qui cantato dal tenore russo Sergey Radchenko, che fieramente mostra nobiltà di intenzioni e di accenti, con una assai bella presenza ed una prestanza autorevole. Lievemente meno prestante è dal punto di vista vocale, dove la voce di notevole spessore e con una buona proiezione nel registro medio, vede assottigliarsi nella salita all’acuto, senza il corretto giro del suono, venendo così travolta dal suono orchestrale.

Stupisce, coinvolge e impressiona il basso Gennady Bezzubenkov, nei panni di Vasilij Stepanovič Sobakin, padre di Marfa: nonostante l’anagrafe segni 74 anni di età, questo piccolo grande uomo sa spandere la per la sala del Regio un suono ricco, possente, impetuoso, solido su tutta la gamma vocale, avendo ancora uno strumento vocale integro e ricco di colori. Altro basso in scena è il georgiano Giorgi Chelidze, interprete di Skuratov, cavaliere alla corte dello Zar, che esibisce voce di bel colore, necessitante però di una maggior proiezione per essere meglio apprezzata. Completano il cast il tenore Thomas Cilluffo nelle vesti dell’alchimista e medico Elisej Bomelij, apprezzato artista di casa nel Regio Ensemble che continua a dar prova di crescita artistica dal punto di vista vocale ed interpretativo, Irina Bogdanova, soprano russo che veste in maniera ottima e incisiva il duplice ruolo di Domna Ivanovna Saburova e Petrovna, e infine il mezzosoprano Veta Pilipenko, che nel triplice ruolo di Dunjaša, Cameriera, Fuochista, si apprezza per timbro e presenza scenica.

Pubblico non particolarmente folto ma attento, silente e partecipe per un’esecuzione che se, non di memorabile esecuzione per il Teatro Regio, sicuramente segna un passaggio importante nel ritorno ad una stagione teatrale più internazionale, aperta a periodi, compositori e tematiche che sappiano accogliere e raccogliere un pubblico necessitante di cultura, formazione e stimolo.

Leonardo Crosetti
(26 aprile 2023)

La locandina

Direttore Valentin Uryupin
Personaggi e interpreti•
Marfa Nadine Koutcher
Vasilij Stepanovič Sobakin Gennady Bezzubenkov
Grigorij Grigor’evič Grjaznoj Elchin Azizov
Skuratov Giorgi Chelidze
Il boiardo Ivan Sergeevič Lykov Sergey Radchenko
Ljubaša Ksenia Chubunova
Elisej Bomelij Thomas Cilluffo
Domna Ivanovna Saburova, Petrovna Irina Bogdanova
Dunjaša, Cameriera, Fuochista Veta Pilipenko
Orchestra e Coro Teatro Regio Torino
Maestro del coro Andrea Secchi

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