Quello che più stupisce dell’attività, sempre più seguita a livello internazionale, dell’Opéra di Dijon è l’imponenza della sua sala principale, l’Auditorium / sala di spettacolo capace di oltre milleseicento posti. Inaugurato nel 1998 affianca nelle stagioni digionesi il Grand Théâtre ottocentesco situato in prossimità del Palazzo dei duchi di Borgogna.

Con il Re Ruggero di Szymanowski si è inaugurata in data 5 ottobre la stagione 2017/18 dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Si prosegue dunque l’idea di aprire le danze con un’opera in forma di concerto, idea che si è unita all’utilizzo della Sala Santa Cecilia del Parco della Musica come fosse un enorme palco e alla scelta di affiancare all’esecuzione la proiezione di immagini sia elaborate, sia eseguite live dai MASBEDO, direttamente dal palco.

Si potrebbe sostenere, con buone ragioni, che a un’orchestra non basta avere nell’insegna la parola “Salisburgo” per essere considerata titolare del “verbo musicale” del genio nato nella città austriaca 261 anni fa.

E poi al Palazzetto Bru Zane arriva il Reicha che non ti aspetti, quello che abbandonati per un momento i panni dell’insegnante austero e del teorico rigoroso veste quelli del jongleur del contrappunto e dell’invenzione melodica.

Lo spettacolo di Richard Jones è funzionale, efficace, gradevole a vedersi, ma non pienamente convincente. Non è una Bohème didascalicamente tradizionale, ma non è nemmeno una Bohème originale, in grado di offrire qualche spunto autenticamente nuovo.

L’idea di un dittico che abbia per tema centrale il tradimento, con il corollario dell’incomprensione e dell’inganno, è decisamente interessante a patto che il tutto venga condito con un pizzico, giusto un po’, di sana e sacrosanta ironia.

Quanto a “Miranda”, programmata fra settembre e ottobre, dopo la pausa estiva e di cui abbiamo ammirato la penultima rappresentazione si tratta di una vera e propria novità, o meglio di una Semi-opéra da Shakespeare e Purcell in cui la regista Katie Mitchell e il direttore musicale Raphaël Pichon si sono ispirati a brani strumentali e teatrali di Henry Purcell per realizzare una “création lyrique” nello stesso spirito con cui si erano accostati  nel 2014 al Festival d’Aix-en-Provence alle cantate di Bach.

Il mezzosoprano Daniela Barcellona ritorna alla Scala con un recital prevalentemente incentrato sul lied di Schumann, Brahms e Gounod, passando per Rossini, fino ad arrivare a Tosti, Cilea e Bizet. Ad accompagnarla al pianoforte, il vocal coach e compagno di vita, il Maestro Alessandro Vitiello.

C’è qualcosa di nuovo nel mondo dell’opera, o d’antico, dipende dai punti di vista. Alla fine Graham Vick ha vinto la sua scommessa con i melomani verdiani parmensi raccogliendo un enorme successo, anzi una ovazione, al Teatro Farnese di Parma con il suo personalissimo allestimento dell’opera Stiffelio di Giuseppe Verdi.

Per questa sua insita potenza drammatica, “mettere in scena” la Passione (questa, come pure quella secondo San Giovanni) è diventata una sfida affrontata sempre più spesso. L’ha voluta raccogliere anche Margherita Dalla Vecchia, che dopo aver iniziato con successo il suo progetto-Passione nella primavera del 2016, e dopo averlo portato in versione rigorosamente oratoriale per chiese e teatri da Cremona a Borca di Cadore, da Verona a Vicenza (teatro Comunale, direttrice Isolde Kittel-Zerer) e a Venezia, l’ha proposto anche al Teatro Olimpico per il festival Conversazioni 2017, in un’edizione questa volta dotata di “coordinamento scenico”.

La straordinaria unione fra musica e gesto che si fondono compenetrando la loro natura più intima non si limita a dare l’idea di Preghiera in quanto sono esse stesse Preghiera, intesa come il più puro ed immediato (privo di mediazione) dialogo fra Naturale e Spirituale.

Don Giovanni e biondo, esile e longilineo, nel finale lo si spoglierà di tutto lasciandolo affrontare il mondo degli inferi poco vestito mentre gli altri gli fanno la morale. Leporello si rapporta con il padrone da pari a pari, spesso avendo la meglio. Donn’Anna è una donna isterica prima ancora del tentativo di stupro (vero? falso?) e segue l’ombra del padre con devozione quasi feticistica.

Con la messinscena della Cenerentola di Gioachino Rossini, a ricordo dei 200 anni dalla prima rappresentazione dell’opera avvenuta al Teatro Valle di Roma, venerdì 29 settembre ha preso il via la stagione lirica al Teatro Grande di Brescia, tappa del Circuito As.Li.co lombardo, nel nuovo allestimento curato da Arturo Cirillo e con la direzione musicale della cinese Yi-Chen Lin.

Un concreto “didattico” è con tutta probabilità l’approccio più efficace per calarsi nel mondo musicale di un didatta. Antoine Reicha fu eminentemente questo: uno straordinario teorico capace di una produzione musicale di assoluto rilievo tecnico che solo nel suo ultimo periodo trova maggior libertà espressiva.
Ivan Ilíc, con il suo pianismo meditato ma sempre luminoso nei colori riesce a sdrammatizzare l’ansia da prestazione che in più di un momento caratterizzala musica di Reicha. Il tocco è morbidamente deciso, la ricerca di colori costante, il legato usato con oculatezza.

E’ stata proprio l’immortale vedova lehariana a dare il la a una stagione tanto ambiziosa. Lo spettacolo di Jorge Lavelli che ne firma la regia con la collaborazione di Antonio Lagarto per le scene, Francesco Zito per gli splendidi costumi, Dominique Bruguière per il disegno luci e Laurence Fanon per le coreografie era la ripresa di una produzione nata a Palais Garnier nel 1997 e la rappresentazione cui abbiamo assistito la cinquantesima in questo collaudato allestimento.