Come Sansone con la fanciulla di Timna, Saint-Saëns abbandonò la sposa della sua giovinezza: Marie-Laure Truffot, figlia di un industriale di provincia. Le imputò la morte precoce dei due figlioletti e fuggì di casa, ma senza mai divorziare.
Rapida e fatale, la maledizione del Sommo Sacerdote di Dagon colpisce nel segno. Dalila, l’infame, subito compare in scena come evocata dall’abisso infernale, sicché il Vecchio Ebreo può esclamare senza esitazioni: “L’esprit du mal a conduit cette femme”.
Può un genio universale collezionare pregiudizi etnici; peggio: farne un elemento della sua poetica? Il caso Wagner non cessa d’interrogarci; meno note sono le violente posizioni xenofobe, esplicate in un ampio ventaglio di direzioni, che inquinavano il “Gruppo dei Cinque”.