In poco più di centocinquanta pagine, dense e sapide, Alberto Mattioli raddrizza il timone rendendo a Verdi quel che è di Verdi, e lo fa con ironia e leggerezza degne del miglior Barilli, del quale il giornalista e critico musicale modenese (quanti tesori custodisce l’Emilia!) è di fatto l’erede naturale.

Schumann si addice all’Orchestra del Teatro Olimpico. Nella serata in cui campeggiava la Quinta di Beethoven – omaggio sintomatico, visto che il concerto si è tenuto esattamente nel giorno anniversario della morte del gigante tedesco (26 marzo 1827) – l’orchestra giovanile vicentina ha trovato e dato il meglio al cospetto della Quarta schumanniana.

Prosegue a Trieste la stagione lirica 2018 al teatro Verdi con il gradito ritorno della Lucia di Lammermoor di Gaetano Donizetti nel consolidato allestimento di Giulio Ciabatti datato 1999 e riproposto nel 2011, a dimostrazione che se una produzione risulta funzionale e riuscita, si può recuperare anche a costo ricorrere nel già visto ma non certamente del già ascoltato […]

Sono molto rare le occasioni per ascoltare Hérodiade di Jules Massenet, l’opera tragica in quattro atti su libretto di Paul Milliet e Henri Grémont, ispirato all’ultimo dei “Trois Contes” di Gustave Flaubert che a sua volta s’ispirò al racconto biblico. In Francia mancava dal 2001, quando l’Opéra di Saint-Etienne che adesso la coproduce con quella di Marsiglia, la mise in cartellone per presentare l’allora astro nascente Alexia Cousin in Salome.

Il castello di Barbablù di Béla Bartok e La voce umana di Francis Poulenc sono i due titoli che anche nel corso della stagione 2017/2018 l’Opéra National di Parigi abbina nella storica sala di Palais Garnier. In comune i due lavori hanno una cosa sola: la brevità.

Nel cinquantesimo anniversario della morte di Mario Castelnuovo-Tedesco LaVerdi ricorda il compositore fiorentino con un raffinato programma dedicato al Novecento italiano. In sala la nipote Diana Castelnuovo-Tedesco.

Ora Benvenuto Cellini fa il suo ritorno sul palcoscenico maggiore della Ville Lumière, che alla prima l’ha accolto con tutti gli onori, nell’allestimento di Terry Gilliam che debuttò nel 2014 alla English National Opera di Londra e che si è visto anche ad Amsterdam e all’Opera di Roma.

Beethoven è in ritardo di quasi un anno. Naturalmente, lo si dice per gusto del paradosso. Uno avanti come Ludwig van, per definizione non può essere in ritardo: anzi, appare quasi sempre in anticipo, sul quadrante della storia e a maggior ragione su quello della musica. Molto più semplicemente, il ritardo è di Filippo Gamba, l’eccellente pianista veronese cui la Società del Quartetto di Vicenza ha affidato l’esecuzione delle integrale delle Sonate per pianoforte del genio tedesco.

Pierre Boulez, lo stesso che definì Shostakovich “un succedaneo di Mahler” e Poulenc “musicista da confetteria”, di Gian Carlo Menotti aveva un’idea ancora più sbrigativa: “un Puccini dei poveri”. Certi stigmi, duri a morire, andrebbero lavati a candeggina, non foss’altro che per il loro implicito potere dissuasivo nei confronti dei teatri che potrebbero scommettere su repertori poco frequentati, ma che temono al contempo pesanti diserzioni.

Già rappresentato al Covent Garden nella stagione 2015-2016, e vincitore in quell’occasione di un Olivier Award, il bell’allestimento di Damiano Michieletto e Paolo Fantin di Cavalleria rusticana e Pagliacci rinasce ora a Bruxelles sulla scena del ritrovato Théâtre Royal de La Monnaie.

Il divificio in cui quasi tutti i pianisti entrano per assimilazione o per contrasto (gli antidivi sono divi due volte) non ha ancora convocato il ventinovenne Antonii Baryshevskyi, apparso alla Fazioli Hall di Sacile il 16 marzo. E se l’ha fatto non ha mai ricevuto risposta da questo pianista ucraino di nascita e di residenza, che pare non aver la minima intenzione di lasciare Kiev per trasferirsi nella piattaforma mitteleuropa spesso necessaria al decollo delle carriere.

La Royal Opera House di Londra ha aperto la stagione primaverile 2018 con un’opera mai rappresentata prima al Covent Garden: “Da una casa dei morti” di Leos Janacek. Purtroppo la grande attesa per quest’opera tratta dal racconto autobiografico di Dostoevskij è stata delusa. Stando agli scarsi applausi del pubblico, si ha l’impressione che “Da una casa dei morti” non sarà più rappresentata per molti anni in questo teatro.

Un romanzo d’appendice in musica, di quelli trucibaldi che nonostante la trama sgangherata e il marasma di incongruenze ti avvinghiano fino all’ultima pagina: questo è La Gioconda. Il libretto di Arrigo Boito, o Tobia Gorrio se preferite, è folle e geniale nella versificazione e nelle scelte lessicali, perfetto per la musica di Ponchielli che strizza un occhio a Wagner e l’altro al Grand-Opéra. Il prodotto finale è fantastico, coinvolge e convince.

Si scrive Roberto Devereux, si legge Mariella Devia, che ancora una volta è stata protagonista di una prova perfetta. Tutto gira intorno alla sua Elisabetta dolente e disillusa il cui gesto si plasma su un canto tutto sui fiati, il suo, quello giusto, fatto di tecnica e passione.

La direzione di Michele Mariotti estrae dalla compagine scaligera un colore “sospeso”, come sospesa è la stessa orchestra che si sposta fisicamente su più piani a seconda di dove il libretto colloca la scena fra Boschi, Inferi e Campi Elisi.