Un Mikhail Pletnëv a tratti inaspettato, quello che si è potuto ascoltare lunedì scorso, 18 Febbraio, al Teatro Regio di Parma. In programma, i 24 Preludi Op.11 di Scriabin e i 24 Preludi Op.28 di Chopin.

Currentzis non ha smentito la sua fama di direttore fuori dagli schemi, che ogni tanto utilizza un’ampia gestualità corporea per intensificare le sue indicazioni interpretative.

Il programma scelto dall’ensemble italiano era accattivante e metteva a confronto le produzioni cameristiche giovanili di due giganti della musica d’arte del Novecento, Gustav Mahler e Richard Strauss.

Appena si abbassano le luci, in apertura di concerto, il trascinante Faes afferra il microfono per illustrare appassionatamente la scelta delle opere che ascolteremo questa sera, evocando fatti storici e suggestioni poetiche.

Zubin Mehta sa bene come dare respiro alla musica e che non è tanto la generica lentezza ad aprire quelle porte verso il sublime di cui Bruckner costella le sue messe e le sue sinfonie.

Daniele Gatti, guida musicale di questo allestimento, ha saputo restituire proprio questo e ci è riuscito magnificamente, grazie al cast e alle compagini del Teatro del Maggio che aveva a disposizione.

Un sogno utopico che Tempo Reale ha rispolverato per il centenario dell’artista veneziano regalandoci una gran bella serata, azzeccata anche nel titolo Improvvisamente Nono, inserendola come apertura del Tempo Reale Festival 2024.

Guggeis estrae dall’orchestra una leggerezza corposa, vellutata, priva di spigoli, estremamente cangiante e mai sfacciata soprattutto nelle turcherie che a volte danno adito a fanfare di dubbio gusto.

Questa rinomata formazione cameristica è messicana, il che le assegna non solo per le scelte esecutive ma anche geograficamente un ruolo di “cerniera” musicale fra l’esperienza degli Stati Uniti e quella dell’America meridionale.

Uniformità di registro, emissione morbida, registro grave mai sguaiato e volumi considerevoli, Elīna Garanča ha confermato le proprie doti di cantante di riferimento. Ogni nota denota un’intenzione interpretativa e coerenza con lo stile dei vari autori.  

Il gesto teatrale è rarefatto, evocatore più che descrittivo – gli unici movimenti veri sono affidati ad una danzatrice – quasi a voler contenere la ridondanza verbale del canto.

L’allestimento di Barrie Kosky nella sua estrema e   semplicità s’inchina all’assoluta sovranità della musica, persino quando ricorre a espedienti di grande effetto o a scorciatoie inattese.

Il concerto che è seguito era una vera prelibatezza per gli appassionati di musica d’arte, con un trio unico nel suo genere, formato da Emmanuel Pahud, primo flauto dei Berliner Philharmoniker, il clavicembalista Trevor Pinnock, pioniere della riscoperta della musica antica in epoca moderna e Jonathan Manson, già primo violoncello dell’Amsterdam Baroque Orchestra.

Della pagina busoniana la violinista Francesca Dego – che si dimostra ancora una volta solista tra le più valenti della sua generazione – dà una lettura tersa ed al contempo appassionata, attingendo ad una ricca gamma cromatica che si pone alla base di un fraseggiare mai scontato.