Venezia: Falstaff in una notte di mezza estate

Cosa può esserci di meglio per un compositore, e più in generale per un uomo di spettacolo, che dar congedo al proprio pubblico con una risata?

Nulla, crediamo, ed è quello che Verdi fa con il suo ultimo capolavoro, nel quale, ottantenne, si rimette ancora una volta in discussione, scava, sperimenta e crea un’opera perfetta, complice un libretto di valore assoluto.

La “risata final” è tuttavia perfusa da una vena dolce-amara, delicatamente malinconica: non si può ridere all’ età che avanza, ma sorriderle sì.

Il vecchio Sir John si inchina con grazia al cambiamento del mondo che lo circonda; egli è fiero del suo passato e delle sue “imprese”, ma è venuta l’epoca di cedere il passo e di farlo con stile.

Verdi non è Falstaff, ovviamente, ma in Falstaff si ritrova il rimpianto di Verdi per ciò che è stato e per quel che avrebbe potuto essere; tuttavia il declino degli anni va preso con filosofia, cercando di trarre ancora “qualche delizia” dalla vita.

Sul piano musicale è ogni volta sconvolgente notare la linearità dell’evoluzione del processo compositivo verdiano: ciascuna delle opere del maestro è figlia della precedente e madre della successiva, in un crescendo di introspezione psicologica, di ricerche timbriche ed armoniche, di studi di impasti orchestrali, di trattamento delle voci.

Nel Falstaff sono condensate tutte le precedenti esperienze, che subiscono un’ulteriore rielaborazione stilistica che costituisce un punto di approdo per Verdi, ma che al contempo fungono da modello per molta della musica che verrà dopo di lui.

L’opera mancava dalle scene veneziane da venticinque anni – quando fu rappresentata al Palafenice nel 1997  – e vi ritorna ad inaugurare la stagione 2022-20233.

Adrian Noble – e con lui lo scenografo Dick Bird e la costumista Clancy, mentre le luci sono di Jean Kalmane Fabio Barettin – opta per un allestimento gradevolmente museale, senza trasposizioni di spazio e di tempo e priva di qualunque intervento “drammaturgico” senza però cadere nella trappola di un calligrafismo al sentore di muffa.

L’azione si svolge in un Globe Theatre magistralmente ricostruito in cui il Bardo sta provando il Sogno di una notte di mezza estate – con tanto di Puck, Oberon, Titania, un esercito di fate e folletti e Bottom con la testa d’asino, il tutto a richiamare la burla finale ai danni di Sir John – in un gioco di teatro nel teatro niente affatto nuovo ma qui realizzato con ammirevole leggerezza e grande accortezza nel mantenere viva l’attenzione del pubblico.

“Tradizione” dunque, ma stemperata all’insegna di ironia e freschezza, con i cambi di scena – per altro parchi – riempiti con siparietti un po’ sciocchini ma comunque efficaci.

È il Falstaff dei nostri sogni? Certamente no, ma tuttavia non sarebbe onesto declassarlo a routine, perché qui di teatro Noble ne fa tanto e lo fa bene.

Note assai liete vengono dal versante musicale: sugli scudi Myung-Whun Chung, la cui lettura predilige tempi sostenuti ma al contempo animati da vividezza dinamica e attenzione al particolare. Il suono di Chung è depurato fino a giungere alla sua essenza più intima, l’equilibrio tra le sezioni dell’orchestra – protagonista di un’ottima prova – è calibratissimo e il rapporto buca-palcoscenico risulta ineccepibile.

Della compagnia di canto un tempo si sarebbe detto “discografica” non si può che dir bene a cominciare da Nicola Alaimo che nel ruolo-titolo dimostra ancora una volta, ove ce ne fosse bisogno, il suo ruolo di grande mattatore. Il suo Falstaff è impeccabile nel canto e irresistibile nella recitazione, il tutto senza mai cadere nella trappola del macchiettismo ma anzi cogliendo profondamente la vena di malinconia che è parte essenziale del personaggio.

Suo degno contraltare il Ford elegantemente baldanzoso disegnato da Vladimir Stoyanov, tra i pochi cantanti ad avere la dote di non deludere mai, poggiato su un canto nobile e sempre meditato.

Ottima Selene Zanetti capace di dare voce e corpo ad un’Alice vocalmente rigogliosa e scenicamente sempre credibile, così come davvero brava è la giovanissima Caterina Sala, che di Nannetta possiede freschezza e malizia.

Bene Veronica Simeoni, Meg con una vena selvaggia, e benissimo Sara Mingardo nei panni di una Quickly perfettamente centrata.

René Barbera è un Fenton deciso nei modi e dalla vocalità generosa, mentre il suo “rivale” Cajus è affidato a Christian Collia che lo caratterizza con intelligente misura.

A completare il cast la coppia di servitori-traditori di Falstaff, ovvero i bravi Cristiano Olivieri nei panni di Bardolfo e Francesco Milanese in quelli di Pistola.

Bene il coro preparato da Alfonso Caiani.

Successo trionfale per tutti, con ovazioni per Chung e Alaimo.

Alessandro Cammarano
(18 novembre 2022)

La locandina

Direttore Myung-Whun Chung
Regia Adrian Noble
Scene Dick Bird
Costumi Clancy
Light designer Jean Kalman e Fabio Barettin
Regista associato e movimenti coreografici Joanne Pearce
Personaggi e interpreti:
Sir John Falstaff Nicola Alaimo
Ford Vladimir Stoyanov
Fenton René Barbera
Dr. Cajus Christian Collia
Bardolfo Cristiano Olivieri
Pistola Francesco Milanese
Mrs. Alice Ford Selene Zanetti
Nannetta Caterina Sala
Mrs. Quickly Sara Mingardo
Mrs. Meg Page Veronica Simeoni
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Maestro del Coro Alfonso Caiani

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